Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32739 del 18/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 18/12/2018), n.32739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16424-2017 proposto da:

IMPRESA EDILE P.I., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. MOROSINI 16,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO GUERRA, rappresentata e difesa

dall’avvocato UGO DELLA MONICA;

– ricorrente –

contro

RISTORANTE SAN MICHELE DI D.V. E F.LLI SNC, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10, presso lo studio dell’avvocato

LUCIO GHIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA SACCONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1433/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato ad un unico motivo, l’Impresa edile P.I. ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, resa pubblica in data 29 marzo 2017, che ne ha rigettato il gravame avverso la decisione del Tribunale di Torre Annunziata-sezione distaccata di Gragnano che, in accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo spiegata dalla società Ristorante San Michele di D.V. e F.lli s.n.c., dichiarava la nullità del contratto di appalto intercorso tra le parti ed avente ad oggetto i lavori eseguiti dall’Impresa ricorrente, revocando il decreto ingiuntivo emesso in favore dell’Imparato per il pagamento del corrispettivo di detti lavori;

che la Corte territoriale, segnatamente, osservava: 1) che l’impresa appaltatrice non aveva provato che i lavori dei quali chiedeva il pagamento erano stati oggetto di concessione edilizia o che non necessitassero di autorizzazione amministrativa (necessità che invece si evinceva dalla natura stessa dei lavori eseguiti) e, quindi, non aveva provato di avere un valido titolo contrattuale; 2) che la documentazione depositata dall’opposta all’udienza di precisazione delle conclusioni in grado di appello era inutilizzabile ai fini della decisione.

che resiste con controricorso il Ristorante San Michele di D.V. e F.lli s.n.c.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle anzidette parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale ha depositato memoria la parte controricorrente;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che con un unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 e 2967 c.c., degli artt. 61 e 62 c.p.c., nonchè omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per aver la Corte territoriale dichiarato la nullità del contratto di appalto inter purtes sulla base dell’erroneo presupposto di fatto della mancata prova delle presenza delle necessarie concessioni edilizie per i lavori da eseguire, avendo invece essa opposta effettuato il “deposito delle concessioni edilizie in sanatoria” rilasciate dal Comune di Agerola per le opere commissionate dall’opponente, che il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto documentazione inutilizzabile in violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3;

Il motivo è inammissibile, in quanto – a tacer d’altro (assenza di effettiva deduzione di violazione di legge e prospettazione di un vizio motivazionale ai sensi del previgente, e inapplicabile ratione temporis, art. 360 c.p.c., n. 5) – veicolato in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che impone, a pena di inammissibilità, non solo di dare contezza del contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso) degli atti (quelli processuali rilevanti ai fini della dedotta violazione ex art. 345 c.p.c.) e dei documenti posti a fondamento del ricorso (nella specie, segnatamente e tra gli altri, le concessioni edilizie in sanatoria), ma anche l’adempimento dell’obbligo, di c.d. localizzazione processuale, della specifica indicazione della fase di giudizio e in quale fascicolo di parte essi si trovino, dovendo risultare quanto meno da un’elencazione contenuta nell’atto e non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte (tra le tante, Cass. n. 29279/2008, Cass. n. 19048/2016, Cass. n. 19985/2017, Cass. n. 23452/2017). Nella specie, il ricorrente non ha assolto nè l’uno, nè l’altro onere.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-qualer, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018

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