Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32705 del 18/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 18/12/2018), n.32705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28786-2014 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 72, presso lo studio dell’avvocato ALDO SIMONCINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ITALO CICCOCIOPPO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

FERRARINI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO DI PIETROPAOLO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FRANCO MARIA GRASSELLI, RITA

BOGGIANI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 500/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/05/2014 R.G.N. 1563/2012.

Fatto

RILEVATO

1. che G.L. – agente di commercio – adiva il giudice di primo grado chiedendo, previa declaratoria di risoluzione del rapporto di agenzia commerciale per fatto e colpa della preponente Ferrarini s.p.a., la condanna di quest’ultima al pagamento ex art. 1751 c.c. della somma di Euro 129.851,37 o altra di giustizia o, in subordine, in applicazione dell’A.E.C. e in sostituzione dell’art. 1751 c.c. della somma di 107,669,91, a titolo di indennità cessazione rapporto o indennità sostitutiva di preavviso, di indennità meritocratica, di corrispettivo del patto di non concorrenza, di differenze per trasferte relative alle mensilità dei mesi di marzo e aprile 2014;

1.1. che la società convenuta si costituiva per resistere spiegando domanda riconvenzionale con la quale chiedeva, accertata l’assunzione da parte del G. del debito della G.R. Specialità Alimentari nei confronti della Ferrarini s.p.a. per l’importo di 112.153,05 e/o comunque la responsabilità del medesimo per violazione degli artt. 1176 e 1746 c.c. e dell’art. 13 contratto di agenzia, condannare il suddetto al pagamento della somma sopraindicata; chiedeva, altresì, accertata la giusta causa di risoluzione del rapporto nonchè la violazione degli artt. 1176 e 1746 c.c. e art. 13 contratto di agenzia, dichiarare che nulla era dovuto al ricorrente a nessun titolo, ivi compresa la indennità di cui all’art. 1751 c.c., e condannare controparte alla restituzione delle somme percepite a titolo di corrispettivo del patto di non concorrenza; chiedeva, infine, disporsi la compensazione giudiziale tra quanto eventualmente dovuto da essa Ferrarini s.p.a. e le somme a debito dell’agente;

2. che il giudice di primo grado, ritenuto fondato su giusta causa il recesso in tronco della società, rigettava ogni ulteriore domanda delle parti;

3. che la Corte di appello di L’Aquila, pronunziando sull’appello principale del G. e sull’appello incidentale di Ferrarini s.p.a., in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha condannato Ferrarini s.p.a. al pagamento in favore di G.L. della somma di Euro 5.000,00.

3.1. che, in particolare, per quel che ancora rileva, il giudice di appello, affermata la sussistenza della giusta causa di recesso della preponente, ha escluso il diritto del G. alle indennità connesse alla risoluzione del rapporto; ha, quindi, ritenuto inammissibile, per novità della questione, la eccezione relativa alla determinazione della base di calcolo del corrispettivo concordato in sede di patto di non concorrenza, ulteriormente osservando che l’importo erogato a tale titolo nel corso del rapporto, giusta specifica clausola contrattuale, risultava comunque superiore alla somma pretesa giudizialmente dall’agente; affermata la fondatezza della censura di omessa pronunzia sulla domanda con la quale l’agente aveva chiesto la condanna di controparte al pagamento delle trasferte effettuate in Toscana relative ai mesi di marzo ed aprile 2004 ha riconosciuto il diritto del G. alla relativa corresponsione nella misura di Euro 5.000,00 come da documentazione versata in atti dal suddetto; ha respinto il ricorso incidentale e ritenuto che il parziale accoglimento dell’appello e la soccombenza reciproca in relazione alle ulteriori domande giustificavano sia il rigetto della richiesta della società ai sensi dell’art. 96 c.p.c. sia la statuizione di compensazione, anche in seconde cure, delle spese di lite.

4. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.L. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 360, n. 5 in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1 ed agli artt. 2119 e 2697 c.c. per omessa considerazione del contrasto, nella rappresentazione dei fatti, resa in fase di testimonianza dai testimoni D.M….e T.G…. sulla circostanza… relativa al passaggio di consegne non attuato per fatto dall’agente G. e, pertanto, fonte legittima di recesso in tronco del rapporto di agenzia nei confronti del G.”. Censura, in sintesi, la sentenza impugnata perchè nella valutazione della sussistenza della giusta causa di recesso da parte della società (la quale ad un primo recesso con preavviso di otto mesi aveva fatto seguire un secondo recesso in tronco motivato da ripetuti inadempimenti del G. costituiti dalla carente attività di promozione e conclusione di affari nella zona assegnata e dalla mancata collaborazione con gli incaricati della società finalizzata ad agevolare il passaggio delle consegne in vista della cessazione del rapporto) aveva omesso di considerare la contraddittorietà delle dichiarazioni rese in sede testimoniale dai due incaricati della società in punto di mancata collaborazione contestata all’agente; lamenta, inoltre, il rilievo dato ad altre testimonianze e la mancata considerazione delle comunicazioni inviate dal G. alla società con le quali questi rappresentava, in sintesi, una complessiva difficoltà di rapporto con gli incaricati della società;

2. che con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2697 c.c.dell’art. 116 c.p.c. “inerenza con l’art. 2119 c.c. per carenza assoluta della prova testimoniale a comprovare l’esistenza della giusta causa per il recesso in tronco”;

3. che con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 10., lett. A e B, A.E.C. H 20.3.2002 in tema di indennità suppletiva di clientela e dell’art. 2119 c.c. in collegamento con l’art. 24 Cost. alla stregua dei quali era da escludere la legittimità del recesso in tronco per giusta causa motivata dall’asserita consistente riduzione del volume di vendite. Premesso che nel contratto di agenzia non era previsto alcun volume minimo di affari convenzionalmente stabilito nella zona di pertinenza dell’agente, osserva che la verifica del calo di fatturato doveva essere effettuata in comparazione con il volume di vendita conseguito dagli altri agenti, con onere della relativa prova a carico della preponente. Lamenta, quindi, che la circostanza sia stata ritenuta provata sulla scorta di “semplice acquisizione di prova testimoniale incongrua sul punto”;

4. che il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto parte ricorrente, pur denunziando formalmente anche malgoverno dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., sollecita in realtà una generale rivisitazione del materiale di causa e ne chiede un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione, alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie qui scrutinata), come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053); parte ricorrente, peraltro, non individua alcuno specifico “fatto storico” nel senso puntualizzato dalla richiamata pronunzia a sezioni unite, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito atteso che tale fatto non potrebbe giammai consistere nel mancato rilievo di una pretesa contraddittorietà e/o carenza delle deposizioni testimoniali richiamate, profilo che investe l’aspetto valutativo del materiale probatorio;

5. che il secondo motivo è inammissibile in quanto la deduzione di violazione di norme di diritto non è conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (v. tra le altre Cass. 08/032007 n. 5353; Cass. 17/05/2006 n. 11501); parte ricorrente infatti non individua lo specifico errore di diritto ascritto alla sentenza impugnata ma incentra le proprie censure sulla valutazione delle emergenze istruttorie sollecitando direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357);

6. che il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto la formale denunzia di violazione di norme di diritto e dell’Accordo collettivo non è corredata, come prescritto, dalla specifica individuazione dell’errore di diritto ascrivibile alla sentenza impugnata con riferimento alle norme, di legge o pattizie, delle quali è denunziata la violazione. E’ ancora da rilevare che la sentenza impugnata ha ritenuto sul punto di confermare l’accertamento operato dal primo giudice il quale aveva ritenuto la circostanza del calo di fatturato ammessa dal G. in sede di interrogatorio formale (v. sentenza, pag. 9, penultimo capoverso); in conseguenza costituiva onere del ricorrente – onere in concreto non assolto dimostrare che la questione della necessità di valutazione del calo di fatturato in comparazione con quello realizzato dagli altri agenti, questione implicante accertamento di fatto, aveva costituito oggetto di specifica e rituale censura in sede di gravame (Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540);

7. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso risulta inammissibile;

8. che le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;

8. che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018

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