Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32790 del 19/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 19/12/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 19/12/2018), n.32790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11596-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIAGRAZIA BRUZZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5606/1/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, depositata il 03/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016; osserva quanto segue:

Con sentenza n. 5606/1/2016, depositata il 3 novembre 2016, non notificata, la CTR della Lombardia accolse l’appello proposto dal sig. B.L. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado della CTP di Milano, che aveva invece rigettato il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento ai fini IRAP per l’anno 2003, avendo la CTR ritenuto l’Amministrazione decaduta dall’accertamento riferito all’IRAP in relazione alla quale non era applicabile la disciplina del c.d. “raddoppio dei termini” ed avendo in ogni caso affermato che il B., socio d’opera per la quota dello 0,01% della S.a.s. Consortium, poi fusa per incorporazione nella S.r.l. Consortium, potendo essere chiamata a rispondere degli eventuali debiti tributari della S.a.s. Consortium solo la S.r.l. che l’aveva incorporata ed eventualmente i soci di quest’ultima(tra i quali non vi era il B.) nei confronti dei quali fosse stato emesso l’accertamento. Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Il contribuente resiste con controricorso.

1. Con il primo motivo l’Amministrazione finanziaria denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 2 bis, nella versione ratione temporis applicabile, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che erroneamente la sentenza impugnata ha affermato l’inoperatività della disciplina del cd. raddoppio dei termini riguardo all’IRAP sul presupposto che le violazioni della disciplina sull’IRAP non assumono rilievo penale, argomentando la ricorrente dal fatto che alcuna esclusione esplicita dell’IRAP sia prevista con riferimento alla disciplina del cd. raddoppio dei termini e dal generico rinvio di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 24 e 25, alla disciplina prevista per le imposte sui redditi.

1.1. Il motivo è inammissibile, ex art. 360 bis c.p.c. (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155) avendo la decisione impugnata pronunciato in conformità all’indirizzo di questa Corte in materia (cfr. Cass. sez. 5, 11 marzo 2016, n. 4755, richiamata dalla CTR), consolidatosi quindi successivamente (tra le altre, cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 25 agosto 2017, n. 20435; Cass. sez. 6-5, ord. 3 maggio 2018, n. 10483), secondo cui “In tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini” previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43″, nella versione ratione temporis applicabile, “non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poichè le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali”.

1.2. 11 richiamo di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 24, all’accertamento sulle imposte dei redditi di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non può che operare nei limiti della compatibilità, trovando fondamento la disciplina del c.d. raddoppio termini nel compimento di fatti previsti dalla legge come reato e per i quali ricorra dunque l’obbligo di denuncia penale da parte dei verbalizzanti.

2. L’inammissibilità del primo motivo, determinando la formazione del giudicato sulla ritenuta decadenza dell’Amministrazione dal potere impositivo, essendo stato emesso l’accertamento, relativo all’anno d’imposta 2003, solo in data 30 maggio 2011, comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso volti a contestare la concorrente autonoma ratio decidendi sulla carenza della soggettività passiva d’imposta in capo al B..

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

3. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

4. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018

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