Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32713 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 12/12/2019), n.32713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25286-2018 proposto da:

P.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI PICA;

– ricorrente –

contro

F.A., in proprio e quale legale rappresentante della

PALLADIO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CIVININI 11,

presso lo studio dell’avvocato PANTONE LUIGI MARIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato MAURIZIO SAVASTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 955/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto Che: la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Bari, sul presupposte che precedente giudicato aveva escluso la titolarità di uno stacco di terreno, del quale gli appellanti P.G.A., M., A.R., M. e R.R.A. avevano chiesto costituirsi servitù coattiva di passaggio nei confronti di F.A. e della s.r.l. Palladio, proprietari di un fondo contiguo, confermò quella di primo grado, che aveva rigettato la domanda degli appellanti;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello P.G.A., propone ricorso sulla base di un complesso censuratorio indistinto e che F.A. e la s.r.l. Palladio resistono con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria;

ritenuto che il ricorso denunzia commistamente, dopo aver evocato l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, art. 112 c.p.c. e art. 1051, c.c., assumendo che:

– la sentenza impugnata era incorsa in giudizio di ultrapetizione “determinato da un ragionamento logico-giuridico falsato, nel percorso processuale intrapreso dal giudicante che, determina la conclusione della sentenza medesima per ogni capo della stessa”;

– “Il principio indicato dalla Corte di Appello di Bari ex art. 2909 c.c., va completamente disatteso, poichè questo giudicante invero, non ha mai “saputo” che il F.A. non solo esso non ha mai appellato la sentenza 2132/14 che gli rigettava la sua domanda che esso dice passata in giudicato”;

– il Giudice d’appello aveva omesso di pronunciarsi sul capo riguardante la domanda di costituzione di una servitù coattiva di passaggio;

– l’art. 1051 c.c. e ss., istituisce “un “diritto” del fondo e non del proprietario del fondo stesso”, di talchè “la proprietà del fondo servente non può essere limitata per il vantaggio personale del proprietario del fondo dominante, ma solo per l’oggettivo vantaggio del fondo stesso”;

considerato doversi osservare, in via di preliminarietà, che la mancata evocazione nel presente giudizio degli altri appellanti non ricorrenti, non necessita verifica dell’integralità del contraddittorio a cagione dell’evidente infondatezza del ricorso, avendo questa Corte avuto modo di reiteratamente chiarire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti; ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione “prima facie” infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso sì tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (giurisprudenza, che prendendo le mosse da S.U. n. 6826/2010, ha trovato plurime successive conferme – cfr. Sez. 3 n. 690/2012 e Sez. 2, n. 11287/2018, oltre a sez. 3 n. 15106/2013, la cui massima n. Rv. 626969 è stata sopra riportata -);

considerato che la critica impugnatoria, come sì è anticipato, manifestamente destituita di ogni giuridico fondamento e ciò per una pluralità di autonome e convergenti ragioni, a volerla giudicare scrutinabile, a dispetto della sua esposizione promiscua, involuta e di scarsa comprensibilità lessicale, valendo quanto segue:

a) la sentenza d’appello, preso atto di una precedente sentenza, divenuta irrevocabile, che aveva rigettato, oltre alla domanda principale con la quale il F. aveva rivendicato la proprietà del fondo dei quali i P.- R. si erano proclamati proprietari, quella incidentale di quest’ultimi, con la quale avevano chiesto accertarsi in loro favore la proprietà del fondo, qui assunto come intercluso e avente diritto alla costituzione di una servitù coattiva di passaggio, aveva invitato, ex art. 101 c.p.c., comma 2, ma vanamente, gli appellanti a prendere posizione;

b) il rigetto della domanda costitutiva di servitù coattiva e, quindi, dell’appello, discende dalla mancanza di titolarità degli appellanti del fondo in favore del quale essi rivendicavano la pronuncia costitutiva;

c) da quanto esposto deriva indubitabilmente che la pronuncia non ha violato alcuna delle norme di legge evocate:

– non l’art. 113 c.p.c., perchè la decisione è stata emessa secondo diritto e non equità;

– non l’art. 112 c.p.c., poichè, esattamente al contrario dell’asserto impugnatorio, si è pronunciata sulla domanda, rigettandola;

– non l’art. 1051 c.c., stante che la realità del preteso diritto non giustifica in alcun modo l’ardita costruzione di un diritto “del fondo”, che obliteri il presupposto della legittimazione, potendo, com’è evidente, agire in giudizio solo il portatore di un interesse giuridicamente apprezzabile (art. 100 c.p.c.), qualità che di certo deve negarsi in capo a colui che agisca per la costituzione di una servitù coattiva in favore di un fondo del quale non è proprietario (e sul punto è appena il caso di osservare che resta ininfluente l’asserto secondo il quale la sentenza che ha negato la proprietà in capo ai P.- R. non sarebbe stata impugnata dall’altra parte, in quanto ciò non avrebbe comunque impedito il passaggio in giudicato dell’accertamento negativo ai danni dei P.- R.);

d) al di là del richiamo mero all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente non evidenzia alcun omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nel senso reiteratamente chiarito da questa Corte (cfr., per tutte, S.U. n. 8053, 7/4/2014);

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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