Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32660 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. I, 12/12/2019, (ud. 11/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14303/2018 proposto da:

B.S., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Andrea

Maestri giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI BOLOGNA n. 693/2018, depositato

il 4.4.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

B.S. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione del decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Bologna aveva respinto il ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Ghana) dovuti ai suo vissuto personale, narrando di aver lasciato il proprio Paese a causa di contrasti per la proprietà del terreno che coltivava e per aver distrutto dei macchinari, di proprietà del Governo, lasciati sul suo terreno, a seguito di un esproprio, motivo per il quale era fuggito transitando dapprima per il Burkina Faso, il Niger e la Libia per poi giungere in Italia;

il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo di ricorso il ricorrente, dopo aver premesso di aver fatto acquiescenza al diniego della richiesta dello status di rifugiato, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2 e 3, D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 12, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, lamentando che il Tribunale avesse erroneamente respinto la richiesta di protezione sussidiaria ritenendo insussistente una situazione di violenza generalizzata nella regione di provenienza dello stesso;

1.2. con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1 e art. 33 Convenzione di Ginevra, per avere il Tribunale escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione della richiesta protezione sussidiaria senza accertare la situazione generale del Paese di transito (Libia);

1.3. le censure, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

1.4. in materia di protezione internazionale questa Corte di legittimità si è da tempo espressa nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al Giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c);

1.5. l’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340/2019);

1.6. poste tali premesse, la valutazione sul punto svolta dai Giudici di merito si sottrae a sindacato di questa Corte di legittimità, avendo il Tribunale, con ampia motivazione, ritenuto non credibile la narrativa del richiedente in quanto inverosimile e contraddittoria;

1.7. il ricorrente, a fronte dell’indicata motivazione reitera, inammissibilmente dinanzi a questa Corte di legittimità i contenuti di quel racconto senza nulla aggiungere in termini di concludente critica;

1.8. la censura, svolta con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e segg., con riferimento alla credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente protezione, è inoltre inammissibile anche considerando che il ricorrente ha dedotto in modo del tutto generico la violazione delle norme di legge sopra indicate, attraverso il richiamo delle disposizioni asseritamente disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal Tribunale, sebbene questa Corte abbia più volte affermato il principio, secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360 c.p.c., comma, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. 24155/2017; 195/2016; 26110/2015) ed “il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (cfr. Cass. n. 7394/2010);

1.9. in relazione, poi, alla censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza deve rilevarsi che il Tribunale ha esaminato anche la situazione del Ghana, come evincibile da report ufficiali aggiornati, puntualmente citati in motivazione (report Freedom House, Dipartimento di Stato USA, Amnesty International report 2016/2017), ed ha escluso l’esistenza di condizioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rilevando che la zona di provenienza del richiedente era immune da situazioni di violenza indiscriminata;

1.10. da ogni punto di vista quindi l’indagine che il caso richiedeva è stata fatta e la sottostante valutazione attiene al merito;

1.11. quanto all’asserzione secondo cui il Tribunale di Bologna si sarebbe limitato a generiche affermazioni circa l’assenza di rischi in caso di rientro coatto del richiedente nel suo paese, non tenendo conto delle diverse risultanze emerse dalla documentazione costituita da giurisprudenza di merito (peraltro non contestualizzata) e da altre fonti internazionali (report Amnesty International 2018, di cui non è indicata la data di pubblicazione, se successiva o anteriore rispetto alla decisione del ricorso) è sufficiente osservare che la censura attiene al fatto, ed è come tale paradigmaticamente inammissibile, giacchè, come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al Giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal Giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. nn. 24679/2013, 27197/2011, 7921/2011, 20455/2006, 7846/2006, 18134/2006, 2357/2004);

1.12. il ricorrente inoltre non ha in alcun indicato che tali affermazioni trovassero corrispondenza in specifiche allegazioni e produzioni documentali innanzi ai Giudici di merito, tali da condurre ad una diversa decisione della lite circa la sussistenza di una situazione implicante la protezione internazionale in rapporto a conflitti armati in corso nel paese di origine;

1.13. quanto alle censure circa il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria nonostante il ricorrente provenisse dalla Libia, paese in cui si era trattenuto alcuni mesi, provenendo dal Ghana, prima di raggiungere l’Italia, la circostanza che il richiedente sia stato costretto a fuggire dalla Libia, Paese di transito, non integra, di per sè, gli estremi dei seri motivi di carattere umanitario di cui all’art. 5, comma 6, T.U. Imm., i quali devono invece trovare radice in gravi violazioni dei diritti umani, cui il richiedente sarebbe esposto nell’ipotesi alternativa all’accoglimento della domanda di protezione, costituita dal rimpatrio, ossia dal rientro nel paese di origine (e non in un paese di transito) (cfr. Cass. n. 12357/2018 in motiv.);

1.14. riguardo al riferimento – sottolineato dal ricorrente – sull’acquisizione di informazioni circa la situazione generale anche, “ove occorra, dei paesi in cui” i richiedenti “sono transitati”, che figura nel D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, va osservato, infatti, che esso non attiene alla definizione delle fattispecie di protezione, bensì alla completezza del quadro fattuale di riferimento della decisione, e che il testo di tale disposizione riproduce quello dell’art. 10, par. 3, lett. b), della direttiva 2013/32/UE, per la quale un Paese di transito può eventualmente venire in rilievo, ad esempio, quale paese terzo sicuro ai sensi dell’art. 39 cit. (cfr. Cass. n. 12357/2018 cit.);

2.1. con il terzo motivo di ricorso si lamenta, con riguardo alla protezione internazionale umanitaria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo per essere la motivazione impugnata in relazione alla domanda di protezione internazionale fondata solo sul diniego delle altre due richieste di protezione internazionale, senza alcuna considerazione delle diverse condizioni poste a base del peculiare titolo di soggiorno temporaneo;

2.2. la censura risulta inammissibile per genericità, il che rende irrilevante la rimessione al Primo Presidente di questa Corte per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, affidata all’ordinanza interlocutoria n. 11749 del 12 aprile 2010, depositata in data 3 maggio 2019, della questione relativa all’incidenza dell’integrazione socio-lavorativa dello straniero nel territorio dello Stato ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, osservando la Corte sul punto come la parte ricorrente, dopo aver allegato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, non abbia dedotto, se non genericamente, quali fossero i fatti il cui omesso esame nel dibattito processuale avrebbe determinato il vizio denunciato;

3. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va dichiarato inammissibile;

4. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

5. deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 5, comma 6 e art. 19, statuizione che la Corte è tenuta ad emettere in base al solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia (di inammissibilità, improcedibilità o rigetto del ricorso, principale o incidentale), senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte, come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. n. 9660/2019; SU n. 23535/2019 in motiv.).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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