Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32743 del 18/12/2018

Cassazione civile sez. I, 18/12/2018, (ud. 17/10/2018, dep. 18/12/2018), n.32743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 28510/2014 proposto da:

A.m.a. – Azienda Municipale Ambiente S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

A. Depretis n. 86, presso lo studio dell’avvocato Cavasola Pietro,

rappresentata e difesa dagli avvocati Opilio Laura e Pellegrino

Gianluigi, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Consorzio Laziale Rifiuti – Co.La.Ri., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via

Barbana Oriani n. 85, presso lo studio dell’avvocato Di Gravio

Valerio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Presutti Avilio, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2668/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/10/2018 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con sentenza 2668/14 del 22 aprile 2014, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’impugnazione ex art. 829 c.p.c., proposta da A.M.A. Azienda Municipale Ambiente s.p.a., avverso il lodo arbitrale 8.2.2012 che, su domanda del Consorzio Laziale Rifiuti – Co.La.Ri., aveva pronunciato la condanna dell’impugnante a tenere indenne il Co.La.Ri dagli oneri connessi alla gestione della discarica di Malagrotta ed, in particolare, degli oneri sostenuti per la lavorazione dei rifiuti nelle giornate festive, per la gestione post-mortem del sito di ubicazione della discarica e per fronteggiare l’incremento delle attività di raccolta notturna.

1.2. In particolare, il decidente adito richiesto di sindacare la legittimità del pronunciamento arbitrale nella parte in cui l’A.M.A. era stata condannata a pagare in favore del Co.La.Ri. la somma di Euro 76.391.533,29 a titolo di rimborso dei maggiori oneri connessi al sopravvenuto obbligo del Consorzio di assicurare la gestione post operativa della discarica per almeno trenta anni, anzichè per dieci anni come contrattualmente previsto, si è detto convinto, all’esito della ricognizione delle fonti normative regolanti la materia, che “la direttiva CE n. 31 del 1999 e il D.Lgs. n. 36 del 2003, stabiliscano un principio generale che sicuramente si applica anche a tutte le discariche già in esercizio al momento dell’entrata in vigore quantomeno del decreto legislativo di recepimento” e, sull’assunto che dalle citate disposizioni “emerge con assoluta evidenza che è inevitabile che il costo della gestione della fase post-operativa venga calcolato ben prima che la discarica cessi di funzionare”, è pervenuto alla conclusione – confermando perciò l’adottata statuizione arbitrale – di ritenere che le citate disposizione “pongono a carico del gestore l’obbligo di curare a proprie spese la gestione post-operativa della discarica sul presupposto, però, che lo stesso gestore è già stato compensato per tale prestazione con il prezzo a lui corrisposto per lo smaltimento dei rifiuti”.

1.3. Avverso la predetta decisione la soccombente propone ora ricorso a questa Corte sulla base di sei motivi, ai quali replica l’intimato con controricorso.

Requisitorie scritte del P.M. e memorie di entrambe le parti ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo di ricorso A.M.A. censura l’impugnata decisione per violazione dell’art. 81 c.p.c., art. 2602 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 e della Dir. Cee 26/04/1999n. 1999/31/CE nel capo di essa che, respingendo il relativo motivo di nullità, ha rigettato, reputandolo in parte infondato, alla luce del vincolo intercorrente tra A.M.A. e Co.La.Ri in forza del contratto 26.1.1996, ed inammissibile in quanto volto a confutare l’interpretazione di esso resa dal collegio arbitrale, l’eccepito difetto di legittimazione attiva del Consorzio, atteso che la Corte d’Appello, ignorando la circostanza che il gestore della discarica era nella specie una terza consorziata, aveva liquidato la questione – incorrendo in tal modo nel vizio “di omesso esame di un fatto decisivo” e nella violazione delle altre norme codicistiche denunziate – sul mero assunto che il Consorzio si fosse autodichiarato titolare dei diritti azionati, quantunque titolare di essi si dovesse ritenere l’impresa terza investita della gestione della discarica e le obbligazioni fatte valere avessero fonte non nel contratto, ma nella legge.

