Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32782 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. III, 13/12/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 13/12/2019), n.32782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

ricorso 23787/2018 proposto da:

L.D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO

VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO

VACCARELLA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VA

TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PATTI, che lo

rappresenta e difende;

L.D.D.C.D.B.E., elettivamente

domiciliata in ROMA, LARGO TRIONFALE 7, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANNUCCI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI FRAU;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 16316/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 21/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/09/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato ROMANO VACCARELLA;

udito l’Avvocato GIOVANNI FRAU;

udito l’Avvocato LUIGI MANNUCCI;

udito l’Avvocato SALVATORE PATTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L.D.M. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la revocazione della sentenza di questa Corte n. 16316/18, del 21 giugno 2018, che ha cassato, con rinvio alla Corte di Appello di Bologna, la sentenza n. 10/15, dalla stessa emessa l’8 gennaio 2015.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che in data 30 maggio 2001 – per l’esecuzione di un lodo arbitrale irrituale, intervenuto il precedente 4 aprile tra L.D.F., da un lato, e i di lui genitori e fratelli (rispettivamente, L.D.A. ed B.E., L.D.M. ed E.) veniva conclusa una transazione. Essa, in particolare, prevedeva che L.D.F. si impegnasse a far conseguire al fratello M. (odierno ricorrente) le azioni rappresentative del 52,12% del capitale sociale della società Eurosecurities, a fronte del duplice impegno di L.D.M. sia a fargli conseguire la partecipazione totalitaria della società Finoper Crociere, e ciò “mediante la cessione dell’intero capitale sociale della Elite Merchant & Finance co.”, sia a garantire che il suo operato quale amministratore di società facenti parte del gruppo Eurosecurities non fosse oggetto di azioni di responsabilità ex art. 2392 c.c..

Riferisce, altresì, l’odierno ricorrente che con successivo “atto ricognitivo e transattivo” dell’ottobre 2001, peraltro inizialmente firmato dal solo L.D.F. (la firma del fratello M. e – per quanto qui ancora di interesse – della sorella E., oltre che dei loro genitori, essendo stata apposta soltanto il 17 aprile 2008), le parti convennero che “con la sottoscrizione del presente atto ricognitivo, autonomamente e senza ulteriori adempimenti”, si dovesse “intendere verificato l’accordo” suddetto, nonchè “superata ed abbandonata ogni ulteriore pretesa”. Tuttavia, con lettera del 29 gennaio 2008, L.D.F. contestava al fratello M. l’inadempimento dell’obbligazione di trasferirgli le azioni rappresentanti l’intero capitale sociale della Elite Merchant & Finance co., oltre alla mancata ratifica, da parte della società Sitav S.p.a., del proprio operato di amministratore, dichiarando, pertanto, di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa contenuta nell’atto transattivo del 30 maggio 2001. Di conseguenza, L.D.F., con atto notificato il 4 marzo 2008, introduceva – innanzi al Tribunale di Bologna – un giudizio volto all’accertamento dell’intervenuta risoluzione dell’accordo transattivo e alla restituzione delle prestazioni adempiute, da parte sua, fino a quel momento, maggiorate degli interessi. Peraltro, nel corso di tale giudizio, ed esattamente – come sopra rilevato – in data 17 aprile 2008, L.D.M. notificava al fratello F., a mezzo di lettera raccomandata, una copia del cd. “atto ricognitivo e transattivo” dell’ottobre del 2001, sottoscritto oltre che dallo stesso M. anche dagli altri familiari (firmatari anch’essi, per adesione, della precedente transazione del 30 maggio 2001).

Ciò detto, la domanda attorea veniva rigettata – con doppia conforme di merito – sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello felsinea, la decisione della quale era, tuttavia, cassata con rinvio dalla sentenza di questa Corte, n. 16316/18, del 21 giugno 2018.

3. Avverso la sentenza di questa Corte ha proposto ricorso per revocazione L.D.M., sulla base di un unico motivo.

3.1. Evidenzia, innanzitutto, l’odierno ricorrente come questa Corte abbia cassato la sentenza d’appello, laddove aveva ritenuto che l’atto “ricognitivo-transattivo” dell’ottobre 2001 fosse idoneo a dimostrare l’avvenuto integrale adempimento, da parte di L.D.M., delle obbligazioni assunte con la precedente transazione del 30 maggio 2001. A tale esito, in particolare, questa Corte perveniva ritenendo che le parti avessero inteso prescrivere, ex art. 1352 c.c., la forma scritta, quale requisito di validità del predetto atto “ricognitivo-transattivo”, sicchè, essendo intervenuta la sottoscrizione del documento – da parte di L.D.M. – solo in data 17 aprile 2008 (e dunque dopo che il fratello F. si era avvalso della clausola risolutiva espressa), la stessa doveva ritenersi inefficace, donde la necessità della verifica circa l’effettivo adempimento delle obbligazioni assunte dal medesimo L.D.M. con il precedente accordo del maggio 2001.

