Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3278 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26204-2014 proposto da:

D.B.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE PAOLO GUARINO;

– ricorrente –

contro

REGIONE BASILICATA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA n. 56, presso l’Ufficio

Legale di Rappresentanza dell’Ente, rappresentata e difesa

dall’Avvocato MAURIZIO ROBERTO BRANCATI;

– controricorrente –

e sul ricorso 26573-2014 proposto da:

S.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA VIA L.G.

FARAVELLI N. 22 presso lo studio dell’Avvocato ENZO MORRICO che la

rappresenta e difende unitamente all’Avvocato FRANCESCO LAVIANI;

– ricorrente –

contro

REGIONE BASILICATA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 56, presso l’Ufficio

Legale di Rappresentanza dell’Ente, rappresentata e difesa

dall’Avvocato MAURIZIO ROBERTO BRANCATI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 526/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 13/11/2013 R.G.N. 645/2011;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte per il ricorso R.G.N.

26573/14.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Potenza ha riunito le impugnazioni proposte, rispettivamente, dalla Regione Basilicata, avverso la sentenza del Tribunale di Potenza n. 2263/2010 che aveva accolto la domanda di D.B.G., e da S.M.C., nei confronti della decisione n. 364/2012 con la quale lo stesso Tribunale, pronunciando in fattispecie analoga, aveva, invece, ritenuto infondato il ricorso;

2. il giudice d’appello ha accolto l’impugnazione principale della Regione e respinto quella della S., premettendo in punto di fatto che con Delib. n. 759 del 2007 la Giunta regionale aveva nominato il D.B. componente della commissione giudicatrice per l’affidamento del contratto di concessione relativo alla realizzazione dell'(OMISSIS) e con la stessa deliberazione aveva individuato l’ufficiale rogante nella S., segretario della Giunta Regionale;

3. nell’atto deliberativo era stato precisato che ai dipendenti dell’amministrazione regionale sarebbe stato attribuito il medesimo compenso riconosciuto ai membri esterni, ciò in deroga alle previsioni della Delib. n. 2310 del 2004 “non trattandosi di incarico direttamente riconducibile alla funzione rivestita, bensì di nomina intuitu personae”;

4. la Corte territoriale ha ritenuto che in parte qua l’atto fosse illegittimo, perchè in contrasto con il principio di onnicomprensività previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 principio che non poteva essere derogato nella fattispecie in quanto l’attività richiesta ai dirigenti non era estranea ai compiti d’ufficio e, al contrario, era con questa strettamente collegata;

5. ha aggiunto che la Regione si era limitata ad affermare, in modo del tutto assertivo, che l’incarico veniva conferito su base fiduciaria, ma non ne aveva indicato le ragioni che, quanto alla S., erano smentite dal fatto che il Segretario Generale Regionale è per legge chiamato a rogare i contratti della Regione e, quanto al D.B., dalla circostanza che il Dipartimento Infrastrutture ed Opere Pubbliche si occupa strutturalmente e funzionalmente della realizzazione di interventi a carattere regionale, fra i quali rientrano quelli per la realizzazione di opere nel campo sanitario;

6. ha escluso che i dirigenti potessero validamente invocare il principio della tutela dell’affidamento, perchè in caso di illegittima utilizzazione del denaro pubblico gli interessi generali devono prevalere su quello del privato e la Pubblica Amministrazione deve rifiutare, anche in via di autotutela, l’esecuzione dell’atto;

7. per la cassazione della sentenza hanno proposto distinti ricorsi D.B.G. e S.M.C., i quali hanno formulato ognuno tre censure;

8. la Regione Basilicata ha resistito con controricorso ad entrambe le impugnazioni;

9. il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte nella causa n. 26573/2014, chiedendo il rigetto del ricorso;

– 10. S.M.C. ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. preliminarmente deve essere disposta, ex art. 335 c.p.c. ed in applicazione del principio generale di unicità delle impugnazioni, la riunione dei ricorsi proposti avverso la stessa sentenza;

1.1. sempre in via preliminare occorre rilevare che “nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 cit. codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale – e conseguente riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – qualora risulti proposto entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale, posto che in tale ipotesi, in assenza di una espressa indicazione di essenzialità dell’osservanza delle forme del ricorso incidentale, si ravvisa l’idoneità del secondo ricorso a raggiungere lo scopo” (Cass. n. 25954/2013 e negli stessi termini fra le più recenti Cass. S.U. n. 24876/2017); 1.2. nel caso di specie, pertanto, poichè il ricorso del D.B. è stato notificato il 31 ottobre 2014 e quello della S. il successivo 7 novembre, quest’ultimo deve essere riunito al primo e qualificato ricorso incidentale, in quanto proposto nel rispetto del termine di cui agli artt. 371 e 370 c.p.c.;