2.2. Il motivo, debitamente sfrondato di quelle doglianze (violazione inerenti il D.Lgs. n. 36 del 2003 e la Dir. Cee n. 1999/31/CE) che non possono trovare seguito alcuno per insanabile difetto di specificità e pur ad onta delle altre eccezioni che vi muovono congiuntamente il P.M. ed il controricorrente in punto di inammissibilità – e segnatamente di quella che denuncia la novità delle questioni con esso sollevate, che non appare giudicabile non essendo stato riprodotto il relativo motivo di impugnazione – è, quanto al resto e per gli stessi effetti, estraneo al perimetro decisionale tracciato dal decidente, in quanto non ne intercetta la ratio.

2.3. Ed invero la Corte d’Appello, dopo aver effettivamente preso atto che il Consorzio aveva agito per far valere un diritto del quale affermava – ed afferma – di essere l’unico titolare in virtù di un contratto da esso stesso stipulato, ha motivatamente argomentato il carattere conducente di quanto così asserito, con l’osservazione che l’obiezione impugnante introduce “una questione di merito che il Collegio arbitrale ha risolto interpretando il contratto, sia alla luce del contenuto letterale dello stesso, sia valutando – in applicazione degli altri criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 c.c. e segg., l’esecuzione data dalle parti all’atto integrativo del 26.1.1996 e lo statuto del Co.La.Ri. Interpretato il contratto il Collegio ha affermato che lo stesso configura un “appalto pubblico di servizi” ed ha statuito che lo stesso attribuisce al Co.La.Ri e non ad altri (consorziati o meno che siano) il diritto azionato con il procedimento arbitrale”. E da ciò ha tratto la conclusione che lo svolto motivo di impugnazione debba ritenersi perciò inammissibile “perchè l’A.M.A. non denuncia la violazione di alcuna regola di ermeneutica contrattuale, ma si limita a dare per scontato (senza peraltro motivare sul punto) che l’atto integrativo ha un significato diverso da quello accertato dal Collegio”.

2.4. Con ciò il giudice del gravame ha voluto sottolineare che il deliberato adottato in parte qua dal collegio arbitrale è frutto di un ragionamento interpretativo condotto dal giudice privato sulle risultanze contrattuali e sul comportamento tenuto dalle parti successivamente alla stesura dell’accordo contrattuale del 26.1.1996; e che, nel censurare davanti a sè il risultato di siffatta interpretazione, l’impugnante, nuovamente insistendo sul difetto di legittimazione del Consorzio, si è astenuto dal denunciare quali regole di ermeneutica contrattuale l’interpretazione contestata abbia violato, limitandosi a ribadire che l’atto in questione ha un significato diverso da quello accertato dagli arbitri.

Ne discende, allora, che allorchè anche in questa sede la ricorrente si limita a reiterare l’asserto già portato al vaglio del giudice del gravame e da questi disatteso con argomentazioni che non trovano replica nell’illustrazione della doglianza, astenendosi perciò dal prendere posizione riguardo ad esse, attraverso il metro di una critica ragionata e pertinente, il motivo non intercetta la ratio posta dal decidente a fondamento della pronunciata declaratoria e nuovamente si rende per questo inammissibile.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso l’A.M.A. lamenta la violazione dell’art. 226, (recte, art. 276), comma 2 e art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 4, 5, 7 e art. 823 c.p.c., sul rilievo che il giudice del gravame, sempre rigettando il relativo motivo di nullità, aveva erroneamente disatteso l’eccezione di incompetenza, da essa sollevata in ordine alla cognizione arbitrale delle domande esuberanti dal rapporto contrattuale, ritenendo che, non essendo state le medesime accolte, l’impugnante fosse perciò priva di interesse a dolersene, quando, al contrario, gli arbitri ne avevano pronunciato la condanna in relazione ad oneri di gestione che andavano “ben al di là del rapporto contrattuale”.