Ciò detto, secondo l’odierno ricorrente, la sentenza di questa Corte – nell’operare tale verifica – sarebbe incorsa in un macroscopico travisamento dei fatti (tale da imporne la revocazione), laddove, accolto il sesto motivo di ricorso, ha dichiarato assorbito il settimo.

Infatti, in accoglimento del sesto motivo di ricorso, questa Corte ha ritenuto che la dichiarazione inviata da L.D.M., con la quale egli si diceva disponibile a formalizzare la cessione della totalità delle azioni di Elite Merchant & Finance, non valesse come “mora accipiendi”, e dunque a liberarlo dall’obbligazione assunta, giacchè, trattandosi di offerta non formale, essa era soltanto idonea sempre secondo la sentenza impugnata – ad evitare la mora del debitore. Orbene, proprio su tali basi, la sentenza oggi impugnata ha ritenuto di dichiarare assorbito il settimo motivo di ricorso, con il quale la pronuncia della Corte bolognese era stata censurata – sotto il profilo della carenza di motivazione – quanto alla decisione di dichiarare esattamente adempiuta, da parte di L.D.M., l’obbligazione suddetta. In ciò, appunto, consisterebbe l’errore “percettivo” di questa Corte, dal momento che l’impugnata sentenza non avrebbe percepito che entrambi i giudici di merito respinsero la domanda di risoluzione della transazione, proposta da L.D.F., non perchè l’inadempimento ascritto al fratello M. non fosse a lui imputabile, ma per averne escluso la ricorrenza, sicchè affermare – come avrebbe fatto questa Corte – che l’offerta non formale dal medesimo compiuta lo ha esonerato esclusivamente dalla mora, ma non lo ha liberato dall’obbligazione, equivale a ritenere che egli fosse (o meglio, sia) ancora tenuto ad adempiere.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione L.D.F..

Il controricorrente eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso, giacchè esso investirebbe non già un errore di percezione della Suprema Corte, bensì l’attività valutativa della stessa (che, peraltro, si assume essere stata svolta correttamente), dal momento che rientra nella valutazione demandata alla Corte di Cassazione, non idonea ad integrare errore revocatorio, l’interpretazione del significato della sentenza impugnata (è citata Cass. Sez. 6-Lav, sent. 27 aprile 2018, n. 10184).

In ogni caso, si assume la non fondatezza del ricorso, in quanto la sentenza impugnata, diversamente da quanto ipotizzato dal ricorrente, non conterrebbe affatto un autonomo accertamento del presunto adempimento, da parte di L.D.M., delle proprie obbligazioni, sganciato dalle questioni affrontate e decise da questa Corte, ovvero quella relativa all’avvenuta costituzione in mora del creditore soltanto mediante offerta non formale e all’assenza di valore confessorio dell’atto “ricognitivo-transattivo” dell’ottobre 2001.

5. Ha presentato controricorso L.D. E., rassegnando, tuttavia, le medesime conclusioni del ricorrente, alla cui impugnazione ha, pertanto, aderito.

6. Tutte le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso è inammissibile.

7.1. Nel procedere al suo esame, è necessario prendere la mosse dal rilievo che “l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4), che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione” (tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2018, n. 442, Rv. 646689 – 01).

Analogamente, si è affermato che “non è idonea ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 391 bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4), la valutazione, ancorchè errata, del contenuto degli atti di parte e della motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di vizio costituente errore di giudizio e non di fatto” (tra le più recenti, Cass. Sez. 6-Lav. ord. 27 aprile 2018, n. 10184, Rv. 648204-01).

Tale è, dunque, la cornice – ovvero, quella di una costante giurisprudenza che esclude l’attività valutativa, ancorchè erronea, dall’ambito di operatività dell’istituto della revocazione – entro cui scrutinare il presente ricorso.

7.2. All’uopo è, peraltro, necessario ricostruire con esattezza il “decisum” di questa Corte, fatto oggetto della presente impugnazione.

