Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32680 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. II, 12/12/2019, (ud. 15/04/2019, dep. 12/12/2019), n.32680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17051/2015 R.G. proposto da:

S.C., (OMISSIS), S.V., (OMISSIS), S.L.,

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma, alla via Sesto Rufo,

n. 23, presso lo studio dell’avvocato professor Lucio V. Moscarini

che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Dario Poto li

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

O.G., c.f. (OMISSIS), G.D. c.f. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati, con indicazione dell’indirizzo di posta

elettronica certificata, in Ivrea, alla via Mazzini, n. 4/6, presso

lo studio dell’avvocato Nadia Betti che li rappresenta e difende in

virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza della corte d’appello di Torino n. 2000 dei

3.10/7.11.2014;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 15 aprile 2019 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato in data 1.12.1990 A.A., vedova S., e S.C. citavano a comparire dinanzi al tribunale di Torino i coniugi O.G. e G.D..

Chiedevano – tra l’altro – condannarsi i convenuti a ripristinare l’integrità del fabbricato di cui elle attrici erano proprietarie.

Si costituivano O.G. e G.D..

Esponevano – tra l’altro – che sulle particelle di terreno in catasto ai nn. (OMISSIS), di cui erano proprietari i germani S.V. e L. nonchè l’attrice S.C., era stato realizzato un basso fabbricato che pregiudicava il diritto d’uso del comune cortile.

Instavano per il rigetto delle avverse domande; in via riconvenzionale – tra l’altro – per la condanna di S.C. nonchè di S.V. e L. al ripristino dello status quo ante.

Si costituivano, chiamati in causa, S.V. e S.L., comproprietari unicamente della particella n. (OMISSIS).

Con sentenza n. 2269/2003 il tribunale di Torino – tra l’altro – respingeva la riconvenzionale – summenzionata – esperita dai coniugi O. – G..

O.G. e G.D. proponevano appello.

Resistevano S.C., S.V. e S.V., in proprio e quali eredi di A.A..

Non si costituiva e veniva dichiarato contumace C.S., figlio di S.M., erede per rappresentazione di A.A..

Con sentenza n. 585/2006 la corte di appello di Torino, in parziale riforma della gravata sentenza – tra l’altro – accertato incidentalmente il diritto di comproprietà dei coniugi O. – G. sul cortile, condannava S.V. e L., comproprietari della particella n. (OMISSIS), a ripristinare il muretto di delimitazione tra la stessa particella ed il cortile.

Con sentenza n. 76/2013 questa Corte di legittimità cassava la sentenza n. 585/2006 della corte di Torino.

S.C., S.L. e S.V. attendevano alla riassunzione in sede di rinvio.

Resistevano O.G. e G.D..

Non si costituiva e veniva dichiarato contumace C.S., Con sentenza n. 2000 dei 3.10/7.11.2014 la corte d’appello di Torino condannava S.V. e L., comproprietari della particella n. (OMISSIS), a ripristinare il muretto di delimitazione tra la medesima particella ed il cortile comune, in catasto alla particella n. (OMISSIS); regolava le spese di giudizio e di c.t.u..

Evidenziava – la corte – che alla stregua della documentazione prodotta era da escludere che la proprietà del cortile dell’ex cascina (OMISSIS) fosse stata riservata in via esclusiva ad alcuni soggetti.

Evidenziava quindi che, acclarata la comproprietà del cortile da parte di O.G. e G.D., doveva senz’altro accogliersi la domanda da costoro esperita volta al ripristino dello status quo ante; che invero l’accesso carraio, realizzato ex novo sul mappale n. (OMISSIS) da S.V. e L., era idoneo a limitare il godimento del cortile condominiale, “perchè è inevitabile l’astensione dalla sosta e dal parcheggio nella zona antistante le aperture dei garages” (così sentenza impugnata, pag. 12).

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso S.C., S.L. e S.V.; ne hanno chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione.

O.G. e G.D. hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

C.S. non ha svolto difese.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per illogicità della motivazione.

Deducono che la corte di merito ha interpretato in maniera incoerente ed affrettata i titoli di proprietà, segnatamente l’atto di acquisto di S.C.; che, contrariamente a quanto asserito dalla corte distrettuale, dai titoli di proprietà sono desumibili elementi tali che inducono a superare la presunzione di condominialità.

Deducono inoltre che non sussiste relazione di accessorietà tra il cortile e la proprietà esclusiva dei coniugi O. – G..

Il ricorso va respinto.

Lo spiegato mezzo di impugnazione dà corpo, sotto un primo aspetto, ad una “questione ermeneutica” (“si tratta di una lettura affrettata, incoerente ed errata dei documenti di proprietà”: così ricorso, pag. 12; “la formulazione usata da tutti e tre gli atti notarili in ordine al cortile (…)”: così ricorso, pag. 14).

E si traduce, sotto altro aspetto, nella sostanziale censura del giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso (“nel caso di specie non sussistono le caratteristiche funzionali e strutturali per le quali il bene ritenuto accessorio serva al godimento delle parti singole dell’edificio”: così ricorso, pag. 17). In parte qua il motivo si qualifica essenzialmente in relazione alla previsione del dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (è il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia: cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

In relazione al primo aspetto (“questione ermeneutica”) esplicano valenza, ovviamente, gli insegnamenti di questo Giudice del diritto.

Ossia l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Ossia l’insegnamento secondo cui nè la censura ex n. 3 nè la censura dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5, possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde – si soggiunge – per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; Cass. 2.5.2006, n. 10131).

