Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32630 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2309/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALLSYSTEM S.P.A., incorporante Mondialpol Torino s.p.a., in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per

procura speciale in atti, dagli Avv. Garavoglia Mario, Lucisano

Claudio e Vulcano Maria Sonia, con domicilio eletto presso lo studio

di questi ultimi in Roma, via Crescenzio, n. 91;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del

Piemonte, n. 90/34/11, depositata in data 25 novembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Cataldi Michele.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle entrate, preso atto che la Mondialpol Torino s.p.a. (successivamente incorporata nell’attuale ricorrente Allsystem s.p.a.) aveva versato il primo acconto Irap, di Euro 125.639,79, relativo all’anno d’imposta 2005, in data 22 agosto 2005, invece che alla scadenza del 20 luglio 2005, emetteva cartella di pagamento con la quale recuperava gli interessi per il ritardato adempimento ed irrogava la sanzione di Euro 37.708,00.

2. La contribuente ricorreva avverso la cartella contestando (per quanto qui ancora interessa) l’eccessiva misura della sanzione e chiedendone la riduzione del 50% ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4. L’adita Commissione tributaria provinciale di Torino accoglieva il ricorso e riduceva la sanzione, rideterminandola nella misura del 50%.

L’Agenzia dell’Entrate proponeva appello contro tale sentenza, deducendo che, essendo la sanzione quantificata dal legislatore nella misura fissa del 30% dell’imposta non pagata, non era applicabile il predetto D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, in quanto riferibile esclusivamente alle sanzioni per le quali la legge prevede un importo variabile tra minimo e massimo edittali. L’adita Commissione Tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza n. 90/34/11, depositata in data 25 novembre 2011, ha rigettato l’appello dell’Ufficio.

3. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato ad un solo motivo, per la cassazione della sentenza della CTR.

4. La contribuente società si è costituita con controricorso ed ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ufficio ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, e art. 13 e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1.

Assume infatti il ricorrente Ufficio che la sentenza impugnata, ritenendo legittima la riduzione della sanzione, ha erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, norma invece riferibile esclusivamente alle sanzioni per le quali la legge prevede un importo variabile tra minimo e massimo edittali, e dunque non a quella irrogata nel caso di specie dall’Amministrazione ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, che determina la sanzione “pari al trenta per cento di ogni importo non versato”.

Erroneo, aggiunge la ricorrente, è il richiamo, operato nella sentenza impugnata, all’istituto del ravvedimento operoso di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, atteso che la contribuente non posto in essere alcun ravvedimento spontaneo, ed anzi ha resistito al sopravvenuto intervento dell’Ufficio.

Inoltre, secondo l’Agenzia, la CTR avrebbe comunque errato anche nel ritenere che, nel caso di specie, sussistesse il presupposto – le “eccezionali circostanze che rendano manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione”- della riduzione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, atteso che la mera inosservanza del termine di adempimento dell’acconto Irap non troverebbe corrispondenza in alcuno dei criteri per la quantificazione della sanzione da irrogare dettati dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, i primi tre commi, alla luce dei quali dovrebbero essere vagliati, per esigenze sistematiche, anche gli elementi che, a norma del successivo comma 4, legittimano la riduzione della sanzione.

2. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, così dispone: “Qualora concorrano eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo.”.

Questa Corte, peraltro proprio con riferimento alla sanzione amministrativa di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, ha chiarito che in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, la disposizione contenuta nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7, comma 4 – che consente di ridurre la sanzione fino alla metà del minimo, quando concorrono eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione stessa – si applica, in mancanza di specifiche eccezioni, ad ogni genere di sanzioni, comprese quelle che la legge stabilisce in misura proporzionale o fissa, dovendosi in tal caso considerare che il minimo ed il massimo si identificano in detta misura fissa o proporzionale (Cass., 04/03/2011, n. 5209. Conforme Cass. 13/12/2017, n. 29998).

Pertanto, la sentenza impugnata, nel ritenere ammissibile la riduzione controversa, si è uniformata correttamente al dettato normativo ed alla sua interpretazione giurisprudenziale.

Ciò posto, appare irrilevante, rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, l’ulteriore censura relativa all’istituto del ravvedimento operoso, che il giudice a quo ha evocato solo come argomento ulteriore a supporto della sua interpretazione del D.Lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7, comma 4, e non certo per farne applicazione alla fattispecie controversa, rispetto alla quale è infatti pacificamente considerato estraneo da entrambe le parti, come risulta da ricorso e controricorso.

Non è poi sindacabile in questa sede, al di fuori dell’ipotesi del non dedotto vizio motivazionale, il concreto giudizio di merito sulla ricorrenza delle “circostanze eccezionali” richieste dalla ridetta disposizione legislativa (prima della modifica di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 16, comma 1, lett. c), n. 2, che con decorrenza dal 1 gennaio 2016 ha soppresso l’aggettivo “eccezionali”) e riconosciute dal giudice a quo nel fatto che “la società faceva parte di un consolidato di gruppo in cui le differenti scadenze del pagamento Ires ed Irap diventavano nell’anno considerato per la prima volta operative” e nel “sostanziale corretto comportamento fiscale comunque mantenuto dalla medesima con l’integrale pronto versamento di quanto dovuto”.

Infatti, “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’appezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass., n. 9097 del 2017).

5. La parziale infondatezza della pretesa erariale, nella parte in cui ha per oggetto l’intero importo della sanzione amministrativa e non la sua metà, emerge (con ogni conseguenza in termini di spese di lite), per le esposte argomentazioni, già alla stregua della normativa vigente ed applicata dalla cartella di pagamento controversa e dalla sentenza impugnata, ed invocata dalla contribuente nel ricorso per cassazione. Essa risulta peraltro confortata anche dallo ius superveniens, al quale si riferisce (con specifiche allegazioni rispetto al caso concreto, idonee ad influire sui parametri di commisurazione della relativa sanzione, in ottemperanza a Cass., 28/06/2018, n. 17143 e Cass., 30/11/2018, n. 31062) la memoria della ricorrente, costituito dalla modifica apportata dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. o), al predetto L. n. 471 del 1997, art. 13, che ora così dispone:” (…) Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. (…)”.

Incidendo in misura favorevole sulla misura della sanzione, tale modifica si applica, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, anche al caso di specie, nel quale, secondo le stesse allegazioni dell’Agenzia, il pagamento ritardato è stato effettuato in data 22 agosto 2005, invece che alla scadenza del 20 luglio 2005, quindi con un ritardo non superiore a novanta giorni.

3.Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

4.Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione à debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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