2. con il primo motivo del ricorso principale D.B.G. denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, “violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 L.A.C. e violazione dell’art. 112 c.p.c. ” e deduce, in estrema in sintesi, che la Corte territoriale non poteva disapplicare l’atto amministrativo con il quale l’incarico era stato conferito, perchè non può giovarsi della disapplicazione la Pubblica Amministrazione che all’illegittimità dell’atto abbia dato causa;

2.1. aggiunge che nella specie la Regione non aveva revocato il provvedimento in sede di autotutela nè aveva sollecitato la disapplicazione e pertanto il giudice di appello aveva anche violato il principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato;

3. la seconda censura del ricorso principale, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa di cui agli artt. 24 e 111 Cost. nonchè all’art. 101 c.p.c.;

3.1. D.B.G. evidenzia che il giudice d’appello non poteva fondare la decisione su una questione rilevata d’ufficio, se non dopo avere provocato il contraddittorio fra le parti, ed aggiunge che qualora ciò fosse stato fatto egli avrebbe potuto rappresentare le ragioni di diritto che impedivano la disapplicazione dell’atto e allegare circostanze di fatto idonee a giustificare quella fiduciarietà dell’incarico che la Corte ha ritenuto di dovere escludere;

4. la nullità della sentenza impugnata è eccepita anche con il terzo motivo del ricorso principale, che addebita alla Corte territoriale di avere violato il giudicato interno e gli artt. 112 e 115 c.p.c. perchè la Regione non aveva mai contestato che il compenso fosse dovuto e con l’appello aveva messo in discussione solo il quantum della pretesa.

5. il primo motivo del ricorso incidentale della S. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 112 c.p.c., rilevante ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè la Corte territoriale non poteva porre a fondamento della decisione una questione, ossia quella della legittimità della Delib. Dirigenziale n. 759 del 2007, che non era stata oggetto di contraddittorio fra le parti;

6. con la seconda censura la S. si duole della “violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1965, n. 2248, allegato E, artt. 4 e 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5” e sostiene che la deliberazione non poteva essere disapplicata dal giudice ordinario, sia perchè la Regione Basilicata era parte del processo e non poteva giovarsi di una nullità alla quale aveva dato causa, sia perchè l’atto in questione non veniva in considerazione quale atto presupposto bensì quale oggetto diretto ed immediato della pretesa;

7. la terza critica fa discendere la nullità della sentenza dall’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussone fra le parti ed addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che le funzioni di ufficiale rogante rientrassero nei compiti d’ufficio del segretario generale, tenuto a rogare i contratti e le convenzioni ma non a svolgere la funzione per l’intera gara di appalto;

8. il primo motivo del ricorso principale, oltre a presentare profili di inammissibilità, perchè formulato senza il necessario rispetto dell’onere di specifica indicazione del documento, imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, è infondato nella parte in cui assume che il compenso che la Regione si era impegnata a corrispondere non poteva essere negato, in quanto l’ente non aveva esercitato il potere di autotutela e l’atto non poteva essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice ordinario;

8.1. a seguito della contrattualizzazione dell’impiego pubblico ed a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2, applicabile alla fattispecie nel testo antecedente alla modifica apportata dal D.Lgs. n. 150 del 2009, “le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”, sicchè l’esercizio di poteri autoritativi, che in quanto tale sfugge al sindacato diretto del giudice ordinario, resta limitato ai cosiddetti atti di macro organizzazione, che sono quelli indicati nell’art. 2, comma 2 stesso decreto ed attengono alle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, alla determinazione delle dotazioni organiche complessive, alla individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e dei criteri di conferimento della titolarità dei medesimi;

8.2. l’atto con il quale il datore di lavoro pubblico assegna al dipendente un incarico, stabilendone il compenso, in quanto attinente alla gestione del rapporto, ha natura privatistica e, conseguentemente, rispetto allo stesso non può essere esercitato il potere di autotutela (cfr. fra le più recenti Cass. n. 21424/2019) nè quello di disapplicazione limitato agli atti amministrativi presupposti;

8.3. ha, però, aggiunto questa Corte, affermando principi ormai consolidati, che qualora l’atto adottato risulti in contrasto con norma imperativa l’ente pubblico, che è tenuto a conformare la propria condotta alla legge, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., ben può sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo ed in tal caso, al di là dello strumento formalmente utilizzato e dell’autoqualificazione, la condotta della P.A. è equiparabile a quella del contraente che non osservi il contratto stipulato, ritenendolo inefficace perchè affetto da nullità (Cass. 26.2.2016 n. 3826, Cass. 1.10.2015 n. 19626, Cass. 8.4.2010 n. 8328 e Cass. 24.10.2008 n. 25761 quest’ultima in tema di revoca di inquadramento illegittimamente attribuito);

