Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32688 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. II, 12/12/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 12/12/2019), n.32688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16254-2018 proposto da:

B.M.J., BR. IN B.M.,

L.E., elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

BE.CL., M.M., elettivamente domiciliati in

(OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA DE SANTIS, che

li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè contro

BI.CL.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1793/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere ORICCHIO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Be.Cl. e M.M. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma B.M.J., Br.Ma. e L.E..

Gli attori, quali proprietari di due distinte unità immobiliari, facenti parte di un’unica villa pentafamiliare, di proprietà anche dei convenuti ed in atti specificamente individuata, deducevano che nelle pozioni di loro proprietà esclusiva esisteva una servitù di scarico a favore dei fondi dominanti dei convenuti.

Chiedevano, quindi, previo accertamento di quanto dedotto, la condanna dei convenuti – in solido ovvero per la relativa quota di spettanza- al pagamento dell’indennizzo ex artt. 1038 e 1043 c.c..

La domanda era resistita dai convenuti che contestavano l’avverso dedotto.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 14649/2011, dichiarava l’esistenza della servitù di scarico e condannava i convenuti al pagamento dell’indennità nella misura determinata con CTU.

Gli originari convenuti interponevano appello avverso la decisione del Tribunale di prima istanza, della quale chiedevano la riforma.

Svolgeva appello incidentale Bi.Cl., chiamato in causa ad integrazione del contraddittorio quale usufruttuario dell’unità immobiliare del B.M. e -fatte proprie le conclusioni di cui all’appello principale- lamentava il mancato accoglimento della sua eccezione preliminare di nullità della notifica dell’atto di chiamata in causa già formulata in primo grado.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 1793/2018, dichiarava inammissibile l’appello incidentale, rigettava l’appello principale.

Per la cassazione della succitata sentenza della Corte territoriale ricorrono gli originari convenuti con atti affidato a sei ordini di motivi e resistito con controricorso delle originarie parti attrici.

Hanno depositato memoria le parti ricorrenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione di norme (artt. 1350,1027 ss. e 1031 c.c.), nonchè omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c. (n.ri 3, 4 e 5).

Il motivo che viene articolato con promiscuo rifermento a plurimi parametri normativi di cui all’art. 360 c.p.c., si incentra, in sostanza, sulla pretesa mancata valutazione del fatto della rinuncia parziale della servitù per cui è controversia.

Da tale fatto, secondo la ricostruzione data dai plurimi profili promiscuamente addotti da parti ricorrenti, deriverebbe – quindi- la pretesa violazione delle norme di diritto come in epigrafe rubricate dalle parti ricorrenti.

Senonchè il motivo qui in esame non coglie affatto, nel suo complesso, l’effettiva ratio in base alla quale i giudici di merito hanno deciso.

In particolare, nella sentenza di appello oggetto del ricorso in esame, viene del tutto esclusa la presenza nell’atto originario di acquisto in favore degli originari attori dell’esistenza di una costituita servitù di scarico a favore degli odierni ricorrenti.

E’ questa, sostanzialmente, la ragione posta a base della decisione per cui è ricorso, non debitamente colta e contestata col motivo in esame e che – di per sè- esclude la fondatezza della addotta pretesa violazione delle norme di diritto.

Il motivo va, dunque, in quanto infondato, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione di norme (artt. 1038 e 1043 ss. c.c.), nonchè omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è incentrato, specificamente, sulla quantificazione dell’indennizzo ancorchè – dall’esposizione dello stesso- non è invero fornita neppure la precisa entità delle somma per cui era intervenuta la condanna e l’eventuale minor somma dovuta.

Trattandosi di censura di carattere eminentemente valutativo ed assolutamente meritale, essenzialmente relativo a profilo fattuale non più riesaminabile in sede di giudizio di legittimità, il motivo non può che essere ritenuto inammissibile.

3. – Con il terzo motivo parti ricorrenti lamentano – testualmente- “la violazione di tutte la violazione e falsa applicazione di tutte le norme e principi di cui al precedente motivo secondo”, nonchè il vizio di legge – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, – per violazione degli artt. 88,101,189 e 190 c.p.c., ed omesso esame di un fatto decisivo.

4. – Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio si prospetta – testualmente – la “violazione e falsa applicazione sotto altro profilo di tutte le norme ed i principi di cui ai precedenti motivi”, nonchè omesso esame di un fatto decisivo.

5. – I due motivi sub 3) e 4) possono essere trattati congiuntamente.

Ambedue si sostanziano in una concatenazione di profili a loro volta messi in relazione a quello di cui al precedente motivo sub 2).

Già la formulazione dei detti motivi, in uno al carattere confusamente ed indistintamente promiscuo, rende i motivi inammissibili.

Con gli stessi profili sollevati nei motivi in esame si tende, attraverso la strumentale e confusa deduzione di vizi di legge, ad ottenere una nuova valutazione -in fatto- delle conclusioni cui sono conformemente pervenuti entrambi i Giudici del merito ed, in particolare, della Corte territoriale che ha avuto modo di chiarire e ribadire come sia stata corretta del metodo di determinazione dell’indennizzo, specie in considerazione di una quantificazione parametrata anche alla “stabile insistenza delle opere”.

Ulteriormente deve evidenziarsi, alla stregua di noti e condivisi principi già enunciati da questa Corte, che – vi è inammissibilità del ricorso per cassazione allorchè lo stesso finisca per sostanziarsi in una “mera riproposizione delle tesi difensive già svolte nelle fasi di merito” (Cass., Sez. Prima, Ord. 24 settembre 2018, n. 22478″) ovvero quando plurimi motivi di doglianza in singoli motivi “comportano l’impossibilità della specifica individuazione di una (determinante) tipologia censura consentita” (Cass., Sez. Seconda, Sent. 23 ottobre 2018, n. 26790).

I motivi sono, quindi, entrambi inammissibili.

6. – Il quinto motivo è così rubricato: ” violazione e falsa applicazione di ogni norma e principio in materia di rinuncia alla servitù (e) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5)”.

Nel corpo dell’esposizione del motivo è fatto rinvio alla norma di cui all’art. 1350 c.c. ed alla consentita rinunciabilità della servitù.

Con motivo si adduce, più specificamente, l’erroneità della gravata decisione “per la parte in cui ha escluso la rilevanza dell’atto abdicativo della servitù formalizzato dagli attuali ricorrenti”.

Orbene la detta rinuncia non è stata affatto oggetto di una omessa valutazione.

La Corte territoriale ha tenuto conto della documentazione inerente la rinuncia alla servitù del 12/9/2017 per atto notaio T. (e l’autorizzazione amministrativa allo scarico del 7/12/2017) ed una volta ritenutane – ratione temporis – anche l’ammissibilità rispetto alla fase del giudizio non ne ha ritenuto la decisività.

Il fatto della intervenuta rinuncia, insomma, è stato sì valutato, ma considerato non decisivo ed “idoneo ad intaccare la valutazione della fondatezza delle originarie domande attoree”.

Tanto al cospetto, oltre che della già succitata persistente “stabile insistenza delle opere” (v.: sub 5), in ragione della irrilevanza di “un’iniziativa unilaterale (la rinuncia) dei soggetti obbligati non condivisa dalla controparte”.

Il motivo è, quindi, del tutto infondato e va respinto.

7. – Con il sesto motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. e di ogni altra norma in tema di deducibilità del difetto di legittimazione passiva anche in fase di appello, di qualificazione della relativa eccezione e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Parti ricorrenti, sul presupposto del loro difetto di legittimazione (invocato in appello) lamentano la violazione delle norme di cui in epigrafe e la disattesa eccezione del difetto di corrispondenza fra chiesto e pronunziato.

Il motivo non può essere accolto.

I Giudici del merito hanno, con accertamento in fatto proprio del loro giudizio, acclarato che nell’atto originario di acquisto non vi era menzione della servitù per cui è controversia e, quindi, non era ipotizzabile la pretesa legittimazione passiva dei convenuti – usufruitori dello scarico – con affermazione della legittimazione stessa in capo alla costruttrice/venditrice società Romana Sviluppo Agricolo.

Il motivo va, quindi, respinto.

8. – Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso deve, nel suo complesso, essere rigettato.

9. – Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano così come in dispositivo.

10. – Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 5.800,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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