Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32711 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 12/12/2019), n.32711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24186-2018 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

DELLA VITTORIA 10/B, presso lo studio dell’avvocato PRUDENZANO

ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato FINOCCHIARO

ARMANDO;

– ricorrente –

contro

ITEM CAPOMULINI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati LAZZARO

ALDO, LAZZARO VALERIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1249/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’appello di Catania con la sentenza di cui in epigrafe, riformata in toto quella di primo grado, disattese la domanda con la quale C.V. aveva chiesto dichiararsi acquistato per usucapione un edificio di mq 484, facente parte del complesso turistico – alberghiero “La Perla Ionica”, sito nella frazione marinara di (OMISSIS);

ritenuto che ai fini di una più compiuta conoscenza della vicenda, per quel che qui assume ancora utilità, va ricordato che:

– il Costanzo aveva citato in giudizio la R.T.A. Realizzazioni Turistiche Alberghiere s.p.a. in amministrazione straordinaria assumendo che si trovava nel possesso ad uso proprio dell’immobile di cui detto, per volontà di suo padre e di suo zio, fondatori della “F.lli C.” s.p.a., dal 1982, che ivi aveva trasferito la propria residenza, aveva provveduto ad immutare i luoghi, erigendo un muro di recinzione apponendo un cancello e che il fabbricato aveva accesso autonomo rispetto al contiguo complesso turistico – alberghiero;

– in ogni caso gli atti materiali compiuti avrebbero dovuto considerarsi idonei alla “interversione del possesso ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2”;

– in corso di causa alla R.T.A. era subentrata l’acquirente ITEM Capomulini s.r.l.;

– la Corte catanese riformava la decisione di primo grado sulla base, in sintesi, degli apprezzamenti di cui appresso: a) mancava la prova che dal 1982 il bene fosse stato utilizzato dall’appellato con animo di possessore sin dall’inizio; b) non era stato dimostrato che con la messa a disposizione i congiunti avessero voluto “trasferire il possesso”, invece che aver semplicemente consentito l’uso detentivo; c) mancava, di conseguenza, una convenzione traslativa con effetti reali; d) non era stato dimostrato il mutamento del titolo da detenzione in possesso, in quanto, anche a volere ammettere che il muro e il cancello, potessero reputarsi avere la idoneità allegata dall’appellato, e non piuttosto, lo scopo di rendere più agevolmente fruibile la detenzione, di tali manufatti, dei quali non era provato l’autore, nè l’epoca, non era stato dimostrato lo scopo di mutare la detenzione in possesso; e) non corrispondeva al vero l’affermazione del primo giudice, il quale aveva asserito che il possesso del C. non era stato contestato dalla controparte;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorre l’appellante, illustrando due motivi di censura e che la controparte resiste con controricorso, ulteriormente illustrata da memoria;

ritenuto che con i due esposti motivi, tra loro osmotici, il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 113,115,116 e 132, c.p.c., art. 2697, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, assumendo che:

– controparte si era limitata a contestare genericamente il possesso ad usmapionem del C.;

– di esso possesso si era data pubblica rappresentazione;

– in ogni caso il Tribunale non aveva ammesso la prova per testi giudicandola superflua e la Corte locale aveva omesso di prendere in esame, così impingendo nell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la riproposizione della predetta prova, in uno, alla richiesta di CTU;

– era rimasto violato l’art. 116, c.p.c., a cagione delle gravi manchevolezze nelle quali era incorsa la sentenza gravata, che avevano dato vita a un costrutto logicamente insostenibile;

– l’isolamento dal complesso turistico-alberghiero attraverso l’erezione del muro non aveva dato luogo a lamentele di sorta e le foto prodotte erano state ingiustamente giudicate non conducenti;

– non era state apprezzate le corrette conclusioni alle quali era giunta la perizia giurata prodotta;

– la circostanza che dal certificato storico di residenza risultava che il ricorrente avesse risieduto in tre diversi indirizzi, nonostante si fosse trattato sempre dello stesso immobile per cui è causa, trovava spiegazione nella predetta perizia giurata;