8.4. è stato evidenziato anche, in relazione al trattamento economico ed ai principi inderogabili fissati al riguardo dal D.Lgs. n. 165 del 2001, che l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al dipendente, occorrendo anche la conformità alle previsioni della legge e della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, a ciò tenuta in forza della previsione di cui al richiamato art. 97 Cost., deve ripristinare la legalità violata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 3826/2016, Cass. 16088/2016 e Cass. n. 25018/2017);

8.5. correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che l’illegittimità della Delib. n. 759 del 2007, derivante dal contrasto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 fosse ostativa all’accoglimento della domanda proposta dal D.B. e dalla S. e pertanto la pronuncia deve essere confermata ex art. 384 c.p.c., comma 4, con la precisazione che nella specie, non venendo in rilievo un provvedimento amministrativo bensì un atto di gestione del rapporto, non poteva essere richiamato la L. n. 2248 del 1865, allegato E, art. 4;

9. è infondata anche la seconda censura del ricorso principale, innanzitutto perchè, come osservato dal Procuratore Generale nelle conclusioni depositate in relazione al ricorso n. 26573/2014, non è applicabile ratione temporis alla fattispecie l’art. 101 c.p.c., nel testo modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 13, in quanto, ai sensi dell’art. 58 stessa legge la disposizione si applica ai soli giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore;

9.1. lo stesso ricorrente principale, sia pure ad altri fini, ha fatto leva nelle premesse del ricorso sull’inapplicabilità della L. n. 69 del 2009, sottolineando che nel suo caso l’opposizione a decreto ingiuntivo era stata notificata il 19 dicembre 2008 ed aggiungendo che anche il giudizio promosso dalla S. era stato instaurato il 25 ottobre 2008;

9.2. nè il D.B. può utilmente invocare il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935/2009 perchè, sebbene il giudice d’appello abbia motivato anche in relazione alla mancanza di fiduciarietà dell’incarico, la principale ratio decidendi della pronuncia va ravvisata nella ritenuta violazione del principio di onnicomprensività, violazione che integra una questione giuridica e non di fatto;

9.3. alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve poi aggiungere che nella motivazione della sentenza impugnata sono riportati passaggi della decisione di primo grado (pag. 7) dai quali si desume che la questione della legittimità dell’atto con il quale il compenso era stato determinato era entrata a far parte del thema decidendum, anche se poi il Tribunale l’aveva ritenuta non rilevante perchè recessiva rispetto alla necessaria tutela dell’affidamento riposto dal dipendente sul rispetto delle condizioni proposte dall’amministrazione;

10. infine è inammissibile il terzo motivo del ricorso principale, formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, che valgono anche nei casi in cui il ricorrente denunci un error in procedendo, rispetto al quale questa Corte è giudice del “fatto processuale”, perchè l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);

10.1. il D.B. asserisce che sull’an debeatur si sarebbe formato giudicato interno, ma non riporta nel ricorso, quantomeno nelle parti essenziali, nè la motivazione della sentenza di primo grado nè l’atto d’appello, il che impedisce alla Corte di valutare ex actis la fondatezza della censura;

11. dalle ragioni esposte nei punti che precedono discende l’infondatezza anche del ricorso incidentale della S., in relazione al quale si osserva in aggiunta, quanto al primo motivo, che nessuna violazione del principio del contraddittorio può essere addebitata alla Corte territoriale, dal momento che l’illegittimità della Delib. n. 759 del 2007 era già stata ritenuta dal Tribunale, che aveva richiamato il principio di onnicomprensività invocato dalla Regione nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo (pag. 8 e pag. 14 della sentenza gravata);

12. il secondo motivo è infondato perchè, come si è già detto, si discute nella specie di un atto di gestione del rapporto e non di un provvedimento amministrativo ed infine la terza censura è inammissibile in quanto esorbita dai limiti del riformulato art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 7 novembre 2013), e censura l’accertamento di fatto riservato al giudice del merito;

12.1. non possono essere apprezzate le deduzioni contenute nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c. quanto all’asserita violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., ai quali non fa cenno il terzo motivo del ricorso;

12.2. occorre ribadire al riguardo che nel giudizio di cassazione, a critica vincolata, la memoria di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 2, al pari di quella ex art. 378 c.p.c. ha la funzione di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso, non già di integrarli (Cass. n. 30760/2018);

13. in via conclusiva devono essere rigettati entrambi i ricorsi con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

14. Sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte riunisce ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 400,00 per esborsi ed Euro 8000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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