Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32634 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26665/2012 R.G. proposto da:

Fantastiko Giocattoli s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Imperato Lorenzo e

dall’Avv. Lucisano Claudio, con domicilio eletto presso lo studio

del secondo, in Roma, Via Crescenzio n. 91, giusta procura speciale

in data 26 settembre 2012, unita al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 106/02/2012, depositata il 5 luglio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre

2019 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle entrate, a seguito di invio di questionario, emetteva avviso di accertamento nei confronti della Fantastiko Giocattoli s.r.l., per l’anno 2004, contestando l’indeducibilità dei costi derivanti dai rapporti con paesi black list, nella specie Hong Kong, per Euro 2.306.431,00, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi 10, 11 e 12, l’indeducibilità del fondo rischi di cambio per Euro 23.641,00 e l’indeducibilità del fondo rischi vertenze legali per Euro 36.152,00. La società depositava, in risposta al questionario fatture e bolle doganali. Alcuni documenti venivano prodotti dalla contribuente solo in sede di accertamento con adesione ed altri ancora in sede di giudizio.

2. Con il ricorso la contribuente eccepiva il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, la sussistenza della esimente dello svolgimento prevalente di attività commerciale effettiva da parte dei fornitori esteti e la concreta esecuzione delle operazioni commerciali intrattenute, come anche del concreto interesse economico, in termini di prezzo, qualità e tempistica delle operazioni economiche. La ricorrente, poi, evidenziava di avere correttamente proceduto all’accantonamento del fondo rischi su cambi, mediante l’appostazione alla voce C 17 bis del conto economico, con deduzione in quanto perdita su cambi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 4. Il fondo “rischi vertenze legali” iscritto in bilancio al 31-8-1997, non essendo mai stato utilizzato, era però stato mantenuto dagli amministratori, in considerazione della esistenza di procedure fallimentari non ancora concluse.

3. La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso, avendo la contribuente prodotto le fatture e la documentazione doganale sottesa agli acquisti, sussistendo anche un concreto interesse economico a contrattare con società di Hong Kong, che era il secondo produttore di giocattoli al mondo. Veniva confermata anche la deducibilità del fondo su rischi di cambio e di quello per le vertenze legali.

4. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, affermando che non era stata esibita alcuna documentazione a dimostrazione della sussistenza delle esimenti di cui all’art. 110 D.P.R. n. 917/1986. Inoltre, il fondo rischi di cambio non era previsto dalla legge ed era stato recuperato anche l’importo del fondo rischi vertenze legali.

5. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.

6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

7. La Procura Generale ha depositato le proprie conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “art. 360 c.p.c., n. 5, in rapporto agli artt. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, – omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – omessa od insufficiente motivazione quanto al fatto decisivo della produzione, all’atto della risposta al questionario, in sede di procedimento di accertamento con adesione ed infine in sede di costituzione in giudizio in fase contenziosa, di numerosi documenti, dai quali emerge la prova – in quanto tale riconosciuta ed appurata dalla sentenza di primo grado – della sussistenza di entrambe le esimenti di cui all’art. 110 TUIR, commi 10 e 11”, in quanto la motivazione della sentenza del giudice di appello si limita ad affermare che dinanzi al giudice non è stata esibita la documentazione necessaria a dimostrare la sussistenza delle esimenti di cui all’art. 110 TUIR, commi 10 e 11. Al contrario la società ha prodotto sia in sede amministrativa che giurisdizionale la seguente documentazione per l’anno 2004:prospetto riepilogativo acquisti esteri; estratto libro soci; catalogo Fantastiko; mastro contabile vendite; stampa libro giornale; rapporto Istituto Nazionale per il Commercio Estero; mastro contabile acconto a fornitori. Con riferimento alle imprese fornitrici estere sono stati, poi, prodotti: mastro contabile depositi bancari; bilancio di esercizio; le fatture di affitto; le fatture per il pagamento dell’energia elettrica e dell’acqua. Nè si comprende se il giudice di appello abbia voluto sanzionare con l’inutilizzabilità la produzione di documenti ulteriori rispetto a quelli depositati in seguito al questionario, quindi in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 2.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta “art. 360 c.p.c., n. 3 – erronea o falsa interpretazione della norma del testo unico sull’accertamento delle imposte sui redditi, qualora si ritenga che la sentenza impugnata, da un lato, abbia ritenuto che non fossero legittimamente acquisibili ed utilizzabili i documenti prodotti dalla società ricorrente nella fase dell’accertamento con adesione e, dall’altro lato, che non ricorresse l’ipotesi prevista dall’ultima parte della norma citata, che consente la produzione in sede giurisdizionale della detta documentazione, unitamente al chiarimento delle ragioni che ne impedirono la tempestiva produzione”. Infatti, i documenti necessari a dare la dimostrazione delle due esimenti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, sono stati già prodotti dalla società in sede di risposta al questionario nonchè nuovamente nella fase di accertamento con adesione. E’ vero che ulteriore documentazione è stata prodotta in sede giurisdizionale, ma la stessa costituiva solo un mero sviluppo di quella già acquisita, essendo solo una integrazione esplicativa. Tuttavia, è possibile la produzione di ulteriore documentazione in giudizio, rispetto a quella depositata in sede amministrativa, nel caso in cui il contribuente dimostri le ragioni che avevano impedito di farlo in precedenza.

