Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32798 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. III, 13/12/2019, (ud. 04/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3738/2017 proposto da:

P.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMO BALI’;

– ricorrente –

contro

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO

D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato STEFANO FIORELLI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DARIO MATAR SAHD;

– controricorrente –

e contro

ASSICURATORI LLOYD’S ASSUNTO RISCHIO CERTIFICATO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1771/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. P.D. ricorre, affidandosi a quattro motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino che, accogliendo l’appello incidentale del convenuto C.P., curatore del Fallimento (OMISSIS) Srl (società di cui, per ciò che interessa in questa sede, egli era stato amministratore oltre che socio di minoranza), e rigettando l’appello principale da lui proposto avverso la pronuncia del Tribunale di Aosta, aveva dichiarato il suo difetto di legittimazione attiva in ordine alla domanda avanzata per ottenere dal C. il risarcimento dei danni ascritti alla cessione di un bene facente parte del compendio fallimentare, avvenuta mediante transazione, ad un prezzo notevolmente inferiore a quello stimato.

1.1. L’intimato ha resistito con controricorso.

2. La controversia è stata rinviata a nuovo ruolo, in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulla questione, di rilevanza nomofilattica, relativa all’improcedibilità del ricorso notificato a mezzo PEC per il mancato deposito della documentazione informatica priva di asseverazione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. La questione preliminare nomofilattica che ha determinato il rinvio a nuovo ruolo – e che riguardava il rilievo officioso di improcedibilità del ricorso per il mancato deposito della documentazione informatica corredata dall’attestazione di conformità con sottoscrizione autografa – è stata risolta da Cass. SUU 22438/2018 che ha affermato che “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli del D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2.

Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in Camera di consiglio”.

Nel caso in esame, la documentazione priva di asseverazione non è stata disconosciuta e pertanto non ricorre l’improcedibilità ipotizzata con riferimento alla giurisprudenza antecedente all’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite di questa Corte sopra riportato.

1.1. Sempre in via preliminare, deve respingersi anche l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dal controricorrente, per tardiva iscrizione a ruolo della controversia: si osserva, infatti, che l’atto è stato trasmesso a questo ufficio a mezzo posta, ex art. 134 disp. att., penultimo comma. Deve pertanto aversi riguardo alla data di spedizione di esso che risale al 6.2.2017: il termine di venti giorni, decorrente dalla data di notifica del ricorso (17.1.2017), risulta dunque rispettato.

1.2. Il ricorso in esame, pertanto, deve ritenersi procedibile.

2. Si osserva, per il resto, quanto segue.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 182 e 183 c.p.c.; ed, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza.

Lamenta, al riguardo, che la Corte territoriale aveva erroneamente interpretato le norme richiamate, confondendo la legittimati() ad causam con la legittimatio ad processum.

Assume che la decisione impugnata, fondata su due distinte rationes decidendi, era errata nel ritenere in primo luogo che la sua impostazione difensiva fosse stata inammissibilmente modificata, ed, in secondo luogo, che la scrittura privata in data 6.3.2012, prodotta a dimostrazione della sua legittima posizione di cessionario del credito del padre, non fosse idonea a dimostrare le sue ragioni.

2.2. Con il secondo motivo, ancora ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367 c.c., ed, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza: il ricorrente censura l’interpretazione della Corte territoriale sulla qualificazione della scrittura privata del 6.3.2012 attestante la cessione del credito.

2.3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 182; ed, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce la nullità della sentenza con riferimento alla valutazione che la Corte aveva espresso circa la sua qualità di erede, assumendo erroneamente che, pur anche in mancanza di specifica contestazione, dovesse essere prodotto il testamento olografo e che fosse insufficiente la denuncia di successione.

2.4. Con il quarto motivo, lamenta infine, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla condanna alle spese statuita a suo danno anche in favore della compagnia di assicurazioni che era stata chiamata in causa dal C.: deduce che, rispetto ad essa, la statuizione non era supportata da alcuna motivazione in ordine al possibile diverso esito della controversia sulla operatività della polizza e, dunque, ad una possibile soccombenza del chiamante che avrebbe giustificato la compensazione delle spese.

3. Il primo ed il terzo motivo devono essere congiuntamente esaminati in quanto intrinsecamnete connessi: entrambi attengono alla dedotta censura di falsa applicazione degli artt. 182 e 183 c.p.c., in relazione alla tempestività delle allegazioni ed alla applicabilità delle preclusioni istruttorie alla questione concernete la titolarità di P.D. della posizione giuridica soggettiva vantata nella controversia, sia con riferimento alla sua situazione di cessionario del credito paterno, sia con riferimento alla qualità di erede vantata, entrambe escluse, con doppia ratio decidendi, dalla Corte territoriale.

3.1. Sotto entrambi i profili i motivi sono infondati.

Le censure proposte ridondano, infatti, sulla sostanziale differenza fra la legittimazione ad agire e contraddire e quella relativa alla titolarità della pretesa fatta valere in giudizio, questioni che non sovrapponibili.

