Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3269 del 10/02/2011

Cassazione civile sez. I, 10/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 10/02/2011), n.3269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3258/2008 proposto da:

C.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIULIA DI COLLOREDO 46-48, presso l’avvocato

DE PAOLA Gabriele, che lo rappresenta e difende, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI

MINISTRI;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

16/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto depositato il 16/12/2007, la corte d’appello di Firenze ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla corresponsione a favore dei ricorrenti C.A. ed altri della somma di Euro 2200,00 ciascuno, nonchè al rimborso delle spese di lite, per il danno non patrimoniale sofferto dai ricorrenti per la durata irragionevole del giudizio promosso avanti al Tar Toscana, per ottenere l’integrazione della indennità di buonuscita, durato sette anni e cinque mesi.

La corte d’appello ha valutato nel caso superata di quattro anni e cinque mesi la durata ragionevole del processo presupposto, fissata in tre anni, ed ha riconosciuto al ricorrente, alla stregua dei criteri applicati dalla giurisprudenza sia europea che nazionale, la somma di Euro 500,00 per ogni anno di eccessiva durata, così riducendo l’importo standard di 1000,00 Euro per anno, tenuto conto dell’esito del giudizio e del valore economicamente modesto della pretesa.

Il C. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla Presidenza del Consiglio.

Gli intimati non si sono costituiti.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Va in primis dichiarata l’inammissibilità del ricorso come proposto e notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, atteso che il giudizio di merito, definito con il decreto depositato il 16/12/2007, si è svolto legittimamente nel contraddittorio con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, atteso che nei giudizi di equa riparazione per violazione del termine ragionevole, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1224, che ha modificato la L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, attribuendo al Ministero dell’Economia e delle Finanze la legittimazione residuale spettante in precedenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, si applica esclusivamente ai giudizi nella fase di merito introdotti successivamente all’entrata in vigore di detta modifica (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1225) e non a quelli iniziati prima, come nel caso, e ritualmente svoltisi nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (sul principio, vedi Cass. 21352/2009 e Cass. 4864/2006).

1.2.- Con il primo motivo, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 36 Cost., per avere la corte territoriale, in violazione del diritto vivente, in relazione alla durata irragionevole di 4 anni e 5 mesi, liquidato la somma di Euro 2200,00, pari ad Euro 500,00 per anno di ritardo, in un importo irragionevole, adottando il parametro medio di Euro 1000,00 ed ignorando il parametro di Euro 2000,00 per la causa previdenziale e di lavoro in oggetto, ed applicando il criterio riduttivo di Euro 500,00 per anno di ritardo irragionevole, anche in presenza del giudizio presupposto di natura previdenziale e di lavoro.

1.3.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, alla L. n. 89 del 2001, art. 2 ed all’art. 38 Cost., per avere la corte territoriale valutato ai fini della riduzione del quantum l’avere agito la parte de damno vitando o ad lucrum captandum, l’esito del giudizio ed il valore economico della pretesa.

1.4.- Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prospettando quale fatto controverso il valore economicamente modesto della pretesa, che è invece elevato.

2.1.- Il primo motivo è fondato nei sensi di cui in motivazione.

E’ opportuno premettere che, come costantemente ritenuto da questa corte,la liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ex L. n. 89 del 2001, affidato al giudice del merito, deve rispettare la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dai criteri di liquidazione elaborati da quella Corte per i casi simili. Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendo espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di cassazione.

