Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32791 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. III, 13/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28284/2018 proposto da:

P.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOIRA BACCHIEGA;

– ricorrente –

contro

PI.LO.CI., PI.OS.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1833/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La ricorrente ha stipulato un contratto con il nonno materno, definito come di “vitalizio alimentare”, il quale prevedeva l’alienazione da parte del nonno di un bene del valore stimato di circa 73 mila Euro, in cambio del mantenimento sanitario, alimentare e di sostegno personale a favore dell’alienante ed a carico della ricorrente.

Altri nipoti hanno impugnato l’atto, sostenendone la nullità per mancanza di causa, trattandosi di un contratto aleatorio in cui, data l’età e lo stato di salute dell’alienante costui sarebbe sopravvissuto per poco tempo, o, in subordine, annullabile per incapacità di intendere e volere del consenso dello stesso alienante.

Il giudizio di merito ha avuto vicende alterne, in quanto in primo grado la domanda è stata accolta, mentre il giudice di appello, in parziale riforma, ha rigettato la pretesa di nullità del contratto.

Questa decisione è stata impugnata con ricorso per Cassazione che, a sua volta, ha accolto il sesto motivo di ricorso, che denunciava omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ed ha annullato quella decisione di appello, rinviando ad altro collegio, al quale ha demandato di verificare se, sin dalla stipula, vi fosse una proporzione tra le prestazioni, da un lato, il valore dell’immobile e dall’altro l’impegno di mantenimento della beneficiaria, in ragione delle aspettative di vita del vitaliziando.

Il giudizio di rinvio si è concluso con la dichiarazione di nullità del contratto, alla luce del criterio indicato dalla Corte di Cassazione.

Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione la P., beneficiaria del bene immobile e tenuta al vitalizio, con due motivi. Gli intimati non si sono costituiti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata è condizionata dal principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella precedente sentenza.

Quest’ultima aveva osservato che nella fattispecie era stato concluso un contratto atipico, detto “vitalizio alimentare”, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., la cui causa era pur sempre l’alea tipica dei vitalizi. Ed in particolare, ritenne la corte, che l’alea fosse qui duplice: da un lato, dovuta all’incertezza della durata della vita del vitaliziando; dall’altro all’incertezza del tipo di prestazioni a carico dell’altra parte, prestazioni (di assistenza alimentare, sanitaria ecc.) che prescindono dalla durata della vita e sono correlate allo stato di salute e di bisogno del vitaliziando.

Aggiunge la Corte di Cassazione, nel precedente arresto, che nel “vitalizio alimentare” l’alea è più marcata rispetto al contratto tipico di vitalizio (art. 1872 c.c.) in quanto le prestazioni non sono determinate nel loro ammontare, ma variano giorno per giorno, secondo i bisogni, l’età e le condizioni di salute del vitaliziando (p. 16).

Poichè l’alea, in tale contratto, dipende dalla comparazione tra il valore del bene trasferito (nel caso specifico, immobile) e il valore delle prestazioni dovute dal vitaliziante, è compito del giudice di merito effettuare tale verifica.

Nel caso di specie, secondo la Corte di cassazione, la corte di merito avrebbe dovuto verificare se il “rapporto tra il valore calcolato dal CTU e quello delle prestazioni promesse al vitaliziato si risolvesse in termini di tendenziale equivalenza o di evidente sproporzione” (p. 17).

La corte di appello, in sede di rinvio, ha dunque compiuto questo accertamento, all’esito del quale ha ritenuto che, nonostante il CTU avesse ritenuto non provata una aspettativa di breve durata della vita del vitaliziato, tuttavia, per alcune circostanze (l’età del medesimo, 79 anni) la sopraggiunta infezione ecc,. era prevedibile che vivesse non a lungo (egli è sopravvissuto per circa cinque anni ancora).

