Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32704 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2019, (ud. 29/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20908-2014 proposto da:

D.L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN NICOLA DA

TOLENTINO n. 50, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO ROMEO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO ZITO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE N. (OMISSIS) di REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 666/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 16/04/2014 R.G.N. 538/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha respinto l’appello di D.L.M., collaboratore amministrativo di livello D, avverso la sentenza del Tribunale di Palmi che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale, volto ad ottenere l’inquadramento nella qualifica di collaboratore amministrativo esperto DS e, comunque, la condanna al pagamento delle differenze retributive maturate in conseguenza dello svolgimento di mansioni riconducibili al livello superiore;

2. la Corte territoriale ha premesso che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado la D.L. aveva dedotto di avere sostituito, nell’arco temporale 2003/2008 e per un periodo complessivo pari ad anni 1, mesi 10 e giorni 13, la dipendente C.B., inquadrata nel livello DS, ed aveva aggiunto che, a seguito di pensionamento di quest’ultima con atto formale del 25 marzo 2009, le attività in precedenza curate dalla professionalità superiore le erano state affidate in aggiunta a quelle già assegnatele;

3. il giudice d’appello, richiamata la disciplina di legge e contrattuale, ha escluso che l’appellante potesse pretendere l’inquadramento nella qualifica rivendicata, perchè nell’impiego pubblico contrattualizzato l’espletamento di mansioni superiori può legittimare solo la richiesta di differenze retributive, principio questo applicabile anche al definitivo inquadramento nel livello economico DS, in relazione al quale il CCNL 7.4.1999 per il personale del comparto sanità aveva previsto il passaggio solo nei limiti della dotazione organica e previo superamento di selezione interna;

4. quanto, poi, al trattamento stipendiale la Corte territoriale ha ritenuto non sufficienti le allegazioni dell’atto introduttivo ed ha rilevato che l’originaria ricorrente non aveva in alcun modo precisato quali fossero le attività in concreto espletate, avendo posto a fondamento della domanda la sola sostituzione del dipendente inquadrato nella qualifica superiore;

5. ha precisato al riguardo che l’appellante non poteva neppure invocare il principio di non contestazione, che presuppone la specifica allegazione dei fatti costitutivi del diritto;

6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.L.M. sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, ai quali non ha opposto difese l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, nonchè del CCNL 7 aprile 1999, art. 28, per il personale del comparto sanità e sostiene, in sintesi, che non poteva la Corte territoriale svalutare l’atto di assegnazione formale delle mansioni superiori, nel quale, tra l’altro, era contenuta un’analitica descrizione delle attività in precedenza affidate alla C.;

1.1. precisa al riguardo che allorquando un dipendente è chiamato a svolgere, in aggiunta alle mansioni di propria competenza, anche quelle del livello superiore, il giudizio di prevalenza non va condotto fra le une e le altre, perchè il diritto a percepire le differenze retributive sorge automaticamente allorquando tutti i compiti della professionalità superiore vengono affidati al lavoratore della qualifica inferiore;

1.2. ad avviso della ricorrente “il concetto di prevalenza è legato alla quantità, qualità e durata delle mansioni superiori trasferite, non al rapporto tra queste ed altre minori eventualmente svolte dal prestatore”;

2. la seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione, oltre che del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, “dei principi costituzionali, comunitari e dell’ordinamento in tema di legittimo affidamento, certezza dei rapporti giuridici, buona fede, correttezza, ragionevolezza e solidarietà sociale”;

2.1. la ricorrente insiste nel fare leva sull’ordine di servizio del 25 marzo 2009 con il quale le erano state assegnate, oltre a quelle già espletate, le mansioni di competenza del livello superiore ed aggiunge che la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto del fatto che nell’ambito dell’ufficio nessun altro dipendente possedeva i requisiti necessari per l’accesso alla qualifica DS;

2.2. invoca, poi, i principi richiamati nella rubrica che nella specie sarebbero stati violati dall’amministrazione la quale si era avvalsa per oltre cinque anni di prestazioni altamente qualificate senza remunerarle in modo adeguato e senza bandire alcun concorso;

2.3. sostiene, infine, che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, nel testo originario, riconosce il diritto del dipendente pubblico a svolgere mansioni “corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” e quindi valorizza lo “sviluppo professionale” in senso ampio, senza porre come condizione imprescindibile, a differenza della nuova formulazione non applicabile alla fattispecie ratione temporis, una procedura comparativa;

