Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3265 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3265 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MONACHINO Daniele (MNC DNL 80A30 A089U) e MONACHINO Luigi
(MNC LGU 75A02 A089K), in proprio e nella qualità di

so c i

della I.P.E. s.r.1., rappresentati e difesi, per procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato Alberto Cutaia, domiciliati in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema di cassazione;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

Data pubblicazione: 12/02/2014

- resistente avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta
n. 477 del 2012, depositato il 16 luglio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Andrea Sgueglia con delega.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 11 novembre 2011 presso
la Corte d’appello di Caltanissetta, Montchino Daniele e
Mentchino Luigi chiedevano la condanna del Ministero della
giustizia al pagamento del danno non patrimoniale derivato
dalla irragionevole durata di un giudizio civile nel quale
essi erano stati convenuti con citazione notificata il 24
novembre 2004 e nel quale era stata pronunciata sentenza
non definitiva depositata il 6 luglio 2010.
L’adita Corte d’appello riteneva che il giudizio presupposto, nel corso del quale non era stata compiuta alcuna attività istruttoria e di normale complessità, avesse
avuto una durata irragionevole di due anni e nove mesi,
detraendo dalla durata complessiva due periodi attribuiti
al comportamento delle parti, che aveva reso necessario il
rinvio di due udienze per provvedere alla rinnovazione
della notifica dell’atto di citazione.

udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.

Per la durata irragionevole accertata la Corte distrettuale liquidava un indennizzo di euro 2.062,50, applicando il criterio di 750,00 per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 euro per gli anni successivi, e com-

Per la cassazione di questo decreto Men*chino Daniele
e MonAchino Luigi, in proprio e nella qualità di soci della I.P.E. s.r.1., hanno proposto ricorso affidato a tre
motivi.
L’intimato Ministero non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della
partecipazione all’udienza di discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Il Collegio rileva preliminarmente che non è di

ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza,
alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, cod. proc. civ.,
quale risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 75
del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede
che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause
davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla
legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n.
12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge

pensava per due terzi le spese del procedimento.

n.69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero
presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in
tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi
alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinan-

cezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di
cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile». L’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374,
assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69
del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n.
98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e
la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e
390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della
partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissa-

zi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad ec-

zione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio
sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

contenuto sia nell’art. 76, comma primo, lett. b), del
r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto-legge n. 69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ.), consenta di ritenere non solo che la detta
sezione è abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali
anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si
tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione
dell’udienza odierna è stato emesso in data 25 settembre
2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica ben
può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del
ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse

Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento

pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai
sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ.
2. Nel merito, con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano contrasto tra la motivazione e il dispo-

spositivo il Ministero è stato condannato al risarcimento
del danno morale patito “dal ricorrente”, mentre dalla motivazione del medesimo provvedimento si riferisce chiaramente ai ricorrenti.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono il vizio
di omessa e/o insufficiente motivazione in ordine alla determinazione del periodo di durata irragionevole del giudizio presupposto, dolendosi, in particolare, del fatto
che la Corte abbia individuato come

dies a quo di quel

giudizio la data della prima udienza e non la data di notificazione dell’atto di citazione; che abbia detratto un
anno per i rinvii resisi necessari per la rinnovazione
della notificazione della citazione, atteso che essi, nel
giudizio presupposto, erano convenuti; che in sostanza non
abbia determinato la durata complessiva del giudizio presupposto in sette anni e quella irragionevole in quattro
anni.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione
degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e omessa e/o insuffi-

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sitivo dell’impugnato provvedimento, rilevando che nel di-

ciente motivazione quanto alla disposta compensazione delle spese processuali.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato, atteso che
effettivamente la statuizione di condanna risulta pronun-

laddove la domanda era stata proposta da entrambi i ricorrenti, parti del giudizio presupposto.
3.1. Il secondo motivo di ricorso è fondato in tutti i
profili nei quali si articola, atteso che, ai fini della
determinazione della durata del giudizio presupposto deve
aversi riguardo, per i giudizi che iniziano con citazione,
alla data di notificazione dell’atto di citazione e che
immotivatamente la Corte d’appello ha addebitato al comportamento dei ricorrenti il tempo necessario alla rinnovazione della notificazione dell’atto di citazione, omettendo di considerare che essi erano convenuti e non attori.
4. Il primo e il secondo motivo vanno quindi accolti,
con conseguente assorbimento del terzo motivo di ricorso,
con il quale i ricorrenti si dolgono della disposta compensazione per due terzi delle spese del giudizio di merito.

Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti
di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi
dell’art. 384 cod. proc. civ.

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ciata dalla Corte d’appello in favore di un ricorrente,

Infatti, individuata la durata complessiva del giudizio presupposto in sette anni (dal 24 novembre 2004 all’il
novembre 2011) e detratta la durata ragionevole di tre anni, deve ritenersi intervenuta una violazione della durata

In relazione a tale ritardo, a ciascuno dei ricorrenti
deve essere liquidato l’indennizzo determinato in base al
criterio già adottato dalla Corte d’appello, di 750,00 euro per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi, e quindi un indennizzo di euro 3.250,00, oltre agli interessi legali dalla data della
domanda al saldo.
Ai ricorrenti compete altresì il rimborso delle spese
dell’intero giudizio, come liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della
giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di euro 3.250,00, oltre agli interessi
legali dalla data della domanda al soddisfo; condanna inoltre il Ministero al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del giudizio di merito, che liquida in euro 873,00, di cui euro 50,00 per esborsi, euro 445,00 per
diritti ed euro 378,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, e di quelle del giudizio

ragionevole di quattro anni.

di legittimità, che liquida in euro 506,25 per compensi,
oltre ad euro 100,00 per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

9 gennaio 2014.

VI-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il

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