Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32672 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. I, 12/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24000/2018 proposto da:

A.C.E., elettivamente domiciliato in Lecce, Via

Garibaldi 3, presso lo studio dell’avv. Francesco Maria De Giorgi

che lo rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura dello Stato che

lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE n. 1566 depositato il

2/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. A.C.E., n. a (OMISSIS), propone un articolato motivo di ricorso per la cassazione del decreto n. 1566/18 del 2.7.18, con il quale il Tribunale di Lecce – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha respinto il ricorso da lui proposto avverso la decisione della competente Commissione Territoriale, di rigetto della sua istanza di protezione internazionale: status di rifugiato o, in subordine, protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che:

– sentito dalla commissione, il ricorrente aveva dichiarato di appartenere al gruppo etnico (OMISSIS) di religione cristiana, di avere frequentato per dieci anni la scuola, di essere vedovo ed avere dei figli; egli aveva lasciato il suo paese nel novembre 2009 perchè presso un suo terreno due suoi operai, intenti nell’attività illegale di estrazione dell’oro, erano morti cadendo in una buca; egli temeva pertanto di finire in carcere per la morte dei due operai impiegati in un’attività illegale; era infatti stato denunciato dal suocero nonchè padre di una delle due vittime; successivamente al fatto aveva vissuto in Libia per alcuni anni, quindi era tornato in Ghana per poi scoprire che era stato di nuovo denunciato, così da ritornare in Libia e quindi in Italia;

– infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (art. 10 Cost.; L. n. 722 del 1954, di ratifica della Conv. Ginevra 28.7.51; Dir. CE 2004/83; D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che i fatti narrati dal richiedente (probatoriamente valutati secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 cit., art. 3, comma 1 e 2) non concernevano persecuzione per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale e quindi, quand’anche in ipotesi veritieri, non integravano gli estremi dello status richiesto;

– neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e 2), dal momento che da varie risultanze (rapporto Amnesty International; monitoraggio da parte del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite) emergeva che effettivamente sussistevano in Ghana violazioni dei diritti umani, e tuttavia non era in quello Stato ravvisabile una situazione di conflitto armato cui astrattamente riconnettere l’ipotesi di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c); inoltre, le dichiarazioni del richiedente apparivano intrinsecamente inattendibili e non integranti il “danno grave” in caso di rimpatrio; l’intero racconto era infatti confuso, contraddittorio e non sorretto da un filo logico; da un lato, non si comprendeva come potesse non esserci stato, a seguito della morte dei due lavoratori, alcuno sviluppo penale, nè come la denuncia potesse essere stata presentata solo numerosi anni dopo l’evento; inoltre, la stessa causa della morte era contraddittoria, essendo stata ora individuata nella caduta in una buca profonda, ed ora in una esplosione; neppure, il ricorrente aveva spiegato come mai l’evento si fosse verificato di domenica pomeriggio, nonostante che egli avesse detto che l’estrazione dell’oro, in quanto illegale, poteva avvenire solo di notte;

– quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), nel caso di specie non erano state dedotte condizioni di vulnerabilità soggettiva con riferimento alla natura personale della vicenda narrata, nè era stata dedotta l’adozione di un alcun percorso di integrazione in Italia da porsi in rapporto con le condizioni di inserimento sociale e familiare del prevenuto nel suo paese di origine.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Il ricorrente ha tardivamente depositato memoria.

p. 2.1 Con l’unico articolato motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni:

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5: per avere il tribunale ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente, nonostante che questi, in conformità al regime normativo speciale, avesse compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, nè queste dichiarazioni potevano essere considerate inattendibili solo perchè prive di sostegno documentale;

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e art. 4: per avere il tribunale reso una valutazione superficiale sia della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, la cui zona d’origine era caratterizzata da grave pericolosità per la costante violazione dei diritti umani e dei diritti processuali degli imputati e dei detenuti; nè le dichiarazioni raccolte potevano ritenersi inattendibili sulla base di lievi imprecisioni e della possibilità che il richiedente non avesse, in effetti, conoscenza aggiornata dello sviluppo penale della denuncia contro di lui proposta, anche considerato il tempo trascorso dai fatti;

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, per avere il tribunale apoditticamente negato che il richiedente rientrasse nel novero delle persone “che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” (art. cit.), non avendo considerato la concreta situazione del richiedente;

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e lett. h), per avere il tribunale escluso i presupposti della protezione internazionale sussidiaria ovvero per il rilascio di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, nonostante che in Ghana fossero assodate, ad opera delle autorità, costanti violazioni dei diritti umani e trattamenti degradanti delle persone, tali da porle in serio pericolo di vita;

– art. 3 Cost., in relazione al D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 4 (“Il decreto emesso a norma del presente comma non è impugnabile”), stante la violazione del principio di uguaglianza derivante dalla esclusione, per la sola categoria dei richiedenti protezione internazionale, di un doppio grado di giudizio sul merito della domanda.

p. 2.2 Il motivo è infondato in tutti i profili nei quali si articola.

Una volta escluso il rischio Paese nella zona di riferimento nonchè la fondatezza e verosimiglianza del racconto del richiedente, la decisione del tribunale si pone in linea, e non in contrasto, con la legge (assenza, in fatto, dei presupposti legali della protezione internazionale).

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (comprensivo della ravvisata insussistenza di concrete conseguenze penali del fatto narrato), così come l’apprezzamento del ricorso, in concreto e sulla base delle indicate fonti informative, di una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale (Cass. n. 3340/19; 32064/18; 30105/18).

Il Tribunale si è soffermato, evidenziandoli, sugli aspetti (su riportati) che rendevano intrinsecamente non credibile la vicenda narrata dal richiedente, ed il motivo di ricorso – ancorchè formalmente incentrato sulla violazione normativa ex art. 360 c.p.c., n. 3 – sottende in realtà una rivisitazione fattuale del caso ed una contrapposta valutazione di credibilità; il che è certamente qui inammissibile.

Argomentata e conforme alla legge appare anche la statuizione sulla protezione umanitaria, in quanto ancorata alla considerazione dei mancati elementi di radicamento sul territorio nazionale in rapporto alle condizioni di inserimento sociale e familiare nel paese d’origine.

Quanto, da ultimo, alla questione di I.c. sul rito, si tratta di questione manifestamente infondata, così come più volte già ritenuto da questa corte: Cass. n. Sez. 1 -, Ordinanza n. 27700 del 30/10/2018 (così Cass.n. ord. 28119/18): “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione”.

Il ricorso va dunque respinto, con regolamento delle spese secondo soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito;

v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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