Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32670 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. I, 12/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23974/2018 proposto da:

O.P., elettivamente domiciliato in Lecce, Via Garibaldi

3, presso lo studio dell’avv. Francesco Maria De Giorgi che lo

rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura dello Stato che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE n. 1462 depositato il

15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere STALLA GIACOMO MARIA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

p. 1. O.P., n. ad (OMISSIS) propone un articolato motivo di ricorso per la cassazione del Decreto n. 1462 del 2018 del 21.6.18, con il quale il Tribunale di Lecce – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha respinto il ricorso da lui proposto avverso la decisione della competente Commissione Territoriale di rigetto della sua istanza di protezione internazionale: status di rifugiato o, in subordine, protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che:

– sentito dalla commissione, il ricorrente aveva dichiarato di appartenere al gruppo etnico Esan, di essere di religione cristiana e di avere un medio livello di istruzione, di non essere sposato e di non avere figli, di aver lasciato il suo paese il 20 ottobre 2015 e di essere arrivato in Italia il 20 luglio 2016; egli aveva lasciato la Nigeria per il timore di essere arrestato per il reato di omosessualità, poichè nel periodo in cui aveva frequentato il college aveva avuto un rapporto omosessuale con compagni di stanza; gli insegnanti della scuola avevano scoperto la circostanza ed avevano chiamato la polizia; egli era fuggito ma temeva che, in caso di rimpatrio, venisse perseguito per i fatti in questione;

– infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (Cost. art. 10; 1.722/54 di ratifica della Conv. Ginevra 28.7.51; Dir. CE 2004/83; D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che i fatti narrati dal richiedente (ancorchè probatoriamente valutati con il minor rigore e secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 cit., art. 3, comma 1 e 2, e pur astrattamente integranti un’ipotesi di riconoscimento dello status richiesto) non potevano tuttavia per più ragioni (sotto indicate) ritenersi credibili;

– neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (art. 14, lett. c) D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che da varie risultanze (sito ministeriale “Viaggiare Sicuri”; rapporto annuale Amnesty International; World Report 2017 Human Rights Watch) emergeva che effettivamente sussistessero situazioni di violenza non debitamente controllate dall’autorità governativa, ma ciò pur sempre limitatamente a determinate aree, mentre nel sud della Nigeria non si riscontravano conflittualità tali da giustificare la concessione della misura; nell’Edo State, in particolare, non sussisteva alcuna situazione di conflitto armato in corso o di generale insicurezza, come anche risultante dalla rilevazione statistica degli “incidents” negli anni 2015 e 2016 in rapporto a quelli registrati in altri Stati interni; inoltre, le dichiarazioni dell’istante sulle modalità di scoperta ed esternazione della sua omosessualità erano intrinsecamente inattendibili posto che: non era credibile che il richiedente fosse venuto a conoscenza dell’omosessualità dei compagni solo dopo tre anni di convivenza giornaliera; suscitava perplessità che il ricorrente avesse confessato di avere avuto un rapporto omosessuale al direttore della scuola, atteso che l’asserito video realizzato da un’insegnante di notte al buio (…) non lo vedeva come protagonista ma riguardava solo gli altri due ragazzi che, di contro, erano rimasti in silenzio; il ricorrente aveva dichiarato di temere di essere arrestato, ma non era stato in grado di riferire di alcuna denuncia a suo carico e, inoltre, pur consapevole delle conseguenze cui poteva andare incontro, era rimasto per oltre due mesi nel proprio paese dopo l’accaduto; non trovavano riscontro i dettagli sul college (in realtà, scuola secondaria) da lui forniti (a partire dall’indirizzo), come ricostruibili dal sito Internet dell’Istituto;

– quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), premesso che a tal fine occorreva la presenza di diversi elementi di protezione e non di uno soltanto (quali la situazione del paese di origine, le condizioni di salute del richiedente), nel caso di specie non erano state dedotte condizioni di vulnerabilità soggettiva con riferimento alla natura personale della vicenda narrata; nè era stata dedotta (tranne che per la riferita frequentazione di un corso di laboratorio d’arte, di per sè non significativa) l’adozione di un percorso di integrazione in Italia da porsi in rapporto con le condizioni di inserimento sociale e familiare del prevenuto nel suo paese di origine.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

p. 2.1 Con l’unico articolato motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni:

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5: per avere il tribunale ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente, nonostante che questi, in conformità al regime normativo speciale, avesse compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, nè queste dichiarazioni potevano essere considerate inattendibili solo perchè prive di sostegno documentale; ad ogni buon conto, veniva allegato al ricorso un estratto del registro di polizia dell’Edo State attestante la veridicità di quanto dichiarato dal ricorrente avanti alla Commissione;

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e art. 4: per avere il tribunale reso una valutazione superficiale sia della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (la cui omosessualità e fede cristiana lo esponevano a persecuzione in quanto tale, ed indipendentemente dalla veridicità del racconto), sia della situazione specifica dell’Edo State, fatto oggetto di violenze e tensioni tra gruppi ribelli per il controllo del territorio, diffusione di riti sacrificatori della vita umana (Woodoo e Ju 3u), violenze non controllabili dalle forze dell’ordine, caratterizzate peraltro da altissimo livello di corruzione;

