Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32728 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 12/12/2019), n.32728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18609-2018 proposto da:

L.M.G., LA.MA.GR., nella qualità di ex socie e

successori a titolo universale della Società L.M.G.

SNC, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA MALCISINI, 30, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI PORCELLI, che le rappresenta e difende

unitamente agli avvocati PAOLO BIAVATI, STEFANO BARBIANI;

– ricorrenti –

contro

C.G., C.M., C.C., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MONDRAGONE 10, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA MASTRANGELI, rappresentati e difesi

dall’avvocato M.B.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 780/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 09/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

La Corte.

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto notificato il 13 maggio 2013 C.C., C.G. e C.M. chiedevano al Tribunale di Rimini di convalidare l’intimazione di sfratto per morosità alla conduttrice L.M.G. s.n.c. in riferimento ad un contratto di locazione commerciale; controparte si opponeva e in via riconvenzionale chiedeva di dichiarare nulli ai sensi della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79, i patti stipulati tra le parti relativi all’aumento del canone del contratto stipulato il 2 gennaio 2003 e di condannare conseguentemente la locatrice alla restituzione dell’eccedenza.

Il Tribunale, negata la convalida e mutato quindi il rito, riuniva a questa causa un’altra avviata dalla società sulla base della L. n. 392 del 1978, art. 79, e con sentenza del 24 novembre 2016 condannava i C. a restituire a controparte la somma di Euro 287.171, oltre interessi e spese.

I C. proponevano appello principale, mentre la società proponeva appello incidentale relativamente al quantum della somma da restituirle.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 9 aprile 2018, accoglieva l’appello principale condannando i C. a restituire soltanto Euro 1816,47 oltre interessi e compensando le spese dei gradi.

Di qui il ricorso, che figura presentato da L.M.G. s.n.c. nella persona del legale rappresentante L.M.G. e si fonda su un unico motivo, denunciante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. La Corte d’appello sarebbe giunta ad una valutazione opposta rispetto a quella del Tribunale in ordine alle risultanze istruttorie per un errore logico-giuridico nell’iter valutativo, così violando l’art. 2729 c.c., che impone una valutazione complessiva dei dati probatori. Invece la corte territoriale avrebbe seguito l’opposto procedimento, scomponendo “il coacervo indiziario in svariati momenti distinti”: e ciò perchè “trascura i documenti” ed “esamina le deposizioni una ad una, le giudica singolarmente non credibili e conclude che non vi sarebbe prova dei pagamenti irregolari”. Si richiamano due passi della sentenza di primo grado, che invece avrebbe adempiuto il compito della ricostruzione unitaria.

C.C., C.G. e C.M. si sono difesi con controricorso. E’ stata pure depositata una memoria di cui si dirà infra.

Diritto

RITENUTO

che:

1. In primo luogo, deve darsi atto che gli intimati, nel loro controricorso, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di capacità processuale della società apparentemente ricorrente, essendo stata L.M.G. s.n.c. cancellata dal registro delle imprese in data 10 maggio 2018, ovvero prima del conferimento della procura speciale per il giudizio di cassazione.

Il ricorso, in effetti, appare proposto da L.M.G. s.n.c. in persona di L.M.G., qualificatasi legale rappresentante della società, la quale risulta aver rilasciato solo il 4 giugno 2018 la procura speciale alle liti. Deve pure darsi atto che, evidentemente per controbattere tale eccezione ma non ponendo in dubbio alcuno che la cancellazione sia stata effettivamente compiuta il 10 maggio 2018, successivamente al controricorso è stata depositata “Memoria di costituzione dei successori della parte ricorrente per la prosecuzione del giudizio di legittimità” da parte di L.M.G. e La.Ma.Gr., quali ex socie di L.M.G. s.n.c., ivi dichiarando, tra l’altro, che “nella loro qualità di successori a titolo universale della estinta società L.M.G. s.n.c. si costituiscono nel giudizio di legittimità ex art. 110 c.p.c. al fine di proseguirlo facendo proprio il ricorso già proposto dalla società L.M.G. s.n.c.”, ricorso che in seguito viene riprodotto.

2. Gli effetti della cancellazione dal registro delle imprese – qui pacificamente avvenuta, come si è appena visto, prima del ricorso per cassazione – sono stati chiariti in relazione alla normativa societaria attualmente vigente, sia per le società di persone che per le società di capitali, da un celebre intervento nomofilattico, S.U. 12 marzo 2013 n. 6070: pronuncia la quale infatti ha, tra l’altro, affermato che, dopo la riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, “la cancellazione dal registro delle imprese estingue anche la società di persone, sebbene non tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati definiti”; dalla cancellazione, per la tutela del creditore, deriva altresì un fenomeno di tipo successorio, ma questo non toglie, anzi conferma che il soggetto sociale si è estinto (così infatti insegna una delle massime del suddetto arresto: “Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo.”).

