Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3268 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3268 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LOSARDO Benedetto (LSR BDT 58S19 C588Y) e LAZZARA Minima
(LZZ MMM 71P65 H269R), rappresentati e difesi, per procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato Liborio Sabatino, elettivamente domiciliati in Roma, via Sabotino n.
46, presso lo studio dell’Avvocato Claudio Romano;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici
di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 12/02/2014

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta
n. 309 del 2012, depositato il 20 giugno 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 3 novembre 2011 presso la
Corte d’appello di Caltanissetta, Losardo Benedetto e Lazzara Minima chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’equa riparazione, ai sensi della
legge n. 89 del 2001, in relazione ai danni non patrimoniali subiti a causa della irragionevole durata di un giudizio civile, iniziato dinnanzi al Tribunale di Palermo
con citazione notificata in data 8-9 maggio 2006 e deciso
con sentenza depositata il 10 agosto 2011.
L’adita Corte d’appello, con decreto depositato il 20
giugno 2012, riteneva che il giudizio presupposto avesse
avuto una durata irragionevole di un anno e dieci mesi e
liquidava, in favore dei ricorrenti, la somma di euro
1.375,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo, facendo applicazione del parametro di
750,00 euro per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00
per ciascuno degli anni successivi.

2

Stefano Petitti.

Losardo Benedetto e Lazzara Mimma hanno proposto ricorso per la cassazione di questo decreto affidato ad un
unico motivo, illustrato da memoria.
L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

1. Il Collegio rileva preliminarmente che non è di
ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza,
alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, cod. proc. civ.,
quale risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 75
del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede
che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause
davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla
legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n.
12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge
n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero
presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in
tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi
alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di
cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile». L’art. 376, primo comma, cod.

MOTIVI DELLA DECISIONE

proc. civ. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374,
assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consi-

Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69
del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n.
98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e
la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e
390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della
partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio
sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento
contenuto sia nell’art. 76, comma primo, lett. b), del
r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto-legge n. 69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2,

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glio».

citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ.), consenta di ritenere non solo che la detta
sezione è abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali

tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione
dell’udienza odierna è stato emesso in data 25 settembre
2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica ben
può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del
ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse
pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai
sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ.
2. Nel merito, con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2 della legge n. 89
del 2001, dolendosi del fatto che, pur essendo essi stati
parti del giudizio presupposto e pur avendo richiesto
l’indennizzo loro spettante per ciascuno di essi, la Corte
d’appello abbia invece adottato una decisione che non con-

anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si

sente di ritenere che la liquidazione di euro 1.375,00 euro possa valere per ciascuno dei ricorrenti, esistendo invece nel decreto impugnato indizi nel senso che la Corte
d’appello abbia considerato in modo unitario la posizione

3. Il ricorso è fondato, atteso che, indiscusso il diritto di ciascun soggetto che sia stato parte di un giudizio irragionevolmente protrattosi, di ottenere il riconoscimento dell’equo indennizzo per la detta violazione, il
decreto impugnato, liquidando la somma di euro 1.375,00 in
favore dei ricorrenti, limita a tale somma l’indennizzo
dovuto, laddove lo stesso indennizzo di 1.375,00 euro avrebbe dovuto essere riconosciuto a ciascuno dei ricorrenti, per il solo fatto che entrambi erano stati parte del
giudizio presupposto.
Il ricorso deve quindi essere accolto in relazione alla censura proposta.
Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti
di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi
dell’art. 384 cod. proc. civ.
Invero, ritenuto spettante a ciascuno dei ricorrenti
l’indennizzo di euro 1.375,00, oltre interessi legali dalla data della domanda, il Ministero della giustizia deve
essere condannato al pagamento della detta somma in favore
di ciascuno dei ricorrenti.

di essi ricorrenti nel giudizio presupposto.

Il Ministero della giustizia deve essere condannato
altresì al pagamento delle spese del giudizio di merito e
di quello di legittimità, nella misura indicata in dispositivo.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della
giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di euro 1.375,00 oltre agli interessi
legali dalla data della domanda al saldo; condanna altresì
il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del
giudizio di merito, che liquida in complessivi euro
873,00, di cui euro 50,00 per esborsi, euro 445,00 per diritti ed euro 378,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, e di quelle del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 506,25 per compensi, oltre ad euro 100,00 per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il
9 gennaio 2014.

PER QUESTI MOTIVI

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