3.2. Il motivo, come bene ha sostenuto il P.M., riflette il preteso errore interpretativo in cui sarebbe caduto il giudice privato pronunciando la condanna di A.M.A. nella creduta convinzione che tutte le domande accolte avessero fondamento nel contratto tra le parti, ancorchè talune di esse, per il fatto di mutuare la propria fonte altrove, dovessero invece reputarsi estranee alla convenzione di arbitrato e rendessero perciò la relativa decisione viziata per aver pronunciato oltre i limiti di essa. E tale errore sarebbe stato reiterato anche dal giudice del gravame che aveva potuto rilevare il difetto di interesse dell’impugnante a far valere il vizio in parola sul condiviso presupposto che tutte le domande accolte dagli arbitri avessero natura contrattuale, sicchè, essendo stata la domanda di condanna di A.M.A. ai sensi dell’art. 2041 c.c., respinta (“E’ vero che gli arbitri hanno esaminato la domanda proposta da Co.La.Ri. ai sensi dell’art. 2041 c.c., ma è vero pure che tale domanda essi l’hanno rigettata”), nessun interesse aveva perciò l’impugnante a lamentare che gli arbitri, pur così statuendo, avessero ecceduto i limiti della propria cognizione.

3.3. Così “ricucita” la doglianza, pur in disparte dalle altre ragioni di inammissibilità eccepite ex adverso, non si sottrae comunque alla medesima sanzione, dappoichè, posto che la qualificazione come contrattuale di una domanda che si reputa non lo sia è diretto riflesso della lettura che il giudice del gravame, facendo proprio l’approccio degli arbitri ha condotto delle carte processuali, pretenderne ora la revisione postula una rinnovazione del sindacato fattuale esperito nelle pregresse fasi del giudizio e si pone perciò in aperto contrasto con il principio, parimenti ostativo alla sua scrutinabilità in questa sede, secondo cui l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità (Cass., Sez. 3, 26/06/2007, n. 14751).

4.1. Con il terzo motivo di ricorso – a cui la ricorrente ha fatto seguire anche un motivo 3 bis di cui si dirà, più opportunamente a suo tempo – oggetto di lagnanza, sotto il duplice profilo della violazione o falsa applicazione di legge, nonchè dell’omesso esame di un fatto decisivo, è il capo della decisione d’appello che ha ritenuto non censurabile il lodo impugnato per aver questo applicato retroattivamente le disposizioni recate dal D.Lgs. n. 36 del 2003, circa il prolungamento degli oneri di gestione della discarica post-mortem, confermando in tal modo la liquidazione del dovuto operata dagli arbitri; e ciò malgrado in sede di gravame si fosse eccepito che l’applicazione delle disposizioni dianzi citate alle discariche in esercizio non potesse riguardare i rifiuti già “abbancati” prima della loro entrata in vigore e che, nella liquidazione da loro operata, gli arbitri non avessero considerato le somme, di gran lunga eccedenti, già versate da A.M.A. al titolo preteso.

4.2. Il motivo, ancora bersaglio delle eccezioni che in punto di inammissibilità vi muovono, in via pregiudiziale, entrambi i contradditori, introduce una questione estranea all’area del giudizio, giacchè davanti al giudice dell’impugnazione le doglianze rappresentate da A.M.A., intersecanti questo profilo della lite, erano intese, secondo quanto riporta la sentenza qui impugnata, “a censurare l’affermazione da parte del collegio del diritto di Co.La.Ri. al pagamento delle somme ulteriori a compensazione dell’aumento da 10 a 30 anni del periodo di gestione post-operativa della discarica” e a “censurare la statuizione che ha determinato l’entità delle ulteriori somme”. Nè, peraltro, il carattere conducente di questo rilievo – reso tanto più decisivo dalla considerazione che neppure laddove la sentenza della Corte romana si dà cura di approfondire il tema della liquidazione del tantudem le questioni qui accennate trovano ragione di emergere, ancorchè quello fosse, nell’iter logico della decisione, il luogo “processuale” più idoneo a giustificarne la trattazione – trova resistenza nelle difese della ricorrente, che anzi autorizzano a credere il contrario – ovvero che il thema decidendi portato al vaglio del giudice del gravame non fosse quello di cui si vorrebbe ora discutere, ma quello effettivamente da lui esaminato e da lui disatteso – laddove, infatti, nell’illustrazione della doglianza, la ricorrente si limita a ricordare la sollecitazione rivolta su questo punto al decidente scrivendo che di esso la Corte di Appello era stata investita da AMA, una volta che a pag. 29 del suo atto di impugnazione aveva esplicitamente dedotto che, “in considerazione del descritto quadro normativo, è evidente come il collegio – nel ritenere che l’AMA tenuta al pagamento di detti – abbia palesemente agito in contrasto con la legge nel farne applicazione retroattiva”.