– la sentenza non aveva adeguatamente valorizzato la circostanza che l’edificio godeva d’ingresso indipendente;

considerato che le critiche sopra sunteggiate risultano manifestamente infondate per una convergente pluralità di autonome ragioni:

a) il ricorso, in primo luogo, invoca un improprio accertamento di merito da parte di questa Corte sulla base, peraltro, di una congetturata situazione di fatto non conoscibile in questa sede (difetto di specificità per mancanza di autosufficienza);

b) nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, l’insieme delle doglianze investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299);

c) la dedotta violazione dell’art. 2697, c.c., non è scrutinabile, non avendo il ricorrente riportato i capitoli di prova e dimostrato la loro decisività;

d) la denunzia di violazioni di legge in genere non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene in ferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente;

e) secondo l’assunto del ricorrente la situazione di fatto che si adduce a fondamento dell’acquisto per usucapione sarebbe derivata da una libera volizione del proprietario (neppure è chiaro se in proprio o quale legale rappresentante di società), con la conseguenza – salvo la prova dell’abdicazione, che qui non risulta -, come si è avuto modo di chiarire, che la presunzione di possesso utile “ad usucapionem”, di cui all’art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della “res”, ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, occorrendo che la detenzione venga mutata in possesso attraverso un atto d’interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali il possesso utile “ad usucapionem” in opposizione al proprietario concedente (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 21690, 14/10/2014), che, peraltro, ne era il genitore;

f) l’accertamento in concreto degli estremi dell’interversione idonea a trasformare la detenzione in possesso integra un’indagine di fatto, rimessa al giudice di merito, sicchè nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di cassazione di prendere direttamente in esame la condotta della parte, al fine di trarne elementi di convincimento (cfr. Se. 2, n. 27521, 19/12/2011), e caduta, ormai, dopo la riforma del 2012 dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la possibilità di criticare la motivazione, al di fuori dell’ipotesi dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (S.U. n. 8053, 7/4/2014), il vaglio non è sindacabile;

g) questa Corte ha già avuto modo di spiegare che, in generale, la segregazione del bene, nella specie mediante apposizione di un lucchetto che impedisce l’accesso all’immobile, non è idonea, in sè, al mutamento della detenzione in possesso (cd. interversione), essendo un fatto compatibile con la tutela della detenzione, che non muta il titolo contro il possessore, se a lui non opposto per escluderne il possesso “solo animo” (Sez. 6, n. 8115, 7/4/2011, Rv. 630108), pur potendo, tuttavia, assumere l’opposto significato in presenza di sintomi inferenziali significativi, che qui non constano;

h) sommamente aspecifica appare la critica mossa alla decisione in ordine all’affermata contestazione della prospettazione attorea da parte della convenuta, in quanto, anche tenuto conto della precisa difesa della controricorrente sul punto, il ricorrente si limita a insistere, sposando l’opinione del primo giudice, smentita da quello d’appello, e, quindi, non può che ribadirsi quanto da poco affermato in questa sede: ” Questa Corte, assai di recente ha avuto modo di precisare che i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza.

Anche ad accedere a una interpretazione meno rigoristica, resta fermo che, pur vero la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Sez. 1, n. 2771, 2/2/2017, Rv. 643715)” (Sez. 2, n. 10356/2019);

i) la denunzia di omesso esame di un fatto controverso e decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al mancato esame di richieste istruttorie non coglie nel segno, stante che la norma evocata consente di portare all’esame di legittimità solo il mancato apprezzamento di fatti storici, dovendosi, peraltro, rilevare che la critica non è comunque dotata di apprezzabile specificità, non essendo stati in alcun modo puntualizzati (nel senso di cui al paragrafo che precede) il contenuto e la rilevanza della richiesta di prova per testi, restando ovviamente, strumento di libera disponibilità del giudice il ricorso alla CTU;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore della controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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