2.1. Il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del secondo motivo. 2.2.Invero, all’epoca dei fatti trovava applicazione il D.M. 23 gennaio 2002, n. 19719, art. 1 (“indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato”), che prevedeva “ai fini dell’applicazione del Testo unico delle imposte sui redditi, art. 110, commi 10 e 12-bis, … si considerano Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato: … Hong Kong …”.

Honh Kong è stato espunto dalla lista con D.M. 18 novembre 2015. Nella Circ. Agenzia delle entrate 26 settembre 2016, n. 39/E si è previsto che, in relazione alle modifiche di cui al D.M. 18 novembre 2015 “la disciplina di cui all’art. 110 TUIR, comma 10 continua a trovare applicazione in relazione alle operazioni commerciali con gli Stati espunti dalla black list intercorse entro il giorno precedente l’entrata in vigore del relativo decreto modificativo”.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, comma 7-bis, poi, confluito nel medesimo D.P.R., art. 110, comma 10, (quest’ultimo applicabile ratione temporis), prevedeva che “Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati…individuati, con decreto del Ministero delle finanze…”. L’art. 76, comma 7-ter (poi art. 110, comma 11, applicabile ratione temporis), stabiliva che “le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione…. la deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 7-bis è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti”.

2.3. La L. n. 296 del 2006 ha eliminato l’ultimo periodo del comma 7-ter (art. 110, comma 11), e quindi la subordinazione della deduzione dei costi alla indicazione separata degli stessi nella dichiarazione dei redditi, aggiungendo alla fine del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11 (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 301), la frase “Le spese e gli altri componenti negativi deducibili ai sensi del primo periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi”. Si evidenzia, peraltro, che, in tema di reddito d’impresa, l’abolizione del previgente regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. black list), prevista dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 301, 302 e 303, ha carattere retroattivo (Cass. Civ., 27 marzo 2015, n. 6205).

2.4. Il D.Lgs. n. 417 del 2015 ha eliminato, ma a decorrere dall’anno 2015, il requisito dello svolgimento di una attività commerciale effettiva. Si legge, infatti, nell’art. 110, commi 10 e 11 che “Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale….Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che….le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.

Non si rinviene più il riferimento allo svolgimento effettivo di attività commerciale.

Il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 4, prevedeva, poi, che “Le modifiche ai commi 10, 11 e 12-bis del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto”.

Con riferimento all’epoca dei fatti (avendo valore retroattivo la L. n. 296 del 2006), quindi, occorre valutare se la presunzione di indeducibilità dei costi è superata dal contribuente che riesca a dimostrare alternativamente: lo svolgimento di un’attività commerciale effettiva da parte della struttura organizzativa estera; la sussistenza di un effettivo interesse economico sottostante alle operazioni.

La necessità della separata indicazione in dichiarazione dei costi della black list è stata abrogata dalla L. 27 dicembre 2016, n. 296, ma non con efficacia retroattiva.

E’ necessario, quindi, dimostrare da parte della contribuente, con riferimento alla prima esimente, l’attività concretamente svolta dall’impresa estera, quindi l’esercizio di un’attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., caratterizzata da una struttura organizzativa idonea allo svolgimento di tale attività.

