Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32714 del 18/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2018, (ud. 15/11/2018, dep. 18/12/2018), n.32714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRIBBA Tito – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21594-2014 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA

56, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI D’AMATO, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLA PELOSI come da delega in atti;

– ricorrente –

contro

COECLERICI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO ARMENTANO, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CAMILLO PAROLETTI

e MAURIZIO MAZZOCCHI come da delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1947/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/03/2014 R.G.N. 3513/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2018 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO ARMENTANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1947 depositata il 10.3.2014, la Corte di appello di Napoli, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda di risarcimento proposta da C.S. nei confronti della società Coeclerici s.p.a. in relazione all’infortunio sul lavoro che il 4.9.1995 (ossia dopo circa due mesi dall’assunzione, per passaggio diretto da altra società) aveva provocato una forte folgorazione al dipendente.

2. La Corte ha rilevato che il tenore testuale del ricorso introduttivo del giudizio deponeva chiaramente per una domanda di risarcimento del danno contrattuale, domanda che doveva ritenersi prescritta, mentre l’indicazione, nel verbale di prima udienza, dell’intenzione di proporre altresì una domanda di risarcimento per responsabilità aquiliana era irrilevante posto che si trattava di mutatio libelli, e, in ogni caso, mancava l’autorizzazione del giudice prevista dall’art. 420 c.p.c., comma 1, e la controparte non aveva accettato il contraddittorio.

3. Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione il C., deducendo due motivi di impugnazione, illustrati da memoria. La società resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con entrambi i motivi il ricorrente denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2043 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, errato nell’omettere di considerare l’esplicazione del potere dispositivo esercitato nel corso della prima udienza di discussione quando la parte ha dichiarato che “l’azione era da considerarsi anche di tipo extracontrattuale”, sussistendo in capo all’armatore sia l’obbligo di garantire la sicurezza del personale imbarcato sia l’integrità fisica di tutti i dipendenti.

5. I motivi non sono fondati.

La Corte distrettuale ha chiaramente pronunciato sulla domanda del lavoratore di ampliamento dell’ambito dell’azione giudiziaria, rilevando, preliminarmente, che il tenore testuale del ricorso introduttivo del giudizio deponeva per l’esercizio di una responsabilità contrattuale (posto che i fatti erano circoscritti esclusivamente nell’ambito del rapporto di lavoro con la società, la responsabilità della società veniva invocata con riguardo all’inadempimento degli obblighi contrattuali di sicurezza e protezione dei lavoratori, il quadro normativo richiamato atteneva alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, ossia art. 336 cod. nav., L. n. 300 del 1970, art. 9, art. 2087 c.c.); in seconda battuta, la Corte distrettuale ha precisato che era irrilevante la dichiarazione – resa dal C. in prima udienza – della volontà di esercitare altresì un’azione di responsabilità extracontrattuale posto che tale ultima domanda si basava su elementi di fatto e di diritto diversi (tali da configurare una mutatio libelli), che, in ogni caso, non risultava l’autorizzazione del giudice a tale ampliamento di domanda e che, infine, la controparte non aveva accettato il contraddittorio. In particolare, la Corte distrettuale ha precisato che “Nel caso di specie, l’evento dannoso è derivato dalla supposta violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro, e quindi si verte in tema di responsabilità contrattuale”.

Secondo consolidato insegnamento di questa Corte, il lavoratore che agisce nei confronti del proprio datore di lavoro (debitore di un obbligo di sicurezza), deve fornire una descrizione del fatto materiale che consenta di evincere una condotta del datore contraria o a misure di sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa o a misure di sicurezza che, sebbene non individuate specificamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema dell’art. 2087 c.c.. L’allegazione del lavoratore-creditore non può pertanto attenere ad un inadempimento qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Diversamente, la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. – invocata in corso di causa – introduce nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, idoneo ad alterare l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza (per la distinzione in tali termini tra mutatio ed emendatio libelli cfr. Cass. n. 20355 del 2005, Cass. n. 25764 del 2013, Cass. n.5751 del 2015). La Corte distrettuale ha, quindi, ritenuto – sulla base delle allegazioni formulate nel ricorso introduttivo del giudizio – che fosse stata esercitata l’azione contrattuale, all’esito di una valutazione non formale o nominalistica, ma dell’esatta considerazione dei tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria azionata, ricostruzione che non è stata censurata dal ricorrente.

Del pari, il ricorrente non ha censurato l’argomentazione della Corte di appello concernente la mancata autorizzazione (anche in forma implicita, cfr. Cass. n. 17176 del 2014) del giudice ad un’eventuale emendatio libelli, nè ha indicato elementi circa l’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte.

– 6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ..

7. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti di impugnazione iniziati in data successiva al 30.1.2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018

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