Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3265 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. II, 11/02/2020, (ud. 12/03/2019, dep. 11/02/2020), n.3265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5171-2015 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 197,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA NAPOLEONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI LUIGI

SACCARO;

– ricorrente –

contro

D.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 16/B, presso lo

studio dell’avvocato SABRINA PIZZACARIA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MASSIMO DINA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4305/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 01/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/03/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

PREMESSO

CHE:

1. Con citazione notificata il 23 maggio 2001 l’avvocato C.L. propose opposizione al decreto con cui il Tribunale di Milano gli aveva ingiunto il pagamento di lire 482.616.951 in favore dell’avv. D.P., a titolo di rimborsi e compensi per l’attività professionale svolta tra il 1998 e il 2001 in favore del collega, consistita nella sua difesa espletata in due processi penali, nell’assistenza prestatagli nella conclusione di una transazione, nella sua rappresentanza e difesa in tre cause civili; l’attore dedusse l’insussistenza del credito fatto valere in via monitoria, chiese la restituzione degli importi già versati e la condanna della controparte al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata.

Il Tribunale, con sentenza n. 4971/2005, revocò il decreto ingiuntivo, quantificò il credito di D. nella minor somma di Euro 198.561,46, condannandolo a restituire a C. Euro 63.232,65.

2. C.L. impugnava in via principale la sentenza, lamentando che a D. non erano dovuti nè gli onorari e i diritti per le tre cause civili, per essere state le relative attività difensive svolte dallo studio dello stesso C., nè le spese relative al primo processo penale, per non avere D. documentato il relativo esborso; inoltre, l’appellante sosteneva che l’onorario per il secondo processo penale era dovuto in misura nettamente inferiore rispetto a quanto statuito dal Tribunale. D.P. impugnava a sua volta la sentenza in via incidentale, in particolare insistendo per la condanna al pagamento dell’intera somma richiesta per i diritti delle tre cause civili e per gli onorari del secondo processo penale.

La Corte d’appello di Milano – con sentenza n. 114/2008 – ha rideterminato il credito di D. in importi in parte diversi e minori rispetto a quelli stabiliti dal Tribunale, condannando la parte che fosse risultata debitrice, in base al computo del dare e dell’avere, a corrispondere o restituire all’altra il relativo saldo.

3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Lionel C., in base a nove motivi. Questa Corte, con sentenza n. 21837/2010, ha accolto il primo, il secondo e il settimo, rigettato il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, dichiarato assorbiti l’ottavo e il nono; ha parzialmente cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Milano:

– con riguardo al primo motivo, in particolare, veniva dato atto di come l’ammontare delle spese generali del primo processo penale non fosse stato neppure indicato dal giudice d’appello, mentre a proposito delle spese particolari – pure rimaste prive di una specifica quantificazione – il giudice avesse fatto ricorso a una “presunzione di normale e necessitata sussistenza”, contravvenendo alla regola della tariffa forense, che accorda il rimborso soltanto per le “spese effettivamente sostenute e documentate”, così che la somma attribuita consisteva nel totale di due indeterminati addendi, calcolati l’uno in maniera non adeguatamente giustificata e l’altro in modo erroneo;

– circa il secondo motivo, relativo alla liquidazione degli onorari del secondo dei due processi penali, si dava atto di come il giudice d’appello, dopo aver premesso che non vi era motivo per “un notevole superamento dei limiti tariffari”, non avesse poi specificato le prestazioni compiute nè determinato i singoli compensi, non chiarendo quindi se e per quale ragione avesse eventualmente inteso derogare ai massimi tabellari;

– circa il settimo motivo, che lamentava l’ingiustificata attribuzione all’avvocato D. della somma di Lire 12.239.500 (a fronte di una richiesta di Lire 24.479.000) per i diritti di procuratore relativi ai tre giudizi civili, per essere le corrispondenti attività sempre state svolte da componenti dello studio dello stesso avvocato C., è stato rilevato come il giudice d’appello, pur affermando di avere attentamente vagliato la documentazione significativa in tal senso, avesse poi ritenuto di poter decidere sul punto secondo un globale ed equitativo apprezzamento che non gli era consentito, così operando una liquidazione grossolanamente forfettaria dei compensi in questione; al contrario, il giudice d’appello avrebbe dovuto verificare analiticamente e motivatamente quali attività di procuratore non erano state svolte da D. e soltanto per le altre riconoscere a lui dovuti i relativi diritti di procuratore.

4. Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di Milano, con sentenza 1 dicembre 2014, n. 4305, ha quantificato le spese particolari sostenute dall’avvocato D. nel primo processo penale in Euro 405,94; ha ridotto l’importo liquidato dal Tribunale circa gli onorari dovuti per il secondo processo penale ad Euro 4.234,95; ha riconosciuto Euro 11.281,48 per i diritti di procuratore dei tre processi civili.

5. Contro la sentenza ricorre per cassazione C.L..

Resiste con controricorso D.P..

Memorie sono state depositate dal controricorrente e dal ricorrente (che ha anzitutto dato atto del decesso della controparte).