3. con il terzo motivo è denunciata, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del procedimento per “violazione dell’art. 111 Cost. e artt. 115,116,134,214,420,421 e 437 c.p.c., in riferimento al mancato accoglimento delle richieste istruttorie, al mancato esercizio dei poteri d’ufficio previsti nel rito del lavoro, al mancato rilievo della assenza di disconoscimento dei documenti prodotti, all’omesso esame degli stessi documenti, all’omesso rilievo del contegno delle partì, all’omessa valutazione delle prove”;

3.1. ribadito che la prova dell’assegnazione a mansioni superiori emergeva già dalla documentazione prodotta, non esaminata dalla Corte territoriale, la ricorrente assume che il giudice di merito avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale articolata, che verteva su circostanze rilevanti ai fini di causa in quanto attinenti ai presupposti richiesti dalle parti collettive ai fini dell’inquadramento nella qualifica rivendicata;

4. la quarta critica eccepisce la nullità del procedimento sotto altro profilo e addebita al giudice di merito di avere violato gli artt. 115 e 416 c.p.c., ritenendo erroneamente che l’Azienda non avesse alcun onere di specifica contestazione attesa la genericità delle allegazioni dell’atto introduttivo;

4.1. la ricorrente richiama la produzione documentale, a suo dire attestante le mansioni e le funzioni svolte, ed aggiunge che l’ASP si era limitata a sostenere che queste ultime non erano state provate, senza dedurre alcunchè sull’autenticità della documentazione prodotta e sulle circostanze dalla stessa rappresentate;

5. infine con il quinto motivo, egualmente formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia la violazione del combinato disposto dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost. e sostiene che la motivazione sarebbe apparente e, comunque, intrinsecamente contraddittoria;

5.1. riprendendo le censure già sviluppate nei precedenti motivi la D.L. addebita alla Corte territoriale di: a) essersi limitata a trascrivere i testi normativi e contrattuali rilevanti, senza esaminare le questioni in rilievo e indicare le ragioni di rigetto della domanda; b) non avere pronunciato sul motivo di appello con il quale erano stati invocati il principio del legittimo affidamento e della certezza dei rapporti giuridici; c) non avere interpretato correttamente il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, nella parte in cui si riferisce allo sviluppo professionale; d) non avere esaminato la documentazione prodotta nè indicato le ragioni per le quali i mezzi istruttori richiesti non potevano essere ammessi; e) non avere attivato i poteri d’ufficio; f) non avere valorizzato il contegno delle parti e fatto ricorso alla prova per presunzioni;

6. i primi due motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico e giuridica, sono inammissibili nella parte in cui fanno leva sul provvedimento formale di assegnazione delle mansioni, che, a detta della ricorrente, sarebbe stato sufficiente per dimostrare l’espletamento di attività riconducibili alla posizione economica Ds ed al profilo professionale di collaboratore professionale esperto;

6.1. il ricorso per cassazione deve essere redatto nel rispetto dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c. che al comma 1, n. 6, richiede “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”;

6.2. è, quindi, necessario che il ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, quanto meno nelle parti essenziali, precisi in quale fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione;

6.3. va precisato al riguardo che il requisito di cui al richiamato art. 366 c.p.c., n. 6 non può essere confuso con quello di procedibilità previsto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28.9.2016 n. 19048);

6.4. nel caso di specie la D.L., che a pag. 15 ha trascritto solo tre righe del documento in questione, non lo ha allegato al ricorso, non lo ha depositato in questa sede nè ha fornito indicazione sulla sua allocazione;

7. l’motivi, poi, sono manifestamente infondati quanto all’interpretazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, che al comma 3, nel riprodurre il contenuto del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25, fornisce una puntuale definizione di mansioni superiori, stabilendo che le stesse consistono nell’attribuzione “in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale dei compiti propri di dette mansioni”;

7.1. il giudizio di prevalenza, poichè finalizzato ad accertare il contenuto professionale della prestazione complessivamente resa dal dipendente, va espresso apprezzando, da un lato le mansioni riconducibili al profilo di inquadramento e dall’altro quelle sussumibili nel livello superiore, perchè solo qualora queste ultime prevalgano, nei termini indicati dal legislatore, su quelle esigibili in relazione alla qualifica posseduta dai prestatore, viene in gioco l’esigenza di commisurare il trattamento retributivo alla diversa e maggiore qualità del servizio reso;