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. a) per non avere il tribunale considerato che il ricorrente aveva subito gravissime forme di violenza e che vi erano tutti i presupposti, in quanto cattolico ed omosessuale, della sua persecuzione in caso di rientro;

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, per avere il tribunale apoditticamente negato che il richiedente rientrasse nel novero delle persone “che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” (art. cit.), nonostante che il medesimo avesse “subito indubbiamente gravissime forme di violenza psicologica e fisica tali da metterne a repentaglio la vita”;

– D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e lett. h), per avere il tribunale escluso i presupposti della protezione internazionale sussidiaria ovvero per il rilascio di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, nonostante che nel paese di origine fossero assodate azioni contro la minoranza cristiana e contro gli omosessuali; in caso di rientro, il ricorrente sarebbe stato dunque esposto a continue vessazioni e lesione dei diritti umani;

– art. 3 Cost. in relazione al D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e art. 35 bis;

– D.Lgs. n. 25 del 2008, comma 4 (“Il decreto emesso a norma del presente comma non è impugnabile”), stante la violazione del principio di uguaglianza derivante dalla esclusione, per la sola categoria dei richiedenti protezione internazionale, di un doppio grado di giudizio sul merito della domanda.

p. 2.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Va premesso che, per costante indirizzo: “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (tra le molte, Cass. n. ord. 3340/19).

E tuttavia, il limite al sindacato di legittimità non ha ragione di operare allorquando il ragionamento del giudice di merito appaia radicalmente viziato ed inidoneo a sorreggere la decisione, in quanto caratterizzato dall’omesso esame di un fatto decisivo, secondo quanto stabilito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (così come costantemente interpretato da questa corte di legittimità, a partire dal noto arresto di SSUU 8053/14).

Quest’ultima osservazione appare qui calzante perchè l’articolato motivo di ricorso in esame, ancorchè formalmente rubricato con esclusivo riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione e falsa applicazione di legge), deduce in realtà, nella sua parte argomentativa, proprio l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla omosessualità del richiedente.

Ebbene, così doverosamente riqualificata secondo parametri sostanziali e non puramente nominali, la doglianza merita accoglimento.

Il vizio in questione è infatti reso evidente dal ragionamento esposto dal giudice di merito, il quale ha negato la protezione ritenendo inattendibile, per una serie di ravvisate divergenze su dettagli reputati fondamentali, il racconto fornito dal richiedente circa le modalità della scoperta, da parte della direzione scolastica e dell’autorità di polizia, della sua omosessualità, senza tuttavia con ciò negare l’omosessualità in sè; vale a dire, il fatto originario ed autonomo – rispetto alla narrazione delle modalità della sua esternazione – che il giudice di merito non ha colto, tralasciandolo anzi del tutto, nella sua valenza di causa.

Eppure si trattava di un fatto la cui incisività decisionale non poteva essere posta in dubbio, tanto più che nemmeno il giudice di merito ha negato che tale condizione, una volta accertata, potesse sottoporre il richiedente a procedimento penale nello Stato di appartenenza, oltre che a tutta una serie di gravi pregiudizi e discriminazioni personali per loro natura integranti quantomeno uno stato di vulnerabilità soggettiva.

Si è sul punto affermato (tra le altre, Cass. n. ord. 26969/18) che: “In tema di protezione internazionale del cittadino straniero, la dichiarazione del richiedente di avere intrattenuto una relazione omosessuale, ove la valutazione circa la credibilità del dichiarante, secondo i parametri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, si sia fondata esclusivamente sull’omessa conoscenza delle conseguenze penali del comportamento, impone al giudice del merito la verifica, anche officiosa, delle conseguenze che la scoperta di una tale relazione determina secondo la legislazione del Paese di provenienza dello straniero, perchè qualora un ordinamento giuridico punisca l’omosessualità come un reato, questo costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo”.

Inoltre: “In tema di protezione internazionale, posto che l’autorità amministrativa e il giudice di merito svolgono un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria, ove il richiedente adduca il rischio di persecuzione, al fine di ottenere lo “status” di rifugiato, o il danno grave, ai fini della protezione sussidiaria, il giudice non deve valutare nel merito la sussistenza o meno del fatto, ossia la fondatezza dell’accusa, ma deve invece accertare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, e art. 14, lett. c), se tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo Paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero. (Fattispecie relativa a cittadino del Gambia accusato di omosessualità, punita da quell’ordinamento con pene gravissime quali tortura, ergastolo, decapitazione)”.

In accoglimento del ricorso, si impone pertanto la cassazione del decreto impugnato con rinvio al tribunale di Lecce il quale, in diversa composizione, riconsidererà la fattispecie prendendo in esame il fatto decisivo costituito non dalle riferite modalità di scoperta ed esternazione in ambito scolastico della omosessualità del richiedente, bensì dalla sussistenza in sè di tale condizione quale presupposto (per le indicate ragioni di repressione e discriminazione nel Paese di provenienza) di protezione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Lecce in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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