Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32716 del 18/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 18/12/2018), n.32716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24993-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE dello STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

AGRICOLA PERAZZO & BRESCIANI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati REMO DOMINICI,

GIOVANNI MARONGIU;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 470/2/2017 della COMMISSIONI TRIBUTARIA

REGIONALE di TORINO, depositata il 20 marzo 2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’11 ottobre 2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

CRICENTI.

Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Agenzia delle Entrate ricorre avverso una decisione della Commissione Tributaria Regionale di Torino, che, in riforma del primo grado, ha riconosciuto alla Agricola Perazzo e Bresciani il diritto al rimborso della addizionale corrisposta sui ricavi petroliferi.

In particolare, la società aveva chiesto il rimborso della addizionale corrisposta nel 2008, deducendo l’illegittimità costituzionale della legge (L. n. 112 del 2008, art. 81, c.d Robin Tax) la quale prevedeva l’applicazione dell’addizionale sui ricavi petroliferi allo scopo di colpire i sovrapprofitti delle aziende petrolifere.

Agenzia delle Entrate ha negato il rimborso, e la società contribuente ha impugnato il rigetto. In primo grado la domanda di rimborso è stata respinta, ma nelle more dell’appello è intervenuta, ovviamente in diverso procedimento, la sentenza della Corte Cost. n. 10 del 2015 che ha dichiarato incostituzionale l’addizionale in questione.

In ragione di tale sopravvenuta decisione, la CTR ritenendo che la situazione tosse ancora aperta” e dunque soggetta agli effetti della sentenza della Corte Costituzionale, ha accolto la domanda di rimborso.

Avverso tale pronuncia ricorre Agenzia delle Entrate, con un solo motivo di ricorso, che denuncia violazione di legge (L. n. 112 del 2008, art. 81, come modificato dalla Corte Cost.).

Agenzia delle Entrate assume infatti che la stessa Corte Cost., in motivazione, ha avuto cura di circoscrivere temporalmente gli effetti della sua pronuncia disponendo che decorressero a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza medesima.

Con la conseguenza che tutte le imposte corrisposte nel periodo precedente dovevano ormai ritenersi non più rimborsabili e legittimamente corrisposte.

Nessuno si è costituito per la contribuente.

Il ricorso è fondato.

E’ pacifico intanto che la Corte Cost., in motivazione, ha espressamente limitato temporalmente gli effetti della sua decisione disponendo che decorrano dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza. Con la conseguenza che la norma che ha previsto l’addizionale è incostituzionale a partire dal 12 febbraio 2015.

La Corte motiva questa scelta per ragioni attinenti alle esigenze di bilancio ed espressamente dispone che: “gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale devono, nella specie e per le ragioni di stretta necessità sopra esposte, decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della presente decisione nella gazzetta Ufficiale della Repubblica”.

Come è noto l’art. 136 Cost. prevede che, in caso di pronuncia di incostituzionalità, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione.

Non esiste, nell’ordinamento italiano, la possibilità, per la Corte costituzionale, di differire nel tempo gli effetti delle proprie pronunce, come avviene invece in Austria, in Germania ed ora anche in Francia. Tuttavia la Corte italiana ha tentato, anche con riferimento agli effetti temporali, di rendere meno rigido il regime degli effetti stabilito dall’art. 136 Cost. e lo ha fatto adottando la tecnica di limitare l’effetto retroattivo delle sentenze, allo scopo di evitare che alcune pronunce, se operative su tutti i rapporti non ancora esauriti, producessero danni così rilevanti, da vanificare i benefici della dichiarazione di incostituzionalità.

La decisione n. 10 del 2015, della cui portata si discute affronta per la prima volta in modo diretto la questione del potere della Corte di differire temporalmente gli effetti della decisione di incostituzionalità, potere, come si è detto, non espressamente previsto dall’ordinamento.