Venendo all’esame del caso di specie, va fatta applicazione a dell’orientamento di questa corte come reso palese, tra le altre, nella pronuncia n. 14753/2010, che si è espressa nei termini seguenti: “anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 conv. nella L. n. 133 del 2008 – a norma del quale “la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2″ – questa Corte aveva statuito che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, andasse riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa potesse subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, la cui mancata o ritardata presentazione può incidere unicamente sulla determinazione dell’entità dell’equa riparazione spettante, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28507;

Cass. 12 ottobre 2005, n. 19801; 12 ottobre 2005, n. 19804; 22 gennaio 2008, n. 1365). Ciò in quanto l’istanza di prelievo, prevista dal R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2 (e richiamata dalla L. n. 1034 del 1971, art. 19) con lo scopo di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata rispetto agli altri pendenti sul ruolo, non costituisce adempimento necessario, ai fini dello svolgimento del processo amministrativo e la CEDU ha più volte rilevato, nella sua giurisprudenza, che in base all’art. 6, par. 1, della Convenzione, nel calcolo del periodo di ragionevole durata del processo non possa avere influenza l’omissione o il ritardo nella presentazione dell’istanza di prelievo, in quanto quell’omissione o ritardo non sospendono nè differiscono il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda proposta. Tale indirizzo giurisprudenziale ha ricevuto sostanziale avallo dalla CEDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi c. Italia), la quale, in due recentissime decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010;Falco et autres c. P Italia, del 6 aprile 2010) ha anche ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille Euro annue normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue.

Quanto al caso di specie va considerato che il D.L. n. 112 del 2008, pur disponendo per il futuro (Cass. 28 novembre 28428; 10 ottobre 2008 n. 24901), evidenzia e da rilievo legislativo alla circostanza che nei giudizi amministrativi l’istanza di prelievo, nella prassi, ha da lunghissimo tempo assunto una funzione di segnalazione al giudice del permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, molte volte venuto meno per circostanze sopravvenute alla sua proposizione, quali atti di autotutela o sanatorie. Con la conseguenza che la sua mancata presentazione, con il passare del tempo dalla proposizione della domanda, ha finito con il costituire indice, quanto meno, di scarso interesse alla stessa”.

Non può invece trovare accoglimento la parametrazione al maggior importo di Euro 2000,00, per la particolare natura delle controversia (previdenziale e di lavoro), alla luce della giurisprudenza di questa corte come espressa nella sentenza 6898/08 e successive 16298/2008 e 19691/09, secondo cui “non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita”.

2.2.- E’ invece infondato il secondo motivo, atteso che quanto meno è utilizzabile ai fini della quantificazione dell’indennizzo il criterio del valore modesto della pretesa (sul principio, vedi Cass. 1630/2006).

2.3. – E’ altresì infondato il terzo motivo, atteso che la corte territoriale ha valutato il valore economicamente modesto della pretesa fatta valere nel giudizio presupposto dal C. sulla base della sentenza nel detto giudizio e nel corso della motivazione ha esplicitato il concetto della posta in gioco, sì che la sentenza impugnata deve ritenersi immune da omissioni e contraddittorietà sul piano logico formale e della correttezza giuridica.

Il riferimento all’art. 96 c.p.c., è infine del tutto privo di ogni argomentazione.

3.1. – Ne deriva che il decreto impugnato, in accoglimento del primo motivo del ricorso, nei limiti come sopra esposti, deve essere cassato e, decidendosi nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., tenendosi conto degli elementi sopra indicati, considerate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al giudice amministrativo oltre i limiti ragionevoli di durata, che ha evidenziato, in relazione al comportamento della parte, uno scarso interesse alla causa, nonchè considerate la natura e la consistenza della pretesa azionata e i margini di riduzione ricavabili dalle su dette decisioni della CEDU, l’indennizzo può essere liquidato in favore del ricorrente nella misura forfettaria complessiva di Euro 3750,00, con gl’interessi dalla domanda sino al saldo come richiesto. Il Ministero convenuto va altresì condannato, per il principio della soccombenza(prevalente), al pagamento delle spese dell’intero giudizio di merito e di legittimità, negli importi indicati in dispositivo e con distrazione a favore dell’avv. G. De Paola,antistatario, quanto alle spese del giudizio di merito.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in parte qua e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 3750,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla data della domanda,e le spese del giudizio, che determina per il giudizio di merito, nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 351,00 per diritti ed Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori, e che dispone siano distratte in favore dell’avv. G. De Paola, antistatario, e del giudizio di legittimità, che determina in Euro 700,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2011

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