Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32758 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – rel. Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4331-2014 proposto da:

FONDAZIONE CASSA RISPARMIO DELLA SPEZIA, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

ZOPPINI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIUSEPPE PIZZONIA, LEONE PONTECORVO, FERRUCCIO AULETTA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

FONDAZIONE CASSA RISPARMIO DELLA SPEZIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 140/2013 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 07/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO ANGELO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha

chiesto che la Corte rigetti il ricorso principale con assorbimento

del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

La Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia (d’ora in poi, “la Fondazione”) impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), recante il diniego di agevolazione di cui al combinato disposto della L. n. 489 del 1993, art. 1, e della L. n. 218 del 1990, art. 7.

Tale avviso si riferiva alla plusvalenza realizzata all’atto del conferimento delle azioni della Cassa di Risparmio della Spezia s.p.a. nella Carinord Holding s.p.a.

In particolare, la Fondazione, ritenendo di non essere vincolata, quale soggetto privato, ai fini dell’agevolazione fiscale de qua, all’approvazione, da parte dell’allora Ministero del Tesoro, di un piano di riorganizzazione unitario, aveva assoggettato ad imposta sostitutiva del 25 per cento solo il 15 per cento della plusvalenza, in applicazione del regime agevolativo di cui al combinato disposto della L. n. 489 cit., art. 1, e della L. n. 218 cit., art. 7. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio deducendo che avrebbe dovuto essere assoggettata ad imposta sostitutiva (del 25 per cento) l’intera plusvalenza, in quanto l’agevolazione in esame spettava solo per le operazioni effettuate nell’ambito di un programma unitario approvato con decreto del Ministero del Tesoro, mentre pacificamente l’operazione costituente l’antefatto dell’avviso di accertamento era stata perfezionata al di fuori di un programma unitario.

I primi due gradi di merito vedevano la soccombenza dell’Agenzia, che proponeva ricorso per cassazione.

La Suprema Corte, con ordinanza del 30 marzo 2009, invitava le parti a presentare osservazioni ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3, sulla questione rilevata d’ufficio della compatibilità del regime agevolativo, nel caso di sua applicazione da parte di un soggetto privato e in quanto tale non tenuto ad agire, secondo la prospettazione della Fondazione, nell’ambito di un piano organizzato unitario approvato dal Ministero del Tesoro, con le regole comunitarie in tema di aiuti di Stato.

La sentenza n. 8082/2010 della Suprema Corte accoglieva il ricorso dell’Amministrazione, decidendo nel merito la controversia e rigettando il ricorso introduttivo della Fondazione.

In data 1^ settembre 2010, è stata notificata alla Fondazione odierna ricorrente la cartella di pagamento n. (OMISSIS), recante il ruolo n. 2010/271, con la quale è stato chiesto il pagamento, oltre che delle imposte e degli interessi derivanti dal disconoscimento dell’agevolazione fiscale di cui la Fondazione aveva ritenuto di poter fruire, anche delle sanzioni correlate alla pretesa principale, per un importo pari ad Euro 12.084.867,08.

In data 9/9/2010, l’Agenzia, su istanza della Fondazione, ha sospeso il ruolo nella parte relativa alle sanzioni.

In data 28 marzo 2012, l’Agenzia ha notificato all’odierna ricorrente il provvedimento di revoca della sospensione del ruolo, così manifestando nuovamente la pretesa di pagamento delle sanzioni già correlate al disconoscimento dell’agevolazione fiscale “de qua”.

In data 29 marzo 2012 la Fondazione ha impugnato dinanzi alla CTP di La Spezia il ruolo n. 2010/271, formato in seguito al deposito della sentenza della Corte di Cassazione n. 8082/2010, nonchè il provvedimento prot. n. 2012/10725 con il quale era stata di nuovo conferita esecutività al ruolo, previa la revoca della precedente sospensione.

In particolare, la tesi sostenuta dalla Fondazione è che, avendo la Suprema Corte, con la citata sentenza, posto a base della pretesa erariale il carattere di indebito aiuto di Stato in capo all’agevolazione fruita da essa ricorrente, le sanzioni correlate all’avviso di accertamento dovrebbero essere escluse dalla pretesa erariale, in quanto il suo comportamento, seppur non conforme all’ordinamento, sarebbe stato tenuto in buona fede, sulla base di una legge dello Stato dichiarata successivamente incompatibile con le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato.

La CTP ha rigettato il ricorso, con sentenza confermata dalla Commissione Regionale della Liguria.

In sostanza, i giudici di secondo grado hanno interpretato la sentenza della Suprema Corte n. 8082/2010 nel senso che quest’ultima avrebbe disatteso la prospettazione della Fondazione volta ad ottenere la esclusione delle sanzioni per obiettiva incertezza rispetto alla portata del precetto violato.