La stessa Corte Cost., dopo aver ricordato che il “contenimento degli effetti retroattivi delle decisioni di illegittimità costituzionale rappresenta una prassi diffusa” anche in altri ordinamenti giuridici, conclude che “una simile regolazione degli effetti temporali deve ritenersi consentita anche nel nostro sistema italiano di giustizia costituzionale”. Tuttavia, anche se tale soluzione “non risulta inconciliabile con il rispetto del requisito della rilevanza, proprio del giudizio incidentale” (per le ragioni che vedremo meglio in seguito, e che interessano più da vicino questa fattispecie), considerato, però, “il principio generale della retroattività risultante dagli artt. 136 Cost. e dalla L. n. 87 del 1953, art. 30” gli interventi sull’efficacia temporale delle sentenze devono essere vagliati “alla luce del principio di stretta proporzionalità”.

Questo potere che la Corte si e dato è stato oggetto di vivace dibattito, cd anche all’interno dell’orientamento, ormai assolutamente prevalente, favorevole alla possibilità di autolimitare gli effetti temporali di una pronuncia, si potevano (e forse tuttora si possono) riscontrare posizioni diverse, tra coloro che ravvisavano il fondamento del potere di disposizione (dei profili temporali) delle decisioni della Corte nella necessità di un bilanciamento di tali effetti con le esigenze di buon andamento dell’Amministrazione o con valori fondamentali, individuando il correlativo limite nella necessaria sussistenza di una congrua motivazione; dall’altro lato coloro che, contestando l’ammissibilità di un tale “potere di disposizione” hanno giustificato il limite all’effetto retroattivo solo in correlazione all’eventuale incostituzionalità (non originaria, ma) sopravvenuta della norma in questione.

Come interpretare allora la clausola con cui la Corte, nella fattispecie che ci occupa, ha ritenuto di prevedere che “gli efietti della dichiarazione illegittimità costituzionale devono, nella specie e per le ragioni di stretta necessità sopra esposte, decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.

Abbiamo visto che tale effetto sembra essere esattamente quello indicato dall’art. 136 Cost. (“la norma cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione (della decisione”).

La differenza tra le due previsioni, però, e presto detta. L’art. 136 Cost. contiene un effetto retroattivo implicito nel senso che la norma cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, ma con effetti retroattivi. Invece nella clausola che la Corte ha inserito in quella decisione, si intende che “gli effetti” della decisione decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione, e dunque non retroagiscono.

Pare evidente, allora, alla luce di quanto detto in precedenza che la Corte Cost. (sent. 10 del 2015) abbia voluto escludere gli effetti retroattivi tipicamente connessi, altrimenti, ad una pronuncia di incostituzionalità. Stabilito che si tratta allora di una pronuncia di cosiddetta illegittimità differita, resta aperto il problema della sua efficacia sui procedimenti in corso.

Secondo alcuni, infatti, ritenere che la dichiarazione di pur quando gli effetti ne siano differiti, e dunque non operino retroattivamente, non si applica ai processi in corso equivarrebbe a disattendere il meccanismo della incidentalità della questione di costituzionalità, oltre che il requisito della rilevanza.

In sostanza, si dice che se la dichiarazione di incostituzionalità per avere accesso deve essere rilevante nel processo in cui e posta, allora la pronuncia di incostituzionalità e a sua volta rilevante nei procedimenti analoghi, nei quali la decisione dipende dalla soluzionè della medesima questione di legittimità costituzionale.

E questa obiezione vale a maggior ragione alla luce del fatto che in precedenza (sent. 124/n 1991 e sent. 416/1992, ad esempio), la Corte, pur escludendo la retroattività, ossia differendo nel tempo la pronuncia di incostituzionalità, ha però previsto che gli effetti della pronuncia si applicassero al giudizio a quo (si consideri che, normalmente, l’illegittimità differita comporta che gli effetti della incostituzionalità non riguardano neanche il processo a quo, ma valgono solo per il futuro).