2.5. Peraltro, la della L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 142, lett. a, ha abrogato, a decorrere dal 1 gennaio 2016 il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi da 10 a 12-bis.

In tal modo la deducibilità dei costi black list non risulta più disciplinata in modo specifico, ma si applicano le regole ed i criteri ordinari di carattere generale in ordine alla rilevanza delle componenti negative nell’ambito dei redditi di impresa.

La norma citata da ultimo, però, non ha efficacia retroattiva, per cui per il periodo antecedente vanno applicate le disposizioni vigenti nel periodo di imposta in cui i costi sono sostenuti.

Non trattasi di “sanzione impropria”, quindi, con efficacia retroattiva per il principio del favor rei, in quanto la norma si applica, ai sensi della L. 208 del 2015, comma 144, a decorrere dal periodo di imposta successivo al 2015. Inoltre, l’art. 110, comma 10 non è norma processuale, sulla prova necessaria per la deduzione dei costi da black list, ma sostanziale in ordine alla valutazione dei redditi di impresa. In difetto di previsione di retroattività, non può che operare per l’avvenire ai sensi dell’art. 11 preleggi.

2.6. Tale esame, in ordine allo svolgimento di una attività commerciale effettiva da parte della società estera o la sussistenza di un effettivo interesse economico sottostante alle operazioni, è stato effettuato in modo incompleto ed insufficiente dalla Commissione regionale che si è limitata ad affermare che “sia all’Ufficio che a questo Giudice non veniva esibita alcuna documentazione a dimostrazione del ricorrere nella società verificata delle esimenti sopra richiamate senza, peraltro, fornire motivazione sulla mancata esibizione”.

2.7.Invero, per dimostrare l’effettivo svolgimento di attività economica non è sufficiente produrre l’atto di costituzione della società estera, il bilancio ed il certificato di iscrizione presso il registro delle imprese, ma è necessario produrre, anche in base alla circolare 23-5-2003 n. 29/E dell’Agenzia delle entrate, anche la copia del contratto in virtù del quale l’impresa estera ha la disponibilità dell’immobile, in cui esercita la sua attività, le fatture delle utenze elettriche e telefoniche, i contratti di lavoro dei dipendenti, gli estratti conto bancari, le autorizzazioni amministrative inerenti l’esercizio dell’attività svolta. 2.8.Quanto alla seconda esimente, ossia la dimostrazione dell’effettivo interesse economico, prevista in alternativa alla prima, è necessario valutare la “bontà” del risultato imprenditoriale conseguito, sicchè, come anche previsto dalla circolare n. 51/2010 dell’Agenzia delle entrate, occorre tenere conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, e tenendo conto del prezzo stabilito negozialmente, della presenza di costi accessori della fornitura, dei tempi di consegna, dell’esistenza di vincoli contrattuali che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore inserito nella black list o comunque che renderebbero eccessivamente onerosa la transazione con altro fornitore.

Anche sotto questo aspetto, la motivazione della sentenza della Commissione regionale appare insufficiente e lacunosa, non essendo stati in alcun modo richiamati il prezzo, i costi accessori, i tempi di consegna, i vincoli contrattuali che hanno indotto la società ad effettuare la transazione con la società estera inserita nella black list, nè le ragioni della maggiore convenienza rispetto all’acquisto da altro fornitore.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., n. 5, in rapporto agli artt. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 – omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – omessa od insufficiente motivazione in ordine alla ripresa concernente il fondo rischi vertenze legali”, in quanto il giudice di appello, sul punto, non ha indicato le ragioni della decisione, essendosi limitato ad affermare che “L’Ufficio… recupera fiscalmente anche l’importo di Euro 36.152,00 relativo ad un fondo rischi vertenze legali”.