4.3. Vale allora al riguardo appuntare, in ragione perciò della rilevata novità delle questioni qui rappresentate ed in chiave non dissimile da quanto eccepito dal P.M. e dal controricorrente, che in sede di legittimità non sono prospettabili, per la prima volta, questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito (Cass., Sez. 3, 17/01/2018, n. 907), dacchè il giudizio di cassazione “ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte” (Cass., Sez. 1, 26/03/2012, n. 4787); e che la prospettazione così operata neppure soddisfa il principio di autosufficienza del ricorso, non avendo la ricorrente indicato dove e quando le questioni che si vorrebbe ora introdurre nel giudizio siano state già esaminate nella pregressa fase di impugnazione, precludendo in tal modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass, Sez. 6-1, 13/06/2018, n. 15430).

5.1. Nuova – e perciò inammissibile per le ragioni testè riassunte deve reputarsi anche la questione di cui si occupa il quarto motivo di ricorso, inteso a denunciare la violazione delle norme in tema di revisione prezzi sull’assunto che, avallando il deliberato arbitrale nella parte in cui questo aveva liquidato i maggiori oneri discendenti dal prolungamento della gestione post-operativa della discarica senza tenere conto delle somme corrisposte in pregresso tempo da A.M.A., il giudice dell’impugnazione, in luogo di soppesare la doglianza solo dal punto di vista motivazionale, avrebbe dovuto applicare le norme di che trattasi in modo da evitare che il riequilibrio sinallagmatico da esse perseguito potesse prescindere da quanto già corrisposto a fronte della stessa voce di costo.

5.2. Anche per essa si impone previamente di rilevarne l’estraneità ai temi decisionali su cui il giudice del gravame era stato chiamato ad esercitare il suo sindacato.

Ben più di quanto al riguardo lasci inferire la sentenza impugnata, che della questione non si occupa quantunque al decidente non ne sarebbe mancata l’occasione nel lungo obiter (pagg. 19-22) che egli, pur sotto l’egida di una preventiva declaratoria di incensurabilità ex art. 829 c.p.c., trattandosi di questioni fattuali, dedica ai temi della vicenda incidenti sul quantum debeatur in cui pure si accenna alla “somma già pagata in previsione della durata decennale della gestione post-operativa”, di ciò è la stessa ricorrente a rendere conferma, allorchè nel rimarcare che “la censura era perfettamente ammissibile”, sostiene, in violazione di ogni onere di autosufficienza del motivo di ricorso, che la Corte d’Appello ne avrebbe dovuto delibare la fondatezza in ragione dell’epigrafe premessa all’illustrazione del terzo motivo di impugnazione del lodo, a cui era stata ricollegata anche la violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, applicabile temporalmente, e delle norme perciò evocabili, quasi ad ipotizzare che nell’interpretare il motivo, ad onta del suo contenuto estrinseco, il giudice d’appello avrebbe dovuto ex officio interrogarsi anche sulla doglianza odierna pur in assenza di ogni sua deduzione.

5.3. Nè, peraltro, all’inammissibilità che va per questo dichiarata è possibile sottrarsi, seguendo il filo da ultimo accennato, opponendo l’erroneità del convincimento esternato dal giudice del gravame sul punto e ritenendo che, malgrado l’epigrafe premessa all’illustrazione del motivo, “la censura avrebbe esclusivo riferimento alla “motivazione – definita illogica e contraddittoria – che sorregge la quantificazione degli importi che il collegio arbitrale ha ritenuto di essere dovuti dall’AMA a CO.LA.RI…” “, giacchè, così ragionando, si finisce per censurare nuovamente l’interpretazione della domanda resa dal giudice del gravame e nuovamente si affaccia quella ragione di inammissibilità del motivo, a cui si è fatto cenno innanzi, intendendosi in tal modo censurare l’accertamento di fatto compiuto dal giudice privato e fatto proprio da quello del gravame.

