Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32673 del 18/12/2018
Cassazione civile sez. VI, 18/12/2018, (ud. 20/03/2018, dep. 18/12/2018), n.32673
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29581-2016 proposto da:
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE
MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI LUCATTONI,
rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA FABI;
– ricorrente –
contro
G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BUCCARIA 16,
presso lo studio dell’avvocato LORIANA LONGO, che la rappresenta e
difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6244/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 21/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/03/2018 dal Presidente Relatore Dott. PIETRO
CAMPANILE.
Fatto
RILEVATO
che:
con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma, accogliendo il gravame, proposto, nel giudizio di separazione personale, da G.A. nei confronti di M.G., in riforma della decisione di primo grado ha elevato l’assegno di mantenimento in favore della moglie, in considerazione dell’alto tenore di vita tenuto durante la convivenza matrimoniale e dei redditi elevati del marito, notaio in Roma e in Genzano, da Euro 1.200 ad Euro 3.200,00, tenendo anche conto del mutuo di Euro 1.000,00 gravante sull’appellante;
rilevate, altresì, le accresciute esigenze del figlio P., nato nell’anno 2002, il contributo per il suo mantenimento è stato elevato da Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00;
per la cassazione di tale decisione il M. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui l’intimata resiste con controricorso; le parti hanno depositato memorie.
Diritto
CONSIDERATO
che:
il Collegio ha disposto, in conformità al decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata;
il primo motivo, con il quale si deduce la violazione degli artt. 156 e 2697 c.c., è inammissibile, in quanto, attraverso la denuncia di errores in iudicando, si propone in sostanza una diversa e più favorevole lettura delle emergenze probatorie, il cui vaglio è riservato al giudice del merito, che, secondo un orientamento consolidato, non essendo vincolato da una rigida gerarchia dei mezzi di prova, è pienamente libero di scegliere, fra i molteplici elementi sottoposti al suo vaglio, quelli che reputi più attendibili ed efficaci ai fini della formazione del proprio convincimento, scartando quelli giudicati meno concludenti e sicuri (Cass., 10 giugno 2013, n. 14540; Cass., 20 settembre 2011, n. 14462), fornendo al riguardo, adeguata motivazione, nella specie neppure censurata; del pari inammissibile è la seconda censura, con la quale, denunciando violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., si contesta la ricostruzione della posizione reddituale del ricorrente, “notaio in (OMISSIS)”, così riproponendosi una critica alla valutazione di merito insindacabile in questa sede, senza per altro che sia possibile incidere, avuto riguardo ai limiti imposti dalla formulazione, applicabile nella specie, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla motivazione resa al riguardo dalla corte distrettuale, e senza che sia attinta la fondamentale ragione della decisione, fondata sul notevole divario delle posizioni reddituali delle parti, evidenziata dai cospicui introiti del ricorrente (il quale nell’2015 aveva percepito compensi pari ad Euro 672.000,00) e dal reddito mensile della moglie, pari a circa Euro 1.200/1.300, di cui 1.000 destinati al pagamento di un mutuo); analoghe considerazioni vanno svolte in merito al terzo mezzo, inerente alla determinazione del contributo per il mantenimento del figlio, dovendosi rilevare come le generiche censure proposte non colgono neppure la ratio fondata sulla necessità di tener conto delle potenzialità reddltuali dei genitori e sulle accresciute esigenze del giovane in relazione all’età, a tacere dell’infondatezza dei rilievi circa il tenore di vita familiare, derivante dall’inammissibilità dei primi due motivi;
le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018