Con riferimento, poi, alla prospettata esclusione delle sanzioni sulla base del fatto che le agevolazioni fiscali godute non erano vietate dall’ordinamento interno, ma costituivano solo un indebito, e quindi illegittimo, aiuto di Stato, non ammesso dall’Unione Europea, i giudici di merito hanno ritenuto che la richiamata sentenza della Suprema Corte non avesse inteso escludere le sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento allora impugnato, in quanto la contribuente, nelle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3, non aveva sollevato lo specifico tema della inesigibilità delle sanzioni.

La Fondazione ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR della Liguria, depositata in data 7/11/2013, sulla base di tre motivi, articolati ciascuno di essi in diversi profili di censura.

L’Avvocatura erariale ha svolto attività difensiva, depositando un controricorso contenente un ricorso incidentale condizionato articolato in due motivi, al quale ha resistito la Fondazione con controricorso.

Il Sostituto Procuratore Generale e la Fondazione hanno depositato memorie scritte a ridosso dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Nella camera di consiglio non partecipata del 24/10/2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

1. Il ricorso incidentale proposto dall’Avvocatura erariale prospetta una questione pregiudiziale di rito decisa per essa sfavorevolmente in appello (l’inammissibilità dell’originario ricorso di primo grado della Fondazione). Tale questione, in base ad un rigoroso ordine logico, andrebbe decisa prima delle questioni di merito proposte con il ricorso principale, rispetto alle quali l’Amministrazione è risultata totalmente vincitrice all’esito (anche) del giudizio di appello. Tuttavia, deve essere esaminato per primo il ricorso della Fondazione, sia in base al criterio della ragione più liquida, sia perchè l’interesse all’esame del ricorso incidentale avente ad oggetto la decisione di questioni pregiudiziali di rito in senso sfavorevole alla parte totalmente vincitrice nel merito sorgerebbe solo nel caso in cui il ricorso principale della parte soccombente nel merito dovesse essere accolto (ex coeteris, Cass., sez. 2, n. 5134/2019; SS.UU. n. 7381/2013).

2. Con il primo motivo del ricorso principale, rubricato “Violazione e/o.falsa applicazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della cosa giudicata in relazione all’art. 12 disp. gen., comma 1, (R.D. 16 marzo 1942, n. 262)”, la Fondazione censura la sentenza impugnata per avere frainteso la portata del giudicato esterno formatosi in virtù della sentenza di questa Suprema Corte n. 8082/2010. In sostanza, secondo la prospettazione della contribuente, la citata sentenza, che aveva cassato la sentenza di appello, favorevole alla Fondazione, e deciso nel merito la causa rigettando il ricorso introduttivo della contribuente, avrebbe posto a base della pretesa erariale una causa petendi diversa rispetto a quella dell’avviso di accertamento: non l’illegittima fruizione delle agevolazioni fiscali previste dalla L. n. 218 del 1990 (cd. legge Amato), in quanto godute senza che fosse intervenuto il provvedimento ministeriale di approvazione del piano di ristrutturazione bancaria; ma la qualificazione di tali agevolazioni fiscali come indebito aiuto di Stato, con il conseguente obbligo dell’Amministrazione di recuperarle.

Il corollario della testè esposta prospettazione della contribuente è che tale immutazione arrecata alla causa petendi dell’avviso di accertamento abbia reso inesigibili le sanzioni, secondo il seguente ragionamento: la Suprema Corte, con la sentenza n. 8082/2010, avrebbe stabilito non che il soggetto privato che avesse posto in essere una operazione di ristrutturazione bancaria senza che il relativo programma fosse stato approvato dal Ministero del Tesoro non potesse fruire delle agevolazioni fiscali previste dalla L. n. 218 del 1990, con il conseguente recupero delle stesse unitamente all’irrogazione delle sanzioni; bensì che, essendo l’approvazione ministeriale riservata alle operazioni di ristrutturazione degli enti pubblici, il soggetto privato che avesse fruito delle agevolazioni fiscali in parola non avrebbe violato la L. n. 218 del 1990, ma avrebbe beneficiato di un aiuto di Stato indebito secondo il diritto dell’Unione Europea, con la conseguenza che lo Stato avrebbe dovuto sì recuperare l’indebito aiuto, ma senza irrogare sanzioni, in quanto il contribuente si sarebbe in buona fede conformato all’ordinamento interno che tali agevolazioni aveva riconosciuto.