Scrive infatti la corte di merito che ” può ritenersi assodato che non vi erano elementi per ritenere la sopravvivenza ben limitata nel tempo” (p. 10), ma che ciò “non significa peraltro che la sopravvivenza sarebbe stata particolarmente lunga” (p. 10). Conclusione questa argomentata dal fatto che “il vitaliziato aveva 79 anni, che secondo i dati statistici, rappresentava l’aspettativa media di vita di un maschio italiano. Inoltre, era stato ricoverato un mese prima per emiparesi sinistra da lesione ischemica parietale era soggetto a cure che prevedevano la somministrazione di farmaci” e conclude che dunque ” le probabilità di lunga sopravvivenza non erano elevate e, comunque, non certo in termini di “tendenziale equivalenza” al valore dell’immobile ceduto” (p. 11).

2.- La ricorrente censura questa ratio con due motivi.

Con il primo ritiene un omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione, oltre che motivazione contraddittoria.

Quest’ultima censura consisterebbe nel ritenere contraddittoria, da un lato, la presa d’atto che, secondo il CTU la breve aspettativa di vita del vitaliziando non era affatto scontata, e dall’altra nel ritenerla invece tale sulla base di elementi diversi da quelli considerati dal CTU.

Non v’è come si può notare alcuna contraddizione, la quale presuppone argomenti che si elidono a vicenda, e che hanno in comune gli stessi presupposti ma divergono nelle conclusioni.

Qui la corte afferma una cosa diversa da quella assunta dal CTU sulla base di elementi diversi da quelli considerati da quest’ultimo, o comunque diversamente valutando elementi pur tenuti in conto dal perito.

Non v’è neanche contraddizione in astratto, posto che la conclusone cui giunge la corte è univoca, ossia che al momento della stipula le aspettative di vita non erano elevate; non dice la corte che, da un lato, lo erano e dall’altro no.

A ben vedere, ed è il secondo aspetto della censura, quello che lamenta omesso esame, la ricorrente non lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, quanto piuttosto che la corte ha disatteso la CTU, ritenendo, contrariamente a quanto da questa assunta, che le prospettive di vita non fossero a lungo termine.

Cosi che il motivo è infondato in quanto contesta alla decisione di rinvio di essersi discostata dalla CTU.

E tuttavia, è nel potere del giudice di merito farlo, con sufficienti ragioni.

Altro discorso essendo la mancata considerazione delle risultanze della consulenza, mancanza questa che comporta vizio di omesso esame (Cass. 13399/2018).

Si deve però considerare che la corte non doveva, in base a quanto imposto dal principio di diritto, verificare soltanto quale fosse la durata sperata di sopravvivenza del periziando, questione alla quale era limitata la CTU, ma doveva verificare se tale durata era “proporzionata”, tenuto conto del valore che ciò comportava in termini di spesa di mantenimento, al valore del bene alienato in “corrispettivo”.

E questo accertamento è stato compiuto. La corte ha ritenuto che data la stima del valore dell’immobile, e, data la speranza di sopravvivenza stimata del vitaliziando, non vi fosse proporzione.

Il modo in cui è stato condotto questo accertamento (della dedotta proporzione) fa parte della valutazione discrezionale del giudice di merito, che ha tratto la conclusione confrontando le due perizie e gli elementi in atti, e non è qui sindacabile.

2.2.- Infondato è il secondo motivo.

Si duole la ricorrente con tale motivo di un vizio di ultra petizione.

La corte afferma di non condividere le censure mosse dalla ricorrente alla CTU sul valore dell’immobile.

Secondo la ricorrente questa affermazione è ultronea in quanto lei non ha mai mosso censure a quella CTU, e non v’era pertanto motivo affrontarle.

E tuttavia, pur vera che sia, la censura non si rivolge verso una ratio decidendi, o un capo di sentenza, bensì verso un argomento, tra i tanti utilizzati dalla corte per sorreggere il suo convincimento, cosi che la censura stessa è irrilevante. Anche se la corte avesse ritenuto, erroneamente, che la parte aveva rivolto critiche alla CTU, la inutile contestazione di tali critiche non ha inciso sulla ratio decidendi, che, come abbiamo visto era ben altra, e dunque il motivo di ricorso non è ammissibile.

Il ricorso va rigettato, senza pronuncia sulla spese, a cagione della mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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