Al riguardo, va osservato che questa Corte, con la sentenza oggi impugnata, ha, innanzitutto, escluso – cassando la decisione della Corte felsinea, sul punto, per vizio motivazionale – l’avvenuta conclusione, “per facta concludentia”, dell’atto “ricognitivo – transattivo” dell’ottobre 2001, con il che, di riflesso, ha ritenuto ancora vincolanti, tra le parti, gli impegni assunti con la precedente transazione del 30 maggio dello stesso anno (che invece il predetto atto “ricognitivo-transattivo” dava per adempiuti), e tra essi quello a carico di L.D.M. di far conseguire, al fratello F., la partecipazione totalitaria della società Finoper Crociere, mediante la cessione dell’intero capitale sociale della Elite Merchant & Finance co..

Nel contempo, la sentenza oggi impugnata per revocazione, ha pure escluso che la missiva con cui il medesimo L.D.M. si dichiarava disponibile ad adempiere tale obbligazione potesse valere come “mora accipiendi”, e dunque che fosse idonea a liberarlo dal proprio obbligo, avendo questa Corte rilevato che quella effettuata era un’offerta non formale, utile, come tale, solo ad escludere la “mora debendi”. Senonchè, la sentenza impugnata ha ritenuto assorbito, per effetto di tale statuizione, il motivo di ricorso con il quale era stata anche richiesta di valutare – sotto il profilo del difetto di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale – la decisione con cui il giudice di appello (in conformità, peraltro con quello di prime cure) aveva escluso l’inadempimento, da parte di L.D.M., dell’obbligazione suddetta.

Orbene, l’errore revocatorio oggi denunciato consisterebbe nel fatto che questa Corte, dopo aver negato l’esistenza della “mora accipiendi” in capo a L.D.F., e dunque implicitamente affermato il perdurare dell’obbligo negoziale del fratello M. a trasferirgli le azioni societarie, non avrebbe “in alcun modo esaminato” quello che viene indicato come “l’accertamento di fatto relativo all’adempimento” dell’obbligazione suddetta, “oggetto, peraltro, della cd. doppia conforme” da parte dei giudici di merito. In altri termini, ciò che si addebita a questa Corte è di avere, ad un tempo, affermato il perdurare dell’obbligazione suddetta, senza avvedersi che i giudici di merito ne avevano, invece, riconosciuto l’avvenuto adempimento.

Così ricostruito, tuttavia, l’errore addebitato alla Corte presenta carattere “valutativo”, ponendosi fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 391 bis c.p.c., visto che non solo “qualificare i motivi di ricorso”, ma anche “stabilirne l’esatto contenuto”, (oltre che “sussumerli in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c.”), costituiscono “altrettante attività di giudizio sui fatti processuali, e non di accertamento dei fatti processuali, con la conseguenza che rispetto a tali attività non è ammessa la revocazione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 15 febbraio 2018, n. 3760, Rv. 647695-01), restando, in particolare, inteso che “non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso” (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 6-5, ord. 31 agosto 2017, n. 20635).

7.3. A corroborare, peraltro, l’esito dell’inammissibilità del ricorso valgono i seguenti, ulteriori, rilievi.

Il presente ricorso per revocazione si indirizza, come visto, avverso una sentenza con cui questa Corte ha cassato, con rinvio, la decisione sottoposta al suo vaglio.

Si tratta, pertanto, di una peculiare fattispecie, in relazione alla quale si è ritenuta opportuna, di recente, una pronuncia della Sesta Sezione di questa Corte, nel particolare collegio composto da “consiglieri delle diverse sottosezioni”, secondo la previsione di cui al punto 41.2. delle tabelle di organizzazione di questo Ufficio. Si è, infatti, scelto di devolvere ad esso la questione relativa all’ammissibilità, in simili casi, del ricorso ex art. 391 bis c.p.c., datane sia la natura processuale che il suo peculiare rilievo.

Orbene, la citata sentenza – pronunciandosi in modo difforme rispetto ad un arresto di questa Terza Sezione, che aveva sancito “tout court” l’inammissibilità del ricorso per cassazione per revocazione, proposto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), e art. 391 bis c.p.c., avverso la sentenza con la quale la decisione di merito risulti cassata con rinvio, “potendo ogni eventuale errore revocatorio essere fatto valere nel giudizio di riassunzione” (Cass. Sez. 3, ord. 12 ottobre 2015, n. 20393, Rv. 637491-01) – ha precisato (o meglio, ribadito) che “il ricorso è inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio” (così Cass. Sez. 6, ord. 17 maggio 2018, n. 12046, Rv. 648547-01).

Tale, in astratto, sarebbe l’evenienza sussistente nel caso che qui occupa, giacchè il supposto errore in cui sarebbe incorsa questa Corte, quand’anche se ne volesse ipotizzare la natura “percettiva” (ma così non è, per le ragioni già illustrate), sarebbe, in ipotesi, “emendabile” proprio in sede di rinvio.

