Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32761 del 18/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 18/12/2018), n.32761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24656-2017 proposto da:

ANAS SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI 1,

presso lo studio dell’avvocato PASQUALI NAPPI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MASSIMO NAPPI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1553/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, del

16/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. DE MARINIS

NICOLA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 27 aprile 2017, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Bari che aveva parzialmente accolto la domanda proposta da D.P.C. nei confronti di ANAS S.p.A., dichiarando la nullità del termine apposto ai nove contratti, stipulati nel periodo 1.2.2005/1.3.2012, la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dall’1.2.2005 implicante, in relazione alle mansioni di operatore specializzato svolte dal D.P., l’inquadramento del medesimo nell’area operativa e di esercizio, posizione operativa ed economica B1 ed il diritto dello stesso ad un’indennità pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione di intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso, generica la causale ed, altresì, non corrispondente alle modalità concrete di utilizzo del D.P. da parte della Società datrice, giustificata dal rifiuto immotivatamente opposto all’accordo conciliativo proposto dal giudice la condanna ex art. 96 c.p.c.;

che per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il D.P.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

che la Società ricorrente ha poi presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 2697 c.c. e art. 437 c.p.c., imputa alla Corte di aver gravato la Società di un onere probatorio, quello relativo all’esistenza delle condizioni legittimanti l’apposizione del termine, non posto dalla legge a suo carico e di aver erroneamente quello stesso onere, in relazione al quale la Società aveva comunque offerto allegazioni e prove, valutato non assolto dalla stessa;

che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, la Società ricorrente lamenta l’essere l’iter logico giuridico seguito dalla Corte territoriale viziato dalla ritenuta inidoneità della causale invocata, avente ricorrenza ciclica e pertanto non straordinaria, a giustificare il ricorso alle assunzioni a termine;

che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. è prospettata con riferimento alla statuizione in ordine alla spese di lite, il cui annullamento è richiesto quale conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi e, solo, in subordine, in via autonoma in ragione dell’affermata incongruità tra la motivazione addotta dalla Corte territoriale ed il contegno delle parti in sede di tentativo di conciliazione;

che, rilevata l’infondatezza del primo motivo, dovendosi ritenere, alla stregua dell’orientamento invalso nella giurisprudenza di questa Corte, il datore di lavoro onerato della prova dell’idoneità giustificativa del ricorso all’assunzione a termine della causale invocata, si deve ritenere l’inammissibilità del secondo, non cogliendo la censura proposta, incentrata sull’ammissibilità del ricorso alle assunzioni a termine a fronte di esigenze di incremento periodico dell’organico indotte dall’intensificarsi ciclico dell’attività ordinaria, l’effettiva ratio decidendi dell’impugnata sentenza data dalla non corrispondenza della causale addotta in contratto rispetto all’impiego in concreto del lavoratore, come pure si rivela inammissibile il terzo motivo, viziato da genericità, non dando conto la Società ricorrente dell’effettività di quanto dedotto in ordine al contegno delle parti in sede di tentativo di conciliazione e, così, dell’inconsistenza della ragione sottesa alla pronunzia della Corte territoriale, che imputa alla Società il rifiuto dell’opzione conciliativa persuasa della consapevolezza da parte della medesima della pretestuosità della causale invocata; che, pertanto, condividendosi la proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018

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