6.1. Con il quinto motivo di ricorso A.M.A. lamenta la violazione delle disposizioni in materia di revisione prezzi anche con riguardo agli oneri sostenuti per le lavorazioni dei rifiuti nelle giornate festive e l’incremento delle attività notturne, che il giudice del gravame avrebbe disatteso ritenendo che le declinate censure, ad onta della loro apparente rappresentazione in guisa di motivi di diritto, presto smentita dal rilievo che nella loro illustrazione l’impugnante non avesse spiegato quale fosse la violazione di legge denunciata, involgessero la trattazione di “rilievi esclusivamente di merito che non possono trovare ingresso in questa sede di impugnazione del lodo per nullità”.

6.2. Il motivo, non diversamente dai restanti, si rivela affetto da precoce inammissibilità, rilevabili qui sotto più profili.

6.3. Esso si risolve, preliminarmente, nel sollecitare il responso di questa Corte sulle medesime lagnanze già portate al vaglio del giudice del gravame e da questo disattese con motivazione che non trova replica nella loro attuale illustrazione, sicchè, venendo per questo meno ad ogni confronto critico con le ragioni della sentenza impugnata – giacchè una tale modalità di formulazione del motivo rende impossibile individuare la critica che si intende muovere ad essa, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione (Cass., Sez. 1, 18/05/2005, n. 10420) – il motivo non si allinea neppure all’insegnamento di legittimità in punto di deducibilità degli errori di diritto, giusta il quale si rende necessario che esso sia dedotto mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 1, 29/11/2016, n. 24298).

6.4. Va da sè poi che, come già rilevato dal decidente d’appello, le declinate censure, malgrado siano ammannite sotto un’apparente veste giuridica che ne dovrebbe assecondare la loro denunciabilità in questa sede, in difformità della rubrica, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, concretano tuttavia una pura contestazione fattuale, intendendosi promuovere una rivalutazione da parte di questa Corte delle risultanze processuali ancorchè esse fossero già state negativamente delibate dagli arbitri e per questo stante la natura del giudizio rescindente che ha luogo con l’impugnazione del lodo e che impone di veicolare l’atto di gravame nei limiti dei motivi dettati dall’art. 829 c.p.c., non fossero state introitate dalla Corte capitolina che ne aveva infatti pronunciato l’inammissibilità.

6.5. Non ultimo, quando mai a dispetto di ciò, si volessero vedere nella loro odierna rappresentazione doglianze analoghe a quelle che la ricorrente aveva inteso documentare in relazione al parallelo tema degli oneri sostenuti per la gestione post-operativa della discarica, assumendosi che la pronuncia arbitrale anche riguardo agli oneri di cui qui si tratta, accodandosi alle risultanze peritali, abbia erroneamente fatto applicazione delle norme citate in rubrica sopravalutando enormemente il compenso perciò dovuto al Co.La.Ri “ai fini di un riequilibrio del sinallagma contrattuale”, il motivo non per questo si renderebbe scrutinabile, nella detta prospettazione dovendo invero rinvenirsi la deduzione di una questione nuova, che come si è visto non è sindacabile perciò da questa Corte non avendo essa costituito oggetto di previo esame da parte del giudice del gravame.

7.1. Il sesto motivo di ricorso – e così pure il motivo 3 bis formulato in via subordinata, contempla al suo interno un’istanza finalizzata a sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in sede rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, la questione che si può così sintetizzare: se gli artt. 10 e 14 della Dir. CEE 1999/31 ostino ad una disciplina quale quella recata dal D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, attuativi sul punto della direttiva, qualora essa sia interpretata nel senso di estendere anche ai rifiuti già “abbancati” il prolungamento del termine della gestione post-operativa della discarica, di modificare i rapporti contrattuali in essere tra gestore e conferente sotto forma di modifica retroattiva della tariffa e di comportare l’addebito retroattivo dei costi relativi al prolungamento del termine anzidetto anche in relazione ai rifiuti già “abbancati”, in quanto, se interpretati nei termini in cui ne è stata fatta applicazione nel caso in esame, risulterebbero violati i principi del legittimo affidamento, della certezza del diritto e della irretroattività; nonchè, in riferimento ai medesimi D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, un’eccezione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 1,3,41 e 76 Cost., la loro applicazione così come concretamente operata nella specie, violando oltre ai sopradetti principi, anche il principio di ragionevolezza.