In questo quadro l'”interpretazione” dell’atto di acquisto di A.A.T. in data 18.11.1969, dell’atto di acquisto di S.C. in data 24.9.1987 e dell’atto di acquisto dei coniugi O. – G. in data 10.12.1987 patrocinata dalla corte piemontese è in toto inappuntabile, giacchè non si prospetta in spregio ad alcun criterio ermeneutico legale e risulta sorretta da motivazione esaustiva e coerente.

Con riferimento, dapprima, al profilo della correttezza giuridica si rimarca che la statuizione della corte di Torino è appieno aderente all’insegnamento di questa Corte di legittimità.

Ovvero all’insegnamento per cui, se non è necessario che l’esclusione dal novero delle cose in condominio sia dichiarata espressamente, è pur sempre indispensabile, al fine di vincere la presunzione di proprietà comune stabilita dalla legge, che il “contrario” (e cioè l’attribuzione in proprietà esclusiva ad uno dei condomini) risulti in modo chiaro ed univoco; è necessario, cioè, che dal titolo emergano elementi tali da essere in contrasto con l’esercizio del diritto di condominio; e tale indagine e demandata all’incensurabile apprezzamento dei giudici del merito (cfr. Cass. 19.7.1974, n. 2180).

Con riferimento, dipoi, al profilo della congruenza logico – formale della motivazione si rimarca quanto segue.

Da un canto, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte ad acquisire significato in rapporto al (novello) dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di Torino ha ancorato il suo dictum.

Specificamente, in ordine al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte torinese ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Ovvero la corte ha chiarito che dagli atti d’acquisto non emergono elementi univoci che consentono di superare “la presunzione legale di comunione condominiale in capo a tutti i proprietari degli edifici circostanti il cortile” (così sentenza impugnata, pag. 11).

D’altro canto, la corte piemontese ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia ha debitamente vagliato la proiezione e la portata dei titoli di acquisto.

In ogni caso è innegabile che le censure dai ricorrenti addotte si risolvono nella mera prefigurazione della maggiore plausibilità dell’antitetica interpretazione (“nei due atti pubblici riguardanti i signori S. e A. (…) al tempo stesso si attesta che il cortile è comune ad essi. Nel rogito afferente ai signori O., i contraenti riconoscono soltanto che il cortile è confinante, e non si afferma anche che lo stesso sia comune agli edifici (OMISSIS)”: così memoria, pag. 5).

In relazione al secondo aspetto (censura del giudizio “di fatto”) del pari l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte d’appello di Torino, risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente coerente ed esaustivo.

Con riferimento al primo profilo (correttezza giuridica) la statuizione della corte d’appello analogamente è appieno aderente agli insegnamenti di questa Corte di legittimità.

Ovvero all’insegnamento per cui, in tema di condominio degli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art. 1117 c.c., trova applicazione anche nel caso di cortile esistente tra più edifici limitrofi ma strutturalmente autonomi appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano (cfr. Cass. 15.2.2018, n. 3739; Cass. 30.7.2004, n. 14559).

Ovvero all’insegnamento per cui, affinchè possa operare, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il cosiddetto diritto di condominio, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l’edificio in comunione nonchè un collegamento funzionale fra primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva (cfr. Cass. 21.12.2007, n. 27145; cfr. Cass. 29.12.1987, n. 9644, secondo cui nel condominio di edifici – in mancanza di una specifica contraria previsione del titolo costitutivo – la destinazione all’uso e al godimento comune, nella quale si sostanzia la presunzione legale di proprietà comune di talune parti dell’edificio in condominio, deve risultare da elementi obiettivi, e cioè dalla attitudine funzionale del bene al servizio dell’edificio, considerato nella sua unità, e al godimento collettivo, prescindendosi dal fatto che il medesimo sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini; per contro quando il bene, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, serva in modo esclusivo al godimento di una parte dell’edificio in condominio, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, viene meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini, giacchè la destinazione particolare vince la presunzione legale di comunione, alla stessa stregua di un titolo contrario).

Con riferimento al secondo profilo (congruenza logico – formale) parimenti viene in rilievo la pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

E nel segno della tale pronuncia si rimarca quanto segue.

Da un lato è da escludere qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale”.

Difatti la corte di merito ha chiarito che dalla situazione dei luoghi, quale risultante dalle fotografie e dalle planimetrie allegate, non era dato desumere il difetto del rapporto di accessorietà tra il cortile e l’edificio, che vi prospetta, di proprietà dei coniugi O. – G. (cfr. sentenza impugnata, pag. 11; la corte ha specificato, peraltro, che “un lato del fabbricato di proprietà degli O. affaccia su una parte del cortile e su tale facciata sono presenti aperture (porta e finestre)”).

Dall’altro la corte distrettuale ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa ossia ha debitamente vagliato la sussistenza della relazione di accessorietà fra il cortile e la proprietà esclusiva di coniugi O. – G..

In ogni caso il ricorrente prospetta l’asserita omessa, erronea valutazione delle risultanze di causa, in particolare della “relazione di perizia supplementare datata 4 novembre 1996” (cfr. ricorso, pagg. 14).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento degli elementi di prova non legale da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

C.S. non ha svolto difese. Nessuna statuizione in ordine alle spese va pertanto assunta nei suoi confronti.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i ricorrenti siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis del medesimo D.P.R..

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, S.C., S.L. e S.V., a rimborsare ai controricorrenti, O.G. e G.D., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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