Si consideri, infatti, che la sentenza oggi impugnata, in accoglimento dell’ottavo ed ultimo motivo di ricorso, ha anche censurato – ritenendola assunta in violazione dei principi che governano il ragionamento presuntivo – l’affermazione della Corte felsinea che dall’accertamento dell’avvenuto adempimento, da parte di L.D.M., della massima parte delle obbligazioni scaturenti dalla transazione, ha presunto che il medesimo si fosse reso adempiente anche rispetto all’obbligo di far ratificare alla società Sitav l’operato del fratello quale amministratore di detta compagine sociale.

Su tali basi, la sentenza oggi impugnata ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di prova dell’adempimento, il ricorso a presunzioni semplici è possibile solo quando esse si riferiscano in modo specifico alla situazione di fatto che deve essere dimostrata, altrimenti difettando il requisito della “precisione” richiesto dall’art. 2729 c.c. Pertanto, nel caso in cui da un unico contratto scaturisca una pluralità di obbligazioni, le presunzioni devono riguardare specificatamente ciascuna delle obbligazioni dedotte, giacchè l’adempimento di alcune di esse non costituisce presunzione “precisa dell’avvenuto adempimento anche delle altre”.

A tale principio essa ha fatto seguire la decisione di cassare la sentenza “nella parte in cui trae argomento per ritenere l’avvenuto adempimento, da parte di L.D.M., di tutte (il corsivo è di chi qui scrive) le obbligazioni scaturenti dall’accordo transattivo del 30 maggio 2001 dalla circostanza che è stata raggiunta la prova dell’effettivo adempimento di (solo) alcune di esse”.

Così statuendo, pertanto, essa ha rimesso al giudice del rinvio il compito di accertare – solo nel rispetto di tale principio, che impedisce di presumere dall’adempimento di una (o più) obbligazioni l’adempimento di tutte – quali siano le obbligazioni adempiute, o meno. Ne consegue, allora, che il denunciato errore in cui questa Corte sarebbe incorsa (nel ritenere “assorbito” il motivo di impugnazione con cui, allora, si lamentava che la Corte di Appello avesse ritenuto “non inadempiente” L.D.M. rispetto all’obbligo di trasferire al fratello F. le già più volte indicate azioni societarie), non determina alcuna preclusione, per il giudice del rinvio, a pronunciarsi anche su tale aspetto, mantenendo la Corte bolognese, su di esso, quella possibilità di “libera ed autonoma valutazione” (cfr. Cass. Sez. 6, ord. n. 12046 del 2018, cit.) che costituisce, come visto, condizione preclusiva all’ammissibilità di iniziative revocatorie aventi ad oggetto sentenze con cui questa Corte abbia disposto la cassazione, con rinvio, della decisione impugnata.

8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e della controricorrente L.D.E., che ha aderito alla proposta impugnazione, e potendo ritenersi, pertanto, anch’essa soccombente (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 16 novembre 1976, n. 4252, Rv. 382940-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 3, sent. 30 gennaio 2019, n. 2525, non massimata sul punto), liquidandole come da dispositivo.

9. Non sussistono, invece, le condizioni per provvedere a norma dell’art. 96 c.p.c., come richiesto da L.D.F..

9.1. Va premesso, invero, che lo scopo di tale norma è quello di sanzionare una condotta “oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”” (tra le più recenti, “ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 30 marzo 2018, n. 7901, Rv. 648311-01; Cass. Sez. 2, sent. 21 novembre 2017, n. 27623, Rv. 646080-01), e, dunque, nel giudizio di legittimità, di uso indebito dello strumento impugnatorio.

Siffatta evenienza, tuttavia, è stata ravvisata in casi – ai quali non può ricondursi quello presente – o di vera e propria “giuridica insostenibilità” del ricorso (Cass. Sez. 3, sent. 14 ottobre 2016, n. 20732, Rv. 642925-01), “non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate” con lo stesso (così, Cass. Sez. Un., sent. 20 aprile 2018, n. 9912, Rv. 648130-02), ovvero in presenza di altre condotte processuali – al pari indicative dello “sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali”, e suscettibili, come tali, di determinare “un ingiustificato aumento del contenzioso”, così ostacolando “la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione” – quali “la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ove sia applicabile, “ratione temporis”, l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che ne esclude l’invocabilità” (Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10327, Rv. 648432-01).

10. A carico del ricorrente sussiste, infine, l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando L.D.M. ed E. a rifondere a L.D.F. le spese del presente giudizio, che liquida Euro 12.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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