3.2. E’ stato, al riguardo, chiarito da questa Corte che “la legittimazione ad agire ed a contraddire si risolve nell’accertare se, secondo la prospettazione dell’attore, quest’ultimo ed il convenuto assumano – rispettivamente – la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronunzia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla; mentre attiene invece al merito della lite la questione relativa alla reale titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che si risolve nell’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata. Ne consegue che trattasi di questione di “legittimatio ad causam” nel (solo) caso in cui si faccia valere in via giurisdizionale un diritto rappresentato come altrui od oggetto della propria sfera di azione e di tutela, al di fuori del relativo modello legale tipico; laddove attiene viceversa al merito della causa la controversia concernente la reale titolarità del diritto sostanziale del diritto fatto valere in giudizio, in ordine al quale trovano applicazione le regole in tema di preclusioni dettate per ciascun grado di giudizio”(cfr. ex multis Cass. 13756/2006; Cass. 11321/2007; Cass. 355/2008; Cass. 20298/2015; Cass. SUU 2951/2016).

3.3. Nel caso in esame, il ricorrente nelle premesse della censura assume che la questione oggetto di appello incidentale atteneva alla legittimatio ad causam che, rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, doveva ritenersi “incompatibile” con le preclusioni ed i termini sui quali la Corte territoriale aveva fondato la sua decisione: in tal modo, però, egli ha omesso di considerare che la sua domanda doveva essere fondata su una specifica allegazione ed una prova coerente della posizione giuridica soggettiva dedotta che rappresenta una questione di merito, attinente alla titolarità del rapporto sostanziale che intendeva vantare.

3.4. Il ricorrente, invece, dapprima (nell’atto di citazione) ha ricondotto le pretese avanzate nei confronti del curatore, proponendosi come cessionario del credito del padre sulla base di una scrittura privata (del 19.5.2011) che, secondo la statuizione del Tribunale (che non è stata oggetto di specifica censura) non gli assegnava tale posizione, e che la Corte territoriale, ex art. 2722 c.c., n. 4, ha ritenuto di qualificare come un mandato con rappresentanza, già estinto per morte del mandante al momento delle proposizione della controversia; e, successivamente ha modificato la causa petendi attraverso la diversa quanto generica allegazione – contenuta nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, primo termine e riferita “all’incarico ad agire ricevuto dal padre per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa della condotta del C.” (cfr. pag. 12 terzo cpv. della sentenza impugnata) – rispetto alla quale ha prodotto la diversa fonte documentale (e, cioè, la asserita cessione del credito in data 6.3.2012) solo con la memoria secondo termine, e senza alcuna allegazione volta ad argomentare il mutamento di iniziale prospettazione, tenuto anche conto della rilevata incoerenza di tale atto rispetto a quanto dedotto (visto che in esso si parlava di “cessione di quote sociali” e non di “cessione del credito”).

3.5. La Corte territoriale, pertanto, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, in quanto ha ritenuto, sulla base di insidacabili valutazioni di merito, che sia stata introdotta tardivamente una diversa e nuova “legittimazione sostanziale” rispetto alla quale non poteva ricorrersi ai poteri ufficiosi di qualificazione riservati al giudice, utilizzabili soltanto in relazione alla “legittimazione processuale”.

4. Ma anche la censura relativa al disconoscimento della qualità di erede non ha pregio, attenendo allo stesso perimetro motivazionale ed alle stesse cadenze istruttorie: contestata, infatti, dal C. l’idoneità della sola denuncia di successione a dimostrare, in relazione alla domanda spiegata, la qualità di erede, in quanto era emerso che essa era fondata su un testamento olografo, il P. ha del tutto omesso di produrlo in giudizio al fine di sostenere tale qualità in relazione al credito dedotto.

4.1. Al riguardo, pur vero che la denuncia di successione è in astratto idoena a dimostrare la volontà del ricorrente di accettare l’eredità visto che non è mai stata contestata la sua qualità di figlio, tuttavia nel caso in esame, in cui non è in discussione la posizione ereditaria ma la titolarità del credito oggetto della controversia che il P. assume aver ereditato dal padre, era indispensabile, in presenza di una specifica contestazione, che il testamento fosse prodotto al fine di dimostrare la pretesa vantata.

4.2. La Corte, pertanto, ha correttamente interpretato le norme che si assumono violate rendendo, altresì, una motivazione coerente e logica (v. pag. 6 e 7 della sentenza sul punto): da ciò deriva che sia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia quello di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, devono ritenersi, nel caso di specie, insussistenti.

5. Il secondo motivo – concernente la qualificazione della scrittura privata del 6.3.2012 – rimane logicamente assorbito.

6. Il quarto motivo è infondato: la soccombenza statuita rende responsabile l’attore anche delle spese del chiamato in causa che, oltretutto, aveva spiegato difese di merito analoghe a quello del C..

6.1. La questione è stata affrontata (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata) ed il ricorrente non ha confutato le argomentazioni del C. volte ad ottenere l’accertamento della operatività della polizza e, conseguentemente, la manleva della compagnia di assicurazione con la quale era stata stipulata per la copertura della responsabilità professionale.

La Corte, pertanto, ha fatto corretta applicazione dell’art. 91 c.p.c. e la censura deve essere respinta (cfr. al riguardo Cass. 7674/2008; Cass. 23552/2011; Cass. 2492/2016).

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in 7200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione terza Civile, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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