3.1. Tale motivo è fondato.

Infatti, è evidente la assoluta assenza di motivazione sul punto, non avendo il giudice di appello in alcun modo chiarito le ragioni per cui l’Ufficio avrebbe correttamente ritenuto indeducibile l’importo di Euro 36.152,00 relativo ad un “fondo rischi e vertenze legali”.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta “art. 360 c.p.c., n. 3 – erronea o falsa interpretazione di norme di legge – erronea o falsa interpretazione dell’art. 110 TUIR, comma 4, nella versione vigente ratione tenporis – il fondo perdite rischi su cambi era deducibile alla luce della norma all’epoca vigente, in quanto eccedenza rispetto alla copertura del rischio di cambio”. Per il giudice di appello il fondo rischi di cambio non era previsto dalla normativa fiscale, mentre per la ricorrente tale previsione si rinviene nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 4. Nel ricorso introduttivo è stata anche fornita la dimostrazione concreta della determinazione del fondo rischi di cambio. Dall’analisi di bilancio emerge che vi sono state perdite su cambi per Euro 4.485,00, imputate a conto economico alla voce C/17 bis e fiscalmente dedotte. L’ulteriore perdita manifestatasi su crediti in valuta e su depositi bancari è stata, invece, accantonata in un fondo rischi di cambio, con rettifica indiretta degli stessi. Pertanto, non sono state rettificate direttamente le voci patrimoniali, con imputazione alla voce del conto economico. Si è proceduto, quindi, ad un accantonamento indiretto, invece che ad una perdita su cambi diretta, pur restando invariata la sua natura ed il relativo trattamento fiscale. Trattasi fiscalmente di perdita su cambi deducibile ai sensi dell’art. 110 TUIR, comma 4, per un importo non superiore alla differenza tra la valutazione di ciascun credito e di ciascun debito secondo il cambio di chiusura dell’esercizio e la valutazione dello stesso credito o debito secondo il cambio del giorno in cui è sorto. L’art. 110 comma 4, all’epoca vigente, stabiliva la deducibilità delle perdite su debiti in valuta qualora non vi fosse stata copertura ad opera del fondo rischi già appostato.

4.1. Tale motivo è infondato.

4.2. Invero, l’accantonamento per rischi di cambio era previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 72, vigente sino al 31-12-2003 (“Accantonamento per rischi di cambio”), ove si stabiliva al comma 1 che “Gli accantonamenti al fondo di copertura dei rischi di cambio sono deducibili nel limite della differenza negativa tra il saldo dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio … valutati secondo il cambio dell’ultimo mese dell’esercizio, e il saldo degli stessi valutati secondo il cambio del giorno in cui sono sorti o dal giorno antecedente più prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono sorti. La differenza si considera negativa in caso di diminuzione del saldo attivo o di aumento del saldo passivo. Non si tiene conto dei crediti e dei debiti per i quali il rischio di cambio è coperto da contratti a termine o da contratti di assicurazione”.

Al comma 2 si chiariva che “se in un esercizio la differenza negativa di cui al comma 1 è superiore all’ammontare del fondo risultante alla chiusura dell’esercizio precedente, la deduzione è ammessa limitatamente alla parte eccedente; se essa è pari o inferiore all’ammontare del fondo alla chiusura dell’esercizio precedente, la deduzione non è ammessa e l’eventuale eccedenza del fondo concorre a formare il reddito dell’esercizio”.

Nell’art. 72 TUIR, comma 3 (vecchio), non applicabile ratione temporis, si stabiliva che “le perdite di cambio derivanti dalle riscossioni e dai pagamenti effettuati nell’esercizio sono deducibili limitatamente alla parte del loro ammontare che non trova copertura nel fondo”.

Gli accantonamenti erano, quindi, deducibili se e nella misura in cui le differenze di cambio, determinate dal confronto tra il saldo dei crediti e dei debiti in valuta straniera, valutati secondo il cambio dell’ultimo mese di esercizio (cambio effettivo rilevato al momento del regolamento monetario) ed il saldo dei medesimi crediti e debiti, valutati secondo il cambio originario (cambio storico rilevato al momento dell’iniziale iscrizione in contabilità delle partite in monte estera), evidenziassero un andamento dei cambi sfavorevole all’impresa. La deduzione era, poi, bilanciata, in caso di inversione di tendenza dell’andamento dei cambi, dal recupero a tassazione del fondo accantonato nella misura in cui esso fosse divenuto superiore al nuovo risultato del confronto (Cass. 13 maggio 2016, n. 9856).

