Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3271 del 10/02/2011

Cassazione civile sez. I, 10/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 10/02/2011), n.3271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26047/2008 proposto da:

D.S.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, V. GIULIA DI COLLOREDO 46/48, presso l’avvocato

DE PAOLA Gabriele, che lo rappresenta e difende, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

07/08/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto depositato il 7/8/2007, la corte d’appello di Firenze ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla corresponsione a favore del ricorrente D.S.V. della somma di Euro 2000,00, nonchè al rimborso delle spese di lite, per il danno non patrimoniale sofferto dal ricorrente per la durata irragionevole del giudizio promosso avanti al Tar Toscana, per ottenere la riliquidazione del trattamento economico, durato sette anni.

La corte d’appello ha valutato nel caso superata di quattro anni la durata ragionevole del processo presupposto, fissata in tre anni, ed ha riconosciuto al ricorrente, alla stregua dei criteri applicati dalla giurisprudenza sia europea che nazionale, la somma di Euro 500,00 per ogni anno di eccessiva durata, così riducendo l’importo standard di 1000,00 Euro per anno, tenuto conto dell’esito del giudizio e del valore economicamente modesto della pretesa.

Il D.S. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla Presidenza del Consiglio.

Il Ministero dell’Economìa e delle Finanze e la Presidenza del Consiglio resistono con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Va in primis dichiarata l’inammissibilità del ricorso come proposto e notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, atteso che il giudizio di merito, definito con il decreto depositato il 7/8/2007, si è svolto legittimamente nel contraddittorio con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, atteso che nei giudizi di equa riparazione per violazione del termine ragionevole, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1224, che ha modificato la L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, attribuendo al Ministero dell’Economia e delle Finanze la legittimazione residuale spettante in precedenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, si applica esclusivamente ai giudizi nella fase di merito introdotti successivamente all’entrata in vigore di detta modifica (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1225) e non a quelli iniziati prima, come nel caso, e ritualmente svoltisi nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (sul principio, vedi Cass. 21352/2009 e Cass. 4864/2006).

1.2.- Con il primo motivo, il ricorrente chiede la correzione dell’errore materiale del decreto impugnato, per avere indicato il ricorrente come ” D.S.” anzichè ” D.S.”.

1.3.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 36 Cost., per avere la corte territoriale, in violazione del diritto vivente, in relazione alla durata irragionevole di quattro anni, liquidato la somma di Euro 2000,00 pari ad Euro 500,00 per anno di ritardo, in un importo irragionevole, adottando il parametro medio di Euro 1000,00, ed applicando in modo del tutto illegittimo il criterio riduttivo di Euro 500,00 per anno di ritardo irragionevole, disattendendo i criteri del Giudice europeo in carenza di particolari profili della fattispecie.

1.4.- Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere indicate nel decreto in modo del tutto teorico le situazioni legittimanti la riduzione del quantum dell’indennizzo.

2.1.- Il primo motivo è inammissibile, atteso che, come ritenuto costantemente da questa corte, in sede di legittimità non può procedersi alla correzione di errore materiale contenuto nella sentenza impugnata, dovendo a ciò provvedere il giudice a quo, nelle forme del procedimento di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c..

2.2.- Il secondo motivo è fondato, nei limiti e per le ragioni di seguito esposti.

E’ opportuno premettere che, come costantemente ritenuto da questa corte, la liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ex L. n. 89 del 2001, affidato al giudice del merito, deve rispettare la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dai criteri di liquidazione elaborati da quella Corte per i casi simili. Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendo espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di Cassazione.

Venendo all’esame del caso di specie, va fatta applicazione dell’orientamento di questa corte come reso palese, tra le altre, nella pronuncia n. 14753/2010, che si è espressa nei termini seguenti: “anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 conv. nella L. n. 133 del 2008 – a norma del quale “la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2″ – questa Corte aveva statuito che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, andasse riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa potesse subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, la cui mancata o ritardata presentazione può incidere unicamente sulla determinazione dell’entità dell’equa riparazione spettante, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28507;

Cass. 12 ottobre 2005, n. 19801; 12 ottobre 2005, n. 19804; 22 gennaio 2008, n. 1365). Ciò in quanto l’istanza di prelievo, prevista dal R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2, (e richiamata dalla L. n. 1034 del 1971, art. 19) con lo scopo di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata rispetto agli altri pendenti sul ruolo, non costituisce adempimento necessario, ai fini dello svolgimento del processo amministrativo e la CEDU ha più volte rilevato, nella sua giurisprudenza, che in base all’art. 6, par. 1, della Convenzione, nel calcolo del periodo di ragionevole durata del processo non possa avere influenza l’omissione o il ritardo nella presentazione dell’istanza di prelievo, in quanto quell’omissione o ritardo non sospendono nè differiscono il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda proposta.

Tale indirizzo giurisprudenziale ha ricevuto sostanziale avallo dalla CEDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi c. Italia), la quale, in due recentissime decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010;Falco et autres c. P Italia, del 6 aprile 2010) ha anche ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille Euro annue normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue.

Quanto al caso di specie va considerato che il D.L. n. 112 del 2008, pur disponendo per il futuro (Cass. 28 novembre 28428; 10 ottobre 2008 n. 24901), evidenzia e da rilievo legislativo alla circostanza che nei giudizi amministrativi l’istanza di prelievo, nella prassi, ha da lunghissimo tempo assunto una funzione di segnalazione al giudice del permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, molte volte venuto meno per circostanze sopravvenute alla sua proposizione, quali atti di autotutela o sanatorie. Con la conseguenza che la sua mancata presentazione, con il passare del tempo dalla proposizione della domanda, ha finito con il costituire indice, quanto meno, di scarso interesse alla stessa”.

2.2. Quanto al terzo motivo, lo stesso, siccome inteso a prospettare sotto il profilo del vizio di motivazione la valutazione da parte della corte territoriale della modestia della pretesa, deve ritenersi assorbito, alla luce delle ragioni dell’accoglimento del secondo motivo.

3.1. – Ne deriva che il decreto impugnato, in accoglimento del primo motivo del ricorso, nei limiti come sopra esposti, deve essere cassato e, decidendosi nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., tenendosi conto degli elementi sopra indicati, considerate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al giudice amministrativo oltre i limiti ragionevoli di durata, che ha evidenziato, in relazione al comportamento della parte, uno scarso interesse alla causa, nonchè considerate la natura e la consistenza della pretesa azionata e i margini di riduzione ricavabili dalle sopra indicate decisioni della CEDU, l’indennizzo può essere liquidato in favore del ricorrente nella misura forfettaria complessiva di Euro 3250,00, con gl’interessi dalla domanda sino al saldo come richiesto. Il Ministero convenuto va altresì condannato, per il principio della soccombenza (prevalente), al pagamento delle spese dell’intero giudizio di merito e di legittimità, negli importi indicati in dispositivo e con distrazione a favore dell’avv. De Paola, quanto alle spese del giudizio di merito.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze; dichiara inammissibile il 1^ motivo del ricorso, accoglie il 2^ motivo, assorbito il 3^, cassa il decreto impugnato in parte qua e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 3250,00 per indennizzo e gli interessi legali su detta somma dalla domanda, nonchè le spese del giudizio di merito e di legittimità, che determina per il giudizio di merito, in Euro 50,00 per esborsi, Euro 351,00 per diritti ed Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori, con distrazione a favore dell’avv. G. De Paola, antistatario, e per il giudizio di legittimità, in Euro 700,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2011

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