L’estinzione della società la priva, ovviamente, pure della capacità di stare in giudizio. Anche questo è stato espressamente riconosciuto dalle Sezioni Unite, così rimarcandolo in un’ulteriore massima: “La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della “fictio iuris” contemplata dall’art. 10 L. Fall.); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso:. E ciò, per quanto qui interessa, significa che, essendosi la società estinta prima dell’avviamento del giudizio di legittimità, e avendo pertanto perso la capacità di stare in giudizio, il ricorso avrebbe potuto essere proposto (solo) dai soci – rectius, ex soci – della società estinta.

3. Nel caso in esame, invece, come già si è evidenziato il ricorso è stato proposto, apparentemente, dalla società, ovvero da un soggetto inesistente perchè estinto. Tale inesistenza si riflette, sine dubio, sulla proposizione del ricorso stesso, anche nel senso, per la sua radicalità, di doversi negare ogni spazio di ratifica agli ex soci, dal momento che il ricorso è stato proposto da un soggetto inesistente, e dunque in modo del tutto privo di effetti giuridici, inclusa la possibilità di godere di ratifica.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile – il che, nel caso in esame, come si è appena illustrato coincide con inesistente -.

5. Essendosi comunque sviluppato un contraddittorio, in quanto gli intimati hanno ricevuto effettiva notifica del ricorso e conseguentemente hanno proceduto a difendersi con controricorso, occorre dirimere la questione delle spese di questo giudizio.

Al riguardo, è il caso di richiamare la recente Cass. sez. 6-3, ord. 22 maggio 2018 n. 12603, che proprio a proposito di una fattispecie analoga – ricorso per cassazione proposto dall’ex rappresentante di una società in nome collettivo ha stabilito che in tal caso deve pronunciarsi “la condanna alle spese, in proprio, del detto rappresentante il quale, spendendo tale qualità con riferimento a soggetto non più esistente, ha conferito il mandato all’avvocato, essendosi questi limitato ad autenticare la relativa sottoscrizione”. Nella motivazione viene naturalmente richiamata quella giurisprudenza (S.U. 10 maggio 2006 n. 10706, seguita, da ultimo da Cass. sez. 6-1, ord. 20 novembre 2017 n. 27530 e Cass. sez. 6-1, ord. 19 giugno 2018 n. 16177) per cui, qualora sia proposta azione o impugnazione da un difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome dichiara di agire (come nelle ipotesi di inesistenza della procura alle liti o di procura falsa o di procura rilasciata dal soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato), “l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il professionista legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio” (così, appunto, S.U. 10 maggio 2006 n. 10706; il principio è stato poi confermato negli ulteriori arresti appena citati). Nel seguito della motivazione precisa tuttavia l’arresto, in sintesi, che l’avvocato non ha l’onere di verificare preliminarmente se la società è stata o meno cancellata dal registro delle imprese (“non deve reputarsi, almeno di norma e salvo che particolari condizioni o circostanze o elementi anche indiziari… non lo attivino, corrispondere ad uno specifico dovere professionale dell’avvocato una cautela tale da verificare costantemente o diuturnamente la persistenza della qualità di legale rappresentante di società rivestita da una persona fisica”), così pervenendo a affermare che “l’inammissibile attività processuale attivata con il ricorso” va riferita al soggetto che ha rilasciato la procura, anche ai fini della condanna alle spese.

6. Non vi è alcuna ragione per distogliersi da questa recente lettura, che condivisibilmente segnala gli impliciti limiti della verifica cui è tenuto l’avvocato nel momento in cui gli viene rilasciata la procura ad litem.

Nel caso in esame, peraltro, la condanna alle spese non può gravare soltanto sulla ex rappresentante legale della società estinta, L.M.G., ma deve investire pure l’altra ex socia Mary Grace Laghi, la quale – per di più, come si è visto, unitamente alla ex socia L.M.G. – è intervenuta nel processo, facendo suo il ricorso con una tentata ratifica che, se da un lato è priva di effetti per quanto sopra già si osservava, l’ha collocata, nel “quadro” del contraddittorio processuale concretamente sviluppatosi, in posizione di parte avversaria rispetto ai controricorrenti, il che la porta alla qualificazione, alla luce anche del principio del condiviso interesse, evincibile dall’art. 97 c.p.c., di parte soccombente.

Entrambe le ex socie dovranno pertanto essere condannate, in solido appunto ex art. 97, a rifondere ai controricorrenti le spese del grado liquidate come da dispositivo; parimenti sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte delle suddette ex socie dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando solidalmente L.M.G. e La.Ma.Gr. a rifondere ai controricorrenti le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 8000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di L.M.G. e La.Ma.Gr., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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