Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3268 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. II, 11/02/2020, (ud. 22/05/2019, dep. 11/02/2020), n.3268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20654-2017 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PASQUALE

LEONARDI CATTOLICA, 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

FERRARA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MASSIMO FERRARO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

08/02/2017 (RG 59095/11);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

PREMESSO

CHE:

Con ricorso del 19 febbraio 2008 F.C. proponeva ricorso alla Corte d’appello di Napoli per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento dell’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 per l’irragionevole durata del giudizio amministrativo, istaurato il 9 luglio 1980 innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania. La Corte d’appello di Napoli, con decreto pubblicato il 13 giugno 2008, accoglieva il ricorso e condannava il Ministero al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 11.921.

Con successivo ricorso, depositato il 20 febbraio 2011, F.C. adiva la Corte d’appello di Roma, dolendosi dell’ulteriore ritardo del processo amministrativo, protrattosi per ulteriori tre anni e cinque mesi (dalla proposizione del primo ricorso ex L. n. 89 del 2001 sino al deposito della sentenza del TAR Campania del 15 settembre 2011, che ha respinto la domanda del ricorrente).

La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato l’8 febbraio 2017, rigettava il ricorso in quanto improponibile, non avendo il ricorrente depositato istanza di prelievo.

Contro il decreto ricorre in cassazione F.C..

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo di dichiarare inammissibile o comunque di rigettare il ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso è articolato in un unico motivo, nel quale il ricorrente lamenta violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione al D.L. n. 112 del 2008, art. 54 nel testo novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, e al R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2 nonchè della L. n. 848 del 1995, che ha ratificato la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nonchè degli artt. 24 e 111 della Cost., invocando “espressamente il recente monito della Corte Europea dei diritti dell’uomo di cui alla sentenza del 22 febbraio 2016, nel caso Olivieri e altri c. Italia, divenuta definitiva il 4 luglio 2016”: il giudice d’appello, nel dichiarare improcedibile il ricorso, ha omesso di considerare che nel giudizio presupposto era comunque stata richiesta la sollecita decisione del ricorso. Il ricorrente prospetta poi, al termine del motivo, la questione di legittimità costituzionale del richiamato D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 in relazione agli artt. 24,111 e 117 Cost.

Il ricorso è fondato.

Deve, infatti, prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Il giudice delle leggi, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi irragionevole, sono ammissibili ove siano “effettivi”, ossia nella misura in cui velocizzano la decisione del giudice (cfr., in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, la Corte Europea aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del menzionato art. 54, che avesse avuto come effetto quello di rendere inammissibile il ricorso per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Il giudice delle leggi, ancora, ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte Europea ha affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità dell’art. 54 e, esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, ha conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “Legge Pinto” con la disposizione stessa, non può essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della convenzione Europea, soprattutto perchè il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.

La Corte costituzionale ha quindi ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario, ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2 codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;

2. La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordina la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo, in quanto viola l’art. 117 Cost., comma 1 in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, impone la cassazione del decreto impugnato, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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