La Fondazione, nel suo primo motivo di ricorso, ben sintetizza il quesito di diritto ad esso sotteso, la cui risposta è devoluta a questa Corte: “se, come ritiene corretto la ricorrente in forza dei canoni ermeneutici di cui all’art. 12 preleggi, sia da interpretare la sentenza di codesta ecc. ma Corte Suprema n. 8082/2010, cit., integrante giudicato esterno tra le parti, nel senso che la pretesa dell’Ufficio relativa all’obbligazione principale si fonda sulla sopravvenuta riqualificazione del regime agevolativo quale forma indebita di aiuto di Stato fruito dalla Fondazione, ovvero se sia da interpretare l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato nel senso che la pretesa fiscale si fonda sulla mancanza dei presupposti originariamente richiesti dalla norma interna ai fini dell’applicazione del regime agevolativo, così soltanto potendosi legittimare attualmente la accessoria pretesa della sanzione”.

3. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 384 c.p.c., comma 3, e all’art. 112 c.p.c.”, la Fondazione censura la sentenza impugnata per aver commesso un error in iudicando de iure procedendi.

In particolare, i Giudici di appello hanno affermato che la mancata formulazione, nell’ambito delle “osservazioni” di cui all’art. 384 c.p.c., comma 3 (in ordine alla questione rilevata d’ufficio nel giudizio deciso con la sentenza n. 8082/2010 della compatibilità dell’agevolazione fruita dalla Fondazione con le regole comunitarie in materia di aiuti di Stato), di specifiche deduzioni circa la non sanzionabilità della condotta di indebita fruizione di aiuto di Stato, precluderebbe l’esame della questione.

Secondo la contribuente, il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello introdurrebbe un onere non previsto dalla legge, avente ad oggetto la formulazione di osservazioni in seguito al rilievo di ufficio di una questione da parte della Suprema Corte, il cui inadempimento determinerebbe, inammissibilmente, una sorta di acquiescenza tacita anticipata rispetto al provvedimento poi emesso per dirimere la controversia.

Inoltre, secondo la Fondazione, qualificare le osservazioni come oggetto di un onere processuale finirebbe per negare l’efficacia espansiva esterna della pronuncia della Suprema Corte n. 8082/2010 rispetto alle sanzioni contenute nell’avviso di accertamento impugnato nel corso di quel processo: queste sarebbero venute meno in conseguenza dell’accertamento, asseritamente compiuto nella sentenza da ultimo citata, che la fruizione delle agevolazioni da parte della Fondazione, pur essendosi concretizzata in un indebito aiuto di Stato sul piano comunitario, sarebbe avvenuta in conformità ad una legge dello Stato.

4. Con un terzo motivo, rubricato “Nullità della sentenza, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c.”, la Fondazione ha censurato la sentenza di appello per avere essa affermato che le doglianze formulate dalla contribuente avverso la cartella di pagamento e il ruolo non fossero più proponibili nel corso del presente giudizio, in quanto reiterano quelle afferenti alla violazione del diritto di difesa già fatte valere nel giudizio di revocazione della sentenza n. 8082/2010, chiusosi con sentenza n. 21023/2012, di inammissibilità.

In particolare, la Fondazione assume che la sentenza di inammissibilità resa nell’ambito del giudizio di revocazione della sentenza n. 8082/2010 non abbia alcun rilievo nell’ambito del presente giudizio.

5. I tre motivi sono strettamente connessi e possono essere decisi congiuntamente.

Essi sono infondati.

5.1 Osserva il Collegio che la nozione di “cosa giudicata” ha una duplice accezione, formale e sostanziale.

La cosa giudicata formale è disciplinata nell’art. 324 c.p.c., a norma del quale “s‘intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta nè a regolamento di competenza, nè ad appello, nè a ricorso per cassazione, nè a revocazione per i motivi di cui all’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5”.

A maggior ragione, si deve osservare, il giudicato formale investe la sentenza pronunciata dalla Suprema Corte che decide la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. L’accezione sostanziale del giudicato la si trova descritta nell’art. 2909 c.c.: “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

5.2 Orbene, nel caso che ci occupa, viene in rilievo una sentenza (la n. 8082/2010) che ha deciso nel merito sulla legittimità di un avviso di accertamento contenente anche le sanzioni della cui irrogazione la Fondazione si duole, rigettando il ricorso introduttivo della contribuente.

Sicchè, è sufficiente leggere il dispositivo della sentenza n. 8082/2010 della Suprema Corte, passata in giudicato, per giungere ad un giudizio di infondatezza dell’odierno ricorso della Fondazione.

E’ ben vero che per interpretare correttamente la portata di un giudicato esterno sono rilevanti sia il dispositivo che la motivazione (tra le più recenti, v. Cass., sez. L, n. 21165/2019; Cass., sez. 6-3, n. 19252/2018), ma è altrettanto vero che quando il dispositivo è autosufficiente, in quanto, più che dettare esso stesso la regola del caso concreto, si limita a dare una risposta secca a doglianze rivolte al modo in cui un rapporto è stato regolato da un atto situato fuori dal processo, è al solo dispositivo che occorre guardare per stabilire quale sia stata la risposta data e quali siano gli effetti di tale risposta.