Pertanto, poichè l’accantonamento era volto a coprire il rischio di eventuali oscillazioni negative del cambio, non vi era motivo di includere nel computo poste relative per le quali il rischio fosse stato già coperto da contratti di vendita a termine di valute estere o contratti di assicurazione. Infatti, in tal modo si computerebbero due volte componenti negative di reddito riferibili alla medesima operazione, consentendo, quindi, sia la deduzione del premio pagato per la stipulazione del contratto di vendita a termine o di assicurazione, sia la deduzione del relativo accantonamento.

Il sistema contabile di cui all’art. 72 TUIR, vecchio, dunque, era ispirato al principio di globalità, per cui si procedeva ad una valutazione complessiva di tipo forfettario, volta a compensare le differenze di cambio attive e passive che si generevano su tutti i crediti e i debiti in valuta, evidenziandone il risultato netto. In tal modo si prevedeva la correzione indiretta delle partite, mantenute ai valori storici nello stato patrimoniale, con l’iscrizione, nel passivo dello stato patrimoniale, art. 2424 c.c., sub B.3, del fondo rischi e l’imputazione a conto economico delle differenze di conversione, sia negative che positive (Cass., n. 9856/2016).

4.3. Il D.Lgs. n. 6 del 2003, di riforma del diritto societario, ha inserito nello schema di conto economico di cui all’art. 2425 c.c., la voce 17 bis (“utili e perdite su cambi). Inoltre, è stato introdotto all’art. 2426 c.c. (criteri di valutazione) il n. 8 bis che disciplina il criterio di valutazione per le operazioni in valuta.

L’art. 2426 c.c., n. 8-bis, prevedeva, prima delle modifiche di cui al D.L.gs. n. 310 del 2004 che “le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio…le immobilizzazioni in valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello inferiore alla data di chiusura dell’esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole”.

L’OIC (Organismo Italiano Contabilità) ha precisato il contenuto di tale norma, interpretando l’espressione “le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni”, come “le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni non monetarie”. Pertanto, anche i crediti vanno ricompresi in tale dizione, allo stesso modo dei debiti, già espressamente ivi indicati. Le immobilizzazioni cui si applica la valutazione al cambio “storico” (tasso di cambio al momento dell’acquisto) sono, allora, solo le immobilizzazioni non monetarie. Al contrario i crediti finanziari immobilizzati, come i debiti (anche quelli a medio e lungo termine), sono iscritti al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio.

Il D.Lgs. n. 310 del 2004, tenendo conto della interpretazione correttiva pervenuta dalll’OIC, ha modificato il contenuto dell’art. 2426 c.c., n. 8-bis, per tenerne conto, e statuendo che “le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio…le immobilizzazioni materiali, immateriali e quelle finanziarie, costituite da partecipazioni rilevate al costo in valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello inferiore alla data di chiusura dell’esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole”. Pertanto, tra le “attività e passività in valuta”, da valutare al cambio di fine periodo, rientrano i crediti ed i debiti a prescindere dalla durata e, per i crediti, indipendentemente dal fatto che siano iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie.

L’art. 2426 c.c., n. 8-bis è stato poi modificato dal D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139, art. 6, comma 8, lett. h, il quale ha previsto che “le attività e passività monetarie in valuta sono iscritte al cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio; i conseguenti utili o perdite su cambi devono essere imputati al conto economico e l’eventuale utile netto è accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo. Le attività e passività in valuta non monetarie devono essere iscritte al cambio vigente al momento del loro acquisto”. Pertanto, con tale modifica si è inteso chiarire che l’obbligo di valutazione al tasso di cambio vigente alla data di riferimento del bilancio sussiste per le poste aventi natura monetaria.