7.2. E’ opinione del collegio che in relazione alla prima di dette istanze si renda necessario sollecitare, in ragione della sua idoneità a schiarire debitamente il quadro di riferimento entro cui si colloca la vicenda odierna, l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea mediante rinvio pregiudiziale alla medesima, ai sensi dell’art. 267 TFUE.

7.3. Nel richiamato motivo di ricorso – ma analogo rilievo in forma più stringata si legge anche nel motivo 3 bis – come detto, l’A.M.A., ricordati i termini del contenzioso che la oppone al Co.La.Ri e che l’ha vista soccombere nel giudizio arbitrale promosso da quest’ultimo, al fine, in particolare, di vedersi riconosciuti i maggiori oneri connessi alla gestione post-operativa della discarica di (OMISSIS), prolungata da dieci anni a trenta, si chiede se l’interpretazione al riguardo adottata dal giudice dell’impugnazione circa gli effetti discendenti dall’applicazione alla specie del D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, segnatamente nella parte in cui il predetto decidente, ravvisando l’applicabilità di dette norme anche alle discariche in esercizio, ha inteso accollare ad A.M.A. gli oneri della gestione post-operativa anche in relazione ai rifiuti già “abbancati”, risulti conforme rispetto alle disposizioni recate dagli artt. 10 e 14 Dir. CEE 1999/31, nonchè alla luce del 26 considerando anteposto ad essa, che le citate disposizioni del D.Lgs. n. 36 del 2003, sono chiamate ad attuare nell’ordinamento domestico e non contrasti, piuttosto, con i principi del legittimo affidamento, della certezza del diritto e della irretroattività laddove finisce con il far gravare sulla deducente un onere economico che per entità – nonchè per gli impegni già assunti ed onorati nei confronti della controparte – rischia di comprometterne la stabilità finanziaria.

7.4. Onde rendere più agevole l’inquadramento della questione negli aspetti che ne giustificano il rinvio alla Corte UE non è perciò superfluo ricapitolarne i termini, osservando previamente che con le disposizioni recate dalla Dir CEE 1999/31 il Consiglio della Comunità ha inteso rimodulare il quadro normativo disciplinante lo smaltimento dei rifiuti a mezzo di interramento secondo linee di regolazione che, nel mentre pongono al centro dell’azione comunitaria di più lungo periodo l’obiettivo di “incoraggiare la prevenzione, il riciclaggio e la valorizzazione dei rifiuti nonchè l’impiego dei materiali e dell’energia recuperati al fine di risparmiare le risorse naturali e di economizzare l’utilizzazione del terreno” (3^ considerando), tenendo presente nel contempo che “l’interramento, analogamente a qualsiasi altro trattamento di rifiuti, andrebbe controllato e gestito in modo adeguato per prevenire o ridurre i potenziali effetti negativi sull’ambiente nonchè i rischi per la salute umana” (6^ considerando) e che “le disparità tra le norme tecniche di eliminazione dei rifiuti mediante interramento e i conseguenti costi inferiori possono portare ad un’eliminazione di rifiuti maggiore negli impianti in cui il livello di protezione dell’ambiente è scarso, creando in tal modo una grave minaccia potenziale per l’ambiente, data l’inutile lunghezza del trasporto dei rifiuti nonchè una pratica nefasta per quanto riguarda l’interramento” (10^ considerando), nel più breve termine ambiscono a ricondurre l’attività in parola, dando in ciò seguito al disegno già tracciato con la Dir CEE 15/07/1975 n. 75/442/CEE, nel solco di un comune quadro di compatibilità tecniche “al fine di proteggere, preservare e migliorare la qualità dell’ambiente nella Comunità” (11^ considerando). In questo contesto, stringendo il campo di osservazione, va poi detto che l’art. 10 Dir CEE 1999/31, occupandosi dei “costo dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche”, si dà cura di ribadire il principio secondo cui chi inquina paga invitando, tra l’altro, gli Stati membri ad adottare “misure affinchè tutti i costi derivanti dall’impianto e dall’esercizio delle discariche, nonchè, per quanto possibile, quelli connessi alla costituzione della garanzia finanziaria o del suo equivalente di cui all’articolo 8, lettera a), punto 4), e i costi stimati di chiusura nonchè di gestione successiva alla chiusura per un periodo di almeno trenta anni siano coperti dal prezzo applicato dal gestore per lo smaltimento di qualsiasi tipo di rifiuti”; mentre a sua volta l’art. 14, nel regolare l’applicazione delle norme della direttiva alle “discariche preesistenti”, del pari sollecita gli Stati membri ad adottare “misure affinchè le discariche che abbiano ottenuto un’autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione”. Come visto, alla trasposizione nel diritto interno delle citate disposizioni Eurounitarie il legislatore nazionale ha dato seguito con il D.Lgs. n. 36 del 2003, che all’art. 15 riproduce il contenuto della prescrizione dettate dall’art. 10 Dir CEE 1999/31, rinnovando il principio che “il prezzo corrispettivo per lo smaltimento in discarica deve coprire i costi di realizzazione e di esercizio dell’impianto, i costi sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria ed i costi stimati di chiusura, nonchè i costi di gestione successiva alla chiusura per un periodo pari a quello indicato dall’art. 10 comma 1, lettera i”; e all’art. 17, nel declinare le “disposizioni transitorie e finali”, rende applicabili anche alle discariche già in esercizio le disposizioni attuative, onerando i titolari delle relative autorizzazione o in loro vece i gestori, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a presentare “all’autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all’art. 14”.

