Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3273 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3273 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ALPINI Marcello (LPN MCL 48P08 B283X), in proprio e in
qualità di socio illimitatamente responsabile della società CAR MEC s.n.c. di Tedeschi Iames, rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avvocato Claudio Defilippi, elettivamente domiciliato
in Roma, via Duilio n. 7, presso lo studio dell’Avvocato
Claudio Federico;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

rappresentato

e

difeso,

per

pro

legge,

Data pubblicazione: 12/02/2014

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici
di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente avverso il decreto della Corte d’appello di Ancona, depo-

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con due ricorsi depositati il 29 giugno 2011 presso la
Corte d’appello di Ancona, Alpini Marcello, in proprio e
in qualità di socio illimitatamente responsabile della società CAR MEC s.n.c. di Tedeschi Iames, chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’equa
riparazione, ai sensi della legge n. 89 del 2001, in relazione ai danni non patrimoniali subiti a causa della irragionevole durata di una procedura fallimentare iniziata
con dichiarazione di fallimento della società e dei soci
illimitatamente responsabili da parte del Tribunale di
Reggio Emilia nell’ottobre 1998; procedura ancora non definita alla data di proposizione della domanda.
L’adita Corte d’appello, riuniti i giudizi, riteneva
che la procedura fallimentare avesse avuto una durata irragionevole di cinque anni e tre mesi, in relazione ai

sitato in data 10 settembre 2012.

quali liquidava un indennizzo di euro 6.300,00 per ciascuna posizione.
Alpini Marcello, in proprio e in qualità di socio illimitatamente responsabile della società CAR MEC s.n.c. di

questo decreto affidato a un unico motivo, illustrato da
memoria.
L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio rileva preliminarmente che non è di
ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza,
alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, cod. proc. civ.,
quale risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 75
del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede
che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause
davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla
legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n.
12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge
n.69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero
presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in
tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi
alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinan-

Tedeschi Iames, ha proposto ricorso per la cassazione di

zi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di
cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile». L’art. 376, primo comma, cod.

quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374,
assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69
del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n.
98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e
la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e
390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della
partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio
sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

proc. civ. stabilisce che «Il primo presidente, tranne

Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento
contenuto sia nell’art. 76, comma primo, lett. b), del
r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto-legge n. 69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2,

ne (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ.), consenta di ritenere non solo che la detta
sezione è abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali
anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si
tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione
dell’udienza odierna è stato emesso in data 25 settembre
2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica ben
può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del
ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse
pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai
sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ.
2. Nel merito, con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione della legge n. 89 del 2001 e

citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezio-

dell’art. 6.1 della CEDU, nonché vizio di motivazione dolendosi della esiguità dell’indennizzo, liquidato in misura non adeguata agli standard di tutela riconosciuti dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo.
Premesso che non è qui in discussione

l’apprezzamento effettuato dalla Corte d’appello in ordine
alla durata irragionevole della procedura fallimentare
presupposta, non avendo il ricorrente sollevato censure di
sorta in proposito, e che quindi l’unico profilo rilevante
è quello della determinazione dell’indennizzo, il Collegio
ritiene che il ricorso sia infondato.
Invero, il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data
l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo,
in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli successivi); permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il
potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora,
avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie,
ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti

3.

criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass.
18617 del 2010; Cass. 17922 del 2010).
Nella specie, la Corte d’appello, liquidando per una
accertata (e non contestata) durata irragionevole di cin-

dottato un criterio di liquidazione addirittura superiore
a quello che normalmente viene applicato in base al richiamato principio.
Il ricorso, del resto, non contiene critiche specifiche alla valutazione espressa dalla Corte d’appello e non
tiene conto del richiamato orientamento di questa Corte.
.•

*

Il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Risultando dagli atti che il procedimento in esame è
considerato esente dal pagamento del contributo unificato,
non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma
1-quater all’art. 13 del testo unico approvato con il
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. l,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – Legge di stabilità 2013).
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al

pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che li-

que anni e tre mesi un indennizzo di 6.300,00 euro, ha a-

guida in euro 292,50 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il

9 gennaio 2014.

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