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in cinque motivi, che attengono (i primi tre) alla decisione del giudice di rinvio rispetto a due degli accolti motivi di ricorso e (il quarto e il quinto) alla decisione di rinvio rispetto all’ottavo e al nono motivo di ricorso, dichiarati assorbiti.

a) Con il primo motivo – che riporta “infondatezza della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2233 c.c. ed al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, artt. 1,3,4,6,8 norme generali della tariffa penale, oltre alla tariffa stessa, con riferimento alla quantificazione degli importi asseritamente dovuti all’avvocato D.P. in relazione alla parcella del secondo procedimento penale” – il ricorrente lamenta che il giudice di rinvio abbia liquidato a controparte l’importo di Lire 7.000.000 per l’attività difensiva da lui svolta nel secondo procedimento penale, nonchè rideterminato gli importi rivendicati per i telefax in base ad un criterio forfettario ed equitativo, superando senza fornirne giustificazione i minimi tariffari, così ponendosi in contrasto con il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione. Il motivo è infondato. Il giudice di rinvio, preso atto dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, non ha posto in essere una “liquidazione forfettaria ed equitativa”, ma ha analiticamente argomentato la liquidazione degli onorari nella misura media di Lire 7.000.000; media di tariffa che il giudice di rinvio ha applicato pure in relazione alle “informative” indicate in parcella (Lire 20.000 x 25, per un totale di lire 500.000), così che il denunciato vizio non sussiste.

b) Il secondo motivo lamenta “infondatezza della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 2233 c.c. ed al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, artt. 1,5,7, norme generali tariffa giudiziaria civile, nonchè tabella B, nonchè ancora dell’art. 2697 c.c. con riferimento alla quantificazione degli importi asseritamente dovuti all’avvocato D.P. a titolo di diritti”: il giudice di rinvio avrebbe violato il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione invertendo l’onere della prova incombente sulle parti e, in ogni caso, avrebbe errato a ritenere non documentate le attività svolte dal ricorrente a mezzo del proprio studio.

Il motivo è infondato. Questa Corte, nell’accogliere il settimo motivo di ricorso (che riguardava i diritti di procuratore chiesti da D. in relazione ai tre processi civili, il cui importo era stato ridotto in appello al 50% della somma richiesta, ossia a Lire 12.359.500), ha affermato che il giudice aveva “effettuato una liquidazione grossolanamente forfettaria dei compensi in questione e avrebbe invece dovuto verificare analiticamente e motivatamente quali attività di procuratore non erano state svolte dall’avvocato D. e soltanto per le altre riconoscere a lui dovuti i relativi diritti di procuratore”. Sulla base del dictum di questa Corte, il giudice di rinvio ha quindi stabilito di dover accertare se – rispetto all’attività procuratoria elencata in dettaglio nelle parcelle di D. (attività contestata da C. non nell’an, ma su chi l’avesse posta in essere, appunto D. o C.) – vi fossero attività che erano state svolte non da D., ma da C. e soltanto per le restanti riconoscere a D. i diritti di procuratore. Tale accertamento il giudice di rinvio ha posto in essere, esaminando in modo analitico e argomentato le singole attività dei tre processi, così che non ha violato il precetto di questa Corte; quanto al mancato riconoscimento del valore probatorio della documentazione prodotta da C., si tratta di apprezzamento che spettava al giudice di rinvio e che non è censurabile di fronte a questa Corte.

c) Il terzo motivo censura “infondatezza della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 329 e 394 c.p.c. ed al divieto di reformatio in peius; vizio di ultrapetizione”, per avere il giudice di rinvio rideterminato gli importi dovuti per i diritti relativi ai tre giudizi civili per un ammontare superiore a quello già accertato dalla sentenza d’appello, sentenza avverso la quale solo C. ha proposto ricorso.

Il motivo è infondato. Come precisa il giudice di rinvio, D. aveva impugnato con appello incidentale la decisione del giudice dell’opposizione che aveva ridotto del 25% la somma liquidata dal decreto ingiuntivo, ribadendo la richiesta di Lire 24.479.000 (richiesta ulteriormente ribadita nell’atto di riassunzione del giudizio di rinvio), così che rientrava nei poteri del giudice di rinvio, cui questa Corte aveva assegnato il compito di “verificare analiticamente e motivatamente quali attività di procuratore non erano state svolte dall’avvocato D. e soltanto per le altre riconoscere a lui dovuti i relativi diritti di procuratore”, riconoscere a D., a titolo di diritti, la somma di Lire 21.844.000. D’altro canto, secondo l’insegnamento di questa Corte, se “la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura non già come atto di impugnazione, ma come attività di impulso processuale volta a riattivare la prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata e, come tale, instaura un processo chiuso” (così Cass. 9843/2002), il giudice di rinvio ha i poteri del giudice di merito che ha pronunziato la sentenza cassata e – con il filtro del dictum di legittimità – esamina i motivi di impugnazione proposti nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata.

d) Con il quarto motivo – che lamenta “infondatezza della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 1375 c.c. e all’art. 96 c.p.c. con riferimento alle domande risarcitorie formulate dall’avv. C.” – il ricorrente censura la sentenza di rinvio nella parte in cui ha “letteralmente liquidato, in poche righe, con quella che apparirebbe una mera affermazione di principio, il tema della responsabilità dell’avvocato D. per avere deliberatamente posto in essere una indebita aggressione giudiziaria nei confronti dell’esponente”.

Il motivo è infondato: in relazione all’infondatezza delle domande di risarcimento del danno anche per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., proposte dal ricorrente, il giudice di rinvio ha sufficientemente e convincentemente motivato (cfr. p. 12 del provvedimento impugnato).

e) Il quinto motivo lamenta infondatezza della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 91 e 92 con riferimento alla compensazione delle spese, per avere il giudice di rinvio disposto l’integrale compensazione delle spese processuali in violazione del principio della soccombenza.

Il motivo è infondato: come analiticamente spiega il giudice di rinvio, vi è stata soccombenza reciproca delle parti (se è risultato dovuto il compenso di D., questi ha chiesto una somma maggiore di quella che gli è stata riconosciuta), così che il giudice ha legittimamente disposto la compensazione integrale delle spese.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se sia dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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