7.5. E’ appunto ragionando su questo quadro d’assieme ed in particolare sul disposto dell’art. 10 della direttiva, nonchè sulla parallela disposizione recata dal D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 15, che il giudice dell’impugnazione – in questo traendo peraltro conforto anche dal 25^ considerando premesso alla medesima direttiva (“considerando che le discariche chiuse anteriormente alla data di recepimento della presente direttiva non dovrebbero essere soggette alle disposizioni da essa previste per la procedura di chiusura”) – ha maturato la convinzione che le disposizioni della direttiva e, quindi, quelle attuative di essa in ambito interno si applichino anche alle discariche preesistenti, da ciò traendo il conclusivo asserto che, dovendo il prezzo dello smaltimento comprendere anche gli oneri connessi alla gestione post mortem del sito, A.M.A. sia per questo tenuta a fronteggiare i nuovi costi indotti dal prolungamento della predetta gestione passata da dieci anni a trenta.

7.6. Ora, stima il collegio che una siffatta interpretazione, al di là dei legittimi timori nutriti A.M.A. – che, in caso di conferma, vedrebbe determinarsi le condizioni per il proprio dissesto – non si allinei esattamente al contenuto precettivo delle citate disposizioni Eurounitarie e non applichi perciò correttamente le norme interne che vi danno attuazione, tanto da renderne per questo doverosa la loro disapplicazione ove, all’esito della promuovendo giudizio di rinvio, la Corte di Giustizia, per questo attinta in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, dovesse smentirne la fondatezza ravvisandone, in particolare, la contrarietà rispetto ai sopratrascritti principi di diritto rivendicati dalla ricorrente.

Più in dettaglio va chiesto alla Corte, perciò:

se l’interpretazione accolta dal giudice del gravame risulti conforme alle citate disposizioni Eurounitarie, laddove essa conduce all’applicazione retroattiva del D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, rendendo in tal modo incondizionatamente soggette agli obblighi così imposti, ed in particolare al prolungamento da dieci a trenta anni della gestione post-operativa, le discariche preesistenti;

se, ancora, risulti conforme agli artt. 10 e 14 Dir CEE 1999/31 (nella parte in cui essi, rispettivamente, invitavano gli Stati membri ad adottare “misure” intese a disciplinare la partita dei costi, anche di quelli connessi al prolungamento della gestione post-operativa in modo tale che siano coperti dal prezzo applicato dal gestore, e “misure” miranti a mantenere in funzione gli impianti preesistenti) l’interpretazione seguita nella specie dal decidente che ha ritenuto applicabili il D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, alle discariche preesistenti, quantunque le misure attuative siano circoscritte alla previsione di un periodo transitorio e nulla si dica circa l’impatto finanziario discendente sul “detentore” dagli obblighi conseguenti al disposto prolungamento della gestione post mortem;