7.2. è poi da escludere che dall’esercizio di fatto di mansioni superiori possa discendere il diritto all’inquadramento, perchè l’art. 52, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha limitato, ai commi 4 e 5, le conseguenze al solo diritto a percepire le differenze retributive e dalle modifiche apportate al testo della disposizione dal D.Lgs. n. 150 del 2009, non sì può certo desumere che, in precedenza, il legislatore avesse consentito l’acquisizione della qualifica superiore per effetto del solo svolgimento delle mansioni;

7.3. nella formulazione originaria il comma 1 faceva riferimento allo sviluppo professionale ed alle procedure concorsuali o selettive perchè considerava tutte le diverse forme di progressione fra le aree ed all’interno dell’area, previste dalla contrattazione collettiva, alla quale era ed è riservata la classificazione del personale;

7,4. la riscrittura del comma 1, che valorizza nella versione attuale le sole “procedure selettive di cui all’art. 35, comma 1, lett. a)”, è la conseguenza del nuovo sistema di classificazione che, anticipato dalla contrattazione collettiva di alcuni comparti, attribuisce rilievo alle sole aree di inquadramento, all’interno delle quali non si collocano più posizioni esprimenti una maggiore professionalità della prestazione resa, bensì fasce di merito, di esclusivo rilievo economico;

7.6. ai richiamati principi si è correttamente attenuta la Corte territoriale nell’escludere in ogni caso il diritto dell’appellante all’inquadramento nella qualifica rivendicata e nel ritenere, inoltre, che non si potesse accogliere neppure la domanda subordinata di solo riconoscimento delle differenze retributive perchè non erano state descritte le mansioni svolte e, quindi, gli elementi offerti non consentivano di esprimere il necessario giudizio di prevalenza;

7.7. una volta esclusa, per le ragioni sopra indicate, la prova dello svolgimento di mansioni superiori, va da sè che non possono assumere alcun rilievo i principi richiamati nel secondo motivo, perchè la violazione del legittimo affidamento, della buona fede, della correttezza,della ragionevolezza e solidarietà sociale viene denunciata muovendo da un presupposto in realtà indimostrato;

8. il terzo motivo, che quanto agli atti processuali ed ai documenti presenta i medesimi profili di inammissibilità del primo, pretende erroneamente di far discendere la nullità della sentenza dall’errata valutazione della prova che è riservata al giudice del merito e che può essere censurata in sede di legittimità, al pari della mancata ammissione della prova testimoniale, nei soli limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione applicabile ratione temporis, e sempre che non ricorra il divieto di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, come modificato dal del D.L. n. 83 del 2012, art. 54;

8.1. nel caso di specie, poichè l’appello è stato proposto il 23 maggio 2013 avverso la sentenza di primo grado che egualmente aveva rigettato la domanda sulla base di considerazioni analoghe a quelle espresse dalla Corte territoriale, non poteva essere proposta nessuna censura riconducibile, al di là della intestazione della rubrica, al vizio di cui al n. 5 del richiamato art. 360 c.p.c.;

9. per le medesime ragioni indicate nei punti che precedono è inammissibile anche il quarto motivo, con il quale la violazione del principio di non contestazione è denunciata senza il necessario rispetto degli oneri di allegazione e di specificazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, che valgono anche in caso di denuncia di un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, perchè l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);

10. infine non si ravvisa la nullità della sentenza impugnata eccepita con il quinto motivo, con il quale, in realtà, vengono riproposte le medesime censure attinenti alla errata valutazione della prova ed alla falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52;

10.1. le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità, quale violazione di legge costituzionalmente rilevante, attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, prescinde dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. S.U. n. 8053/2014 che richiama Cass. S.U. n. 5888/1992);

10.2. il difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., si configura, quindi, solo qualora la motivazione o manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum;

10.3. esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;

10.4. nel caso di specie la sentenza impugnata, corretta quanto all’interpretazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 è chiara nell’indicare le ragioni per le quali la carenza di allegazioni del ricorso introduttivo impediva l’accoglimento della domanda e la motivazione in parte qua non può essere ritenuta nè apparente nè contraddittoria;

11. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato e pertanto si deve dare atto della sussistenza dei presuppostì processuali richiesti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater;

11.1. poichè l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria è rimasta intimata, non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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