Questo argomento è suggestivo, ma infondato. Infatti il requisito della rilevanza (in relazione alla funzione di filtro che esso è chiamato ad assolvere) opera unicamente nei confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilità della questione, e non anche nei confronti della Corte ad quem, quanto agli effetti della decisione sulla medesima. Ossia il fatto che la questione debba essere rilevante nel processo in cui è posta, non comporta automaticamente che la sopravvenuta decisione di incostituzionalità debba valere necessariamente negli altri procedimenti in corso, per i quali la Corte può porre la limitazione, di cui si discute qui, del differimento temporale, avendo il requisito della rilevanza non la funzione di consentire una efficacia erga oPmes della eventuale pronuncia di incostituzionalità, ma piuttosto ed esclusivamente la funzione di filtro nel processo a quo.

In tal modo si spiega anche perchè, di norma, la Corte Cost. svolge, come è stato efficacemente detto, un controllo di mera plausibilità sulla motivazione contenuta, in punto di rilevanza, nell’ordinanza di rimessione, controllo comunque effettuato con esclusivo riferimento al momento e al modo in cui la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata.

Va infine sgombrato il campo da un equivoco.

La Commissione Tributaria regionale di Reggio Emilia, che aveva sollevato la questione, ha ritenuto che la Corte Cost. (sent. 10 del 2015) in tema, per l’appunto, “Robin Tax”, e della cui portata qui si discute, non avesse in realtà inteso differire gli effetti della pronuncia di illegittimità a far data dal giorno successivo alla pubblicazione, ossia escludendone la retroattività. Ciò sulla base della considerazione che, mentre in motivazione la Corte ha chiaramente voluto limitare la retroattività della sua pronuncia, tuttavia il dispositivo è stato reso parafrasando l’art. 136 Cost., che invece, come abbiamo visto, prevede implicita retroattività.

Questa tesi è tutt’altro che irresistibile e contrasta con alcuni elementari criteri di interpretazione di una sentenza. Intanto, per quanto ad alcuni sia apparso diversamente, non v’è contrasto tra dispositivo e motivazione, poichè il primo contiene la generica disposizione che gli effetti si producono a partire dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ma, anche a voler ritenere un contrasto, è regola che il dispositivo si interpreta alla luce della motivazione (con espresso riferimento alle decisioni della Corte Cost. v. Cass. n. 3756 del 2001), così che non v’è dubbio alcuno sull’effettivo differimento degli effetti nel caso che ci occupa.

Conseguentemente l’addizionale di imposta è diventata illegittima, e l’averla pagata dà diritto a rimborso, solo a partire da quella data, e non per i periodi antecedenti, essendo la illegittimità della legge dichiarata solo per il periodo successivo al 12 febbraio 2015.

La questione posta dal giudice di appello appare quindi inconferente. Non ha importanza se la fattispecie tributaria, al momento della decisione della Corte Cost., è ancora “aperta” o meno, è in corso di accertamento oppure no. Poichè tale questione rileverebbe nella ipotesi ordinaria, di efficacia retroattiva della decisione della Corte. Se non vi fosse quella clausola di limitazione temporale, allora la decisione della Corte avrebbe effetti retroattivi che però si fermerebbero davanti al diritto acquisito o alla situazione chiusa, mentre avrebbero effetti su fattispecie ancora aperte.

Nel caso presente invece, proprio perchè la stessa Corte ha dichiarato la norma illegittima, ma escludendo da tale illegittimità il passato, ossia le addizionali già corrisposte, non v’è ragione di opporre che la fattispecie essendo sub iudice è ancora aperta.

Conta invero la circostanza che, in questo caso, l’addizionale è stata corrisposta quando era dovuta, perchè una legge lo imponeva, il pagamento.

Il ricorso va dunque accolto, ma la novità della questione impone la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata, e decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018

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