se risulti poi ancora conforme al diritto Eurounitario l’interpretazione in parola che, applicando le norme attuative alle discariche preesistenti anche con riguardo agli oneri finanziari discendenti, ne faccia gravare il peso sul “detentore” a dispetto degli accordi negoziali disciplinanti, anche dal punto di vista tariffario, l’attività di smaltimento;

se, in ultimo, risulti infine conformata la predetta interpretazione che conduca ad applicare il D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, alle discariche preesistenti anche con riguardo ai predetti oneri finanziari, assoggettandovi anche i quantitativi di rifiuti “abbancati” antecedentemente all’entrata in vigore delle disposizioni attuative.

7.7. Tutto ciò premesso porta quindi il Collegio, trattandosi di questione che richiede l’esatta interpretazione e delimitazione delle norme poste da una direttiva Europea, a sospendere il procedimento ed a sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) le seguenti questioni pregiudiziali:

1) “se risulti conforme agli artt. 10 e 14 Dir CEE 1999/31 l’interpretazione accolta dal giudice del gravame che ha inteso applicare retroattivamente il D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, attuativi in ambito domestico delle predette disposizioni Eurounitarie, con l’effetto di rendere incondizionatamente soggette agli obblighi così imposti, segnatamente nella parte in cui si stabilisce il prolungamento da dieci a trenta anni della gestione post-operativa, le discariche preesistenti e già in possesso dell’autorizzazione all’esercizio”;

2) “se, in particolare, – in rapporto al contenuto precettivo degli artt. 10 e 14 Dir CEE 1999/31 che, rispettivamente, invitavano gli Stati membri ad adottare “misure affinchè tutti i costi derivanti dall’impianto e dall’esercizio delle discariche, nonchè, per quanto possibile, quelli connessi alla costituzione della garanzia finanziaria o del suo equivalente di cui all’art. 8, lett. a), punto 4) e i costi stimati di chiusura nonchè di gestione successiva alla chiusura per un periodo di almeno trenta anni siano coperti dal prezzo applicato dal gestore per lo smaltimento di qualsiasi tipo di rifiuti” e “misure affinchè le discariche che abbiano ottenuto un’autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione” -, risulti ad essi conforme l’interpretazione accolta dal giudice del gravame che ha inteso applicare il D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, alle discariche preesistenti e già in possesso dell’autorizzazione all’esercizio, quantunque nel dare attuazione agli obblighi così imposti, anche con riguardo a dette discariche, l’art. 17 limiti le misure attuative alla previsione di un periodo transitorio e non rechi alcuna misura intesa a contenere l’impatto finanziario discendente sul “detentore”, dal prolungamento”;

3) “se, ancora, risulti conforme agli artt. 10 e 14 Dir CEE 1999/31 l’interpretazione accolta dal giudice del gravame che ha inteso applicare gli anzidetti del D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, alle discariche preesistenti e già in possesso dell’autorizzazione all’esercizio, anche con riguardo agli oneri finanziari discendenti dagli obblighi così imposti e, segnatamente, dal prolungamento della gestione post-operativa da dieci a trenta anni, facendone gravare il peso sul “detentore” e legittimando in tal modo la modificazione in peius per il medesimo delle tariffe consacrate negli accordi negoziali disciplinanti l’attività di smaltimento”;

4) “se, infine, risulti conforme agli artt. 10 e 14 Dir CEE 1999/31 l’interpretazione accolta dal giudice del gravame che ha inteso applicare gli anzidetti del D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 15 e 17, alle discariche preesistenti e già in possesso dell’autorizzazione all’esercizio anche con riguardo agli oneri finanziari discendenti dagli obblighi così imposti e, segnatamente, dal prolungamento della gestione post-operativa da dieci a trenta anni, ritenendo che – ai fini della loro determinazione – vadano considerati non solo i rifiuti conferendi a partire dall’entrata in vigore delle disposizioni attuative, ma anche quelli già conferiti precedentemente”.

7.8. Il rinvio pregiudiziale determina la sospensione del procedimento.

P.Q.M.

La Corte, visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e l’art. 295 c.p.c., chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulle predette questioni di interpretazione del diritto Eurounitario.

Ordina la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di giustizia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018

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