Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32790 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. III, 13/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15065/2018 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del procuratore speciale

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA L. SPALLANZANI 2, presso lo studio dell’avvocato VALERIO

PESCATORE, rappresentata e difesa dall’avvocato IGNAZIO CARDILLO;

– ricorrente –

contro

SOC. SIENA NPL 2018 SRL, in persona del rappresentante pro tempore e

per essa nella sua qualità di procuratrice la CERVED CREDIT

MANAGEMENT SPA in persona del suo procuratore speciale,

elettivamente domicinata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO, 92, presso

lo studio dell’avvocato GIOVANNI TOMMASO MARIA PERSICHETTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO CAVALIERE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1236/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 20/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Telecom spa era debitrice della società EL.AR Aricò srl, che, in ragione di tale suo credito, ha emesso fattura per 102.834,00 Euro.

La creditrice ha però ceduto il credito alla Banca Antonveneta con patto di pro solvendo, ragione per cui la predetta banca ha agito con decreto ingiuntivo verso Telecom spa per il pagamento di tale somma.

Telecom spa ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, sulla base di due argomenti: in primo luogo in quanto, ai fini della efficacia della cessione del credito, era pattuito che il debitore ceduto (ossia Telecom) dovesse prestare assenso, che invece non era stato affatto prestato; in secondo luogo in quanto, per la regola generale che il ceduto può opporre al cessionario le eccezioni che avrebbe potuto sollevare al cedente, Telecom opponeva in compensazione un suo credito di ammontare anche superiore a quello ceduto.

Il giudice di primo grado, affermata la regola della opponibilità delle eccezioni, ha ritenuto provato il credito opposto da Telecom in compensazione, ed ha accolto l’opposizione.

Invece, il giudice di secondo grado, pur premettendo che era nel potere di Telecom eccepire la compensazione, ha ritenuto non provato il credito opposto in compensazione, gravando su Telecom l’onere della prova.

Telecom ricorre con un motivo. V’è costituzione della banca Antonveneta (ora società Siena NPL 2018 srL).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della sentenza impugnata è nel difetto di prova del credito opposito in compensazione.

I giudici di appello ritengono che non è contestato il diritto di Telecom di opporre un suo credito in compensazione (p. 4), e ritengono che “il nodo della controversia rimane circoscritto alla prova della esistenza del credito opposto in compensazione da Telecom” (p. 5).

Di conseguenza, affermano che l’onere di dimostrare l’esistenza di un tale credito (da opporre in compensazione) gravava proprio su Telecom, mentre gravava sulla Banca l’onere di dimostrare che quel credito era inesistente o già soddisfatto.

Secondo i giudici di merito la Telecom non avrebbe fornito prova sufficiente del credito opposto in compensazione, essendosi limitata a depositare delle fatture non idonee a tale scopo.

2.- La Telecom propone ricorso con un solo motivo, nel quale combina però diverse censure.

Intanto, assume violazione dell’art. 1264 c.c., nel senso che la cessione sarebbe stata ritenuta efficace nonostante fosse pattuita la necessità del consenso del debitore ceduto, che non ha espresso il suo, ed anzi, che ha, con raccomandata successiva alla cessione, negato di aderire.

In questa parte il motivo è inammissibile, per due ragioni. La prima è che la censura non corrisponde ad una decisione autonoma della sentenza impugnata. La sentenza di appello non fa alcuna menzione della efficacia della cessione e della necessità dell’assenso del debitore ceduto. Non v’è ossia un capo di sentenza su questo punto.

Avrebbe dovuto, semmai, allora la questione farsi valere come un omesso esame o una omessa pronuncia.

La seconda ragione di inammissibilità è nel difetto di autosufficienza, nel senso che, pur allegando che era previsto il consenso del debitore ceduto, tuttavia la Telecom non riporta in alcun modo la clausola relativa, nè indica dove e se l’abbia allegata, cosi che non è dato verificare se tale requisito (il consenso del debitore ceduto) è stato pattuito veramente o no.

Con ulteriore censura si lamenta violazione dell’art. 2148 c.c., nella parte in cui la banca avrebbe ritenuto smentita l’esistenza del credito opposto in compensazione da una lettera con cui la stessa Telecom invitava la controparte a fatturare ed annunciava il pagamento.

Si tratta a ben vedere non già, come prospettato, di una violazione di legge, posto che non si discute del significato della norma, quanto piuttosto del giudizio circa il valore probatorio dato ad un documento, che è nella discrezionalità del giudice di merito valutare quale prova, unitamente a tutte le altre.

Con il terzo profilo si censura, invece, sotto indicazione di norme errate (artt. 1266 e 2710 c.c.) la regola affermata dalla corte di merito in ordine all’onere della prova.

Secondo la ricorrente: “a mente dell’art. 1266 c.c., spettava al debitore-cedente, per il credito portato in compensazione, fornire la prova del pagamento integrale delle fatture, ove era stata operata la compensazione di Telecom”.

Il motivo è infondato.

Chiaramente, l’onere di dimostrare l’esistenza del credito posto in compensazione spetta a chi eccepisce la compensazione, e non già alla parte che la compensazione subisce.

Si tratta di un diritto (quello di compensare) che ovviamente, affermato in via di eccezione, incombe al titolare di provare e non al soggetto verso cui è esercitato. Il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 5200,00 Euro, oltre 200,00 di spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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