5.3 La sentenza n. 8082/2010, passata in giudicato, ha chiuso un processo impugnatorio di un avviso di accertamento che, sul presupposto che la Fondazione aveva fruito di agevolazioni fiscali in violazione della L. n. 218 del 1990, poneva in capo ad essa l’obbligo di pagare all’erario la somma non versata in linea capitale con gli interessi, oltre all’obbligo di pagare le sanzioni per la violazione perpetrata.

L’avviso di accertamento, dunque, aveva fissato la regola di composizione di un conflitto tra l’Amministrazione e la contribuente scaturito dalla violazione da parte della Fondazione del regime di fruizione delle agevolazioni fiscali di cui alla L. n. 218 del 1990.

Contro tale regola è insorta in giudizio la contribuente, giudizio in esito al quale questa Corte, rigettando nel merito il ricorso proposto contro l’avviso di accertamento, ha lasciato quest’ultimo intatto.

Nel caso ipotetico di un eventuale irriducibile contrasto tra la motivazione e il dispositivo della sentenza, sarebbe quest’ultimo a dover prevalere, proprio perchè l’assetto definitivo dei rapporti tra le parti non sarebbe conformato dalla sentenza passata in giudicato, ma dall’avviso di accertamento, divenuto, salvi i casi di revocazione, giudiziariamente intangibile.

Dunque, in un processo impugnatorio di un atto amministrativo, come un avviso di accertamento, che definisce la regola (seppur non giurisdizionale, ma pur sempre autoritativa) di composizione di un conflitto, il dispositivo di rigetto dell’impugnazione (dell’atto) è sufficiente per interpretare il giudicato, visto che esso lascia in piedi l’atto amministrativo in tutta la sua consistenza giuridica.

Nel caso che ci occupa, l’avviso di accertamento della cui riscossione si tratta è uscito indenne, anche nella parte relativa alle sanzioni irrogate, dal processo conclusosi con la sentenza n. 8082/2010, sicchè quell’avviso di accertamento non può più, ora, essere rimesso in discussione in sede giurisdizionale.

Ma vi è di più.

6. Anche a voler seguire l’impostazione della Fondazione, che svaluta del tutto il dispositivo della sentenza n. 8082/2010 per cercare di dimostrare che il rilievo officioso della natura di indebito aiuto di Stato, rivestita dall’agevolazione fiscale fruita, abbia mutato la causa petendi dell’avviso di accertamento, fondando sulla illegittimità comunitaria anzichè sulla illegittimità “interna” l’agevolazione fiscale goduta dalla ricorrente, con la conseguenza di dover escludere le sanzioni dalla riscossione, il ricorso della contribuente non può essere accolto.

6.1 Si deve ricordare, in primo luogo, che il giudizio tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, bensì tra quelli di impugnazione-merito, sicchè esso è funzionale ad una pronuncia di merito sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (ex coeteris, Cass., sez. 5, n. 11212/2007).

Ne consegue che se la Suprema Corte avesse voluto escludere le sanzioni dall’avviso di accertamento allora impugnato, lo avrebbe fatto modificando il contenuto dell’avviso di accertamento.

6.2 In secondo luogo, dalla lettura dello stralcio della sentenza n. 8082/2010, trascritto nel ricorso della Fondazione, emerge che la Suprema Corte non ha affatto immutato la causa petendi dell’avviso di accertamento, e che, anzi, ha accolto in pieno le tesi dell’Amministrazione.

In particolare, deve evidenziarsi il seguente passo motivazionale, trascritto a pag. 14 del ricorso, rigo 16: “Il Collegio osserva, innanzitutto, che, nel sostenere la riconducibilità dell’operazione al regime agevolativo esaminato dalla già riportata decisione della Commissione CE, è la stessa Fondazione, in definitiva, a ritenere che la stessa operazione sia da considerare nel quadro della ristrutturazione del sistema creditizio pubblico disciplinato dalla L. n. 218 del 1990, e, quindi, necessariamente realizzabile soltanto nell’ambito di un programma approvato dall’Autorità governativa”.

Come dire: preliminarmente alla qualificazione di aiuto indebito di Stato rivestito dall’agevolazione fiscale di fatto fruita dalla Fondazione (“…innanzitutto…”), questa Corte ha chiarito che essa in tanto avrebbe potuto fruire del regime agevolativo, in quanto l’operazione di ristrutturazione fosse stata autorizzata dall’autorità governativa.

6.3 In definitiva, il ricorso principale è infondato. Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

7. Le spese del giudizio di cassazione sono poste a carico della ricorrente principale, in base al principio della soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato.

Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro trentottomila per onorari, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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