Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32677 del 18/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2018, (ud. 20/03/2018, dep. 18/12/2018), n.32677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18233-2017 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 19,

presso lo studio dell’avvocato PAMPHILI LUIGI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LAMORTE GIUDITTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 16/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 13/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/03/2018 dal Presidente Relatore Dott. CAMPANILE

PIETRO.

Fatto

RILEVATO

che:

S.O. propone ricorso, affidato a sei motivi, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di appello di Potenza ha confermato la decisione di primo grado di rigetto delle domande dallo state avanzate in relazione al riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè alla protezione sussidiaria ed umanitaria; la parte intimata non svolge attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il Collegio ha disposto, in conformità al decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata;

il primo motivo, con il quale si denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, relativo alla circostanza inerente alle aggressioni subire da partenti a causa della conversione al cristianesimo, non coglie la portata complessiva della motivazione resa dalla Corte distrettuale, che, nella parte in cui afferma che “nessuna notizia di rilievo è stata infine acquisita in ordine alla possibilità che il richiedente possa essere esposto a pericolo di persecuzione, per motivi attinenti al suo credo religioso, da parte di gruppi musulmani radicali..”, evidentemente si riferisce, indipendentemente al rapporto di parentela con i soggetti da cui proverrebbero le minacce, a qualsiasi forma di persecuzione per ragioni religiose, radicalmente esclusa;

deve essere pertanto escluso che le specifiche circostanze allegate dal ricorrente non siano state valutate, dovendosi peraltro considerare che la deduzione in esame confligge anche con l’esplicita affermazione, da parte del giudice del merito, circa l’impossibilità di “reperire alcuna informazione che comprovi il pericolo, per colui che si sia convertito dall’Islam al Cristianesimo, di essere esposto a minaccia grave da parte di singoli o gruppi religiosi integralisti;

l’esclusione di qualsiasi minaccia, anche sulla base dei dati desunti dal 2015 Country Reports on Human Rights Practices del Dipartimento di Stato degli U.S.A., esclude l’ammissibilità dei rimanenti motivi di ricorso, che evidentemente non si confrontano, anche laddove denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c., con il sostanziale portato della pronuncia in esame, che ha espressamente escluso, all’esito di un approfondito esame, anche in relazione al sistema giudiziario, della situazione del Senegal (come, del resto, emerge dalla recente Cass., 7 febbraio 2018, n. 2999), la ricorrenza dei presupposti anche per quanto attiene alla protezione sussidiaria ed umanitaria;

non si provvede in merito alle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva, essendo escluso il raddoppio del contributo in considerazione dall’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018

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