4.4. Il D.Lgs. n. 344 del 2003 ha, da un lato, soppresso, però, l’art. 72 TUIR, vecchio, che consentiva l’accantonamento per rischi su cambi e, dall’altro, ha inserito nell’art. 110, commi 3 e 4, stabilendo i nuovi criteri di valutazione delle operazioni in valuta. E’ proprio quest’ultima la disciplina applicabile al caso di specie relativo all’anno di imposta 2004.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 3, dispone, quindi, che “La valutazione secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio dei crediti e dei debiti in valuta estera, anche sotto forma di obbligazioni, di titoli cui si applica la disciplina delle obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi o di titoli assimilati non iscritti fra le immobilizzazioni deve riguardare la totalità di essi. Non si tiene conto dei crediti e dei debiti per i quali il rischio di cambio è coperto qualora i contratti di copertura non siano anch’essi valutati in modo coerente secondo il cambio di chiusura dell’esercizio”.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 4, aggiunge che “Le minusvalenze relative ai singoli crediti ed ai singoli debiti in valuta estera, anche sotto forma di obbligazioni, i titoli cui si applica la disciplina delle obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi o titoli assimilati alle obbligazioni, iscritti fra le immobilizzazioni sono deducibili per un importo non superiore alla differenza tra la valutazione di ciascun credito e di ciascun debito secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio e la valutazione dello stesso debito o credito secondo il cambio del giorno in cui è sorto o del giorno antecedente più prossimo e in mancanza secondo il cambio del mese in cui è sorto. Non sono deducibili le minusvalenze relative a crediti o debiti per i quali esiste la copertura del rischio di cambio, salvo che il contratto di copertura non sia valutato in modo coerente”.

Si riteneva, dunque, che nel periodo di imposta 2004 i crediti potevano essere soggetti alla disciplina di cui al comma 3 o a quella di cui all’art. 110 TUIR, comma 4, a seconda che fossero iscritti nell’attivo circolante o fra le immobilizzazioni finanziarie, mentre i debiti sia a breve che a medio-lunga scadenza erano sempre riconducibili alla disciplina di cui all’art. 110 TUIR, comma 3. Gli utili e le perdite su cambi contabilizzati a conto economico assumevano rilevanza ai fini della determinazione del reddito (in tal senso anche risoluzione della Agenzia delle entrate n. 80 /E del 17-6-2005).

Con l’abrogazione dell’art. 72 TUIR, vecchio, nel primo esercizio in cui si applicavano le nuove disposizioni civilistiche in tema di bilancio, le imprese dovevano annullare l’eventuale saldo ancora esistente del fondo rischi su cambio, mediante sua “girocontazione” al conto economico, e segnatamente alla voce C.17 bis – utili e perdite su cambi), con conseguente concorrenza dello stesso alla formazione del reddito complessivo.

4.5. Il D.Lgs. n. 38 del 2005, art. 11, comma 1, lett. e), n. 2, del ha, poi, sostituito l’art. 110 TUIR, commi 3 e 4, inserendo al loro posto, solo il comma 3, che prevede l’irrilevanza fiscale degli utili e delle perdite derivanti dall’oscillazione dei cambi dei crediti e debiti in valuta, anche sotto forma di obbligazioni. Si è previsto così un trattamento uniforme per i crediti ed i debiti in valuta, trattandosi in entrambi i casi di poste monetarie per le quali sia lo Ias 21 che il codice civile prevedono la valutazione al cambio di fine esercizio. E’ venuta, così meno, ogni distinzione tra crediti e debiti immobilizzati e non, sicchè, a prescindere dalla loro collocazione in bilancio, le attività e le passività in valuta devono essere valutate al cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi non hanno rilevanza fiscale sino al loro realizzo.

4.6. Pertanto, poichè l’accantonamento per rischi di cambio di cui all’art. 72 TUIR, (vecchio), è stato eliminato a decorrere dall’anno di imposta 2004, non essendo più stato previsto dal nuovo art. 110 TUIR, commi 3 e 4, non è possibile la deducibilità dello stesso.

Infatti, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 107, comma 4, dispone che “non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo”.

Per questa Corte, infatti, ma in relazione alla disciplina applicabile prima del 2004, in tema di IRPEG, il fondo di copertura dei rischi di cambio, secondo la disciplina vigente prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 344 del 2003 (con decorrenza dal 1 gennaio 2004), ha la funzione di raccogliere, nel corso degli esercizi, accantonamenti destinati a far fronte al rischio derivante dall’oscillazione nei cambi, determinati secondo competenza economica, ed i relativi importi sono poi utilizzati allorchè il rischio diventa una perdita effettiva (non solo presunta), potendosi fiscalmente dedurre i relativi accantonamenti, nei limiti e alle condizioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 72, commi 1 e 2, dovendosi imputare direttamente al conto economico il solo importo eccedente il fondo medesimo (Cass., 11 ottobre 2017, n. 23825).

5. La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i motivi primo e terzo; dichiara assorbito il secondo; rigetta il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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