Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32626 del 17/12/2018

Cassazione civile sez. un., 17/12/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 17/12/2018), n.32626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Luigi – Primo Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giobanni – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20336-2017 proposto da:

D.V.G., V.A., elettivamente domiciliate in

ROMA, PIAZZA PAGANICA 13, presso lo studio dell’avvocato DARIO DE

BLASI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO

FRANCARIO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3997/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

l’11/08/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2018 dal Consigliere ENRICA D’ANTONIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso, in accoglimento

del ricorso di V.A., dichiararsi la giurisdizione del

giudice amministrativo;

uditi gli avvocati Dario De Blasi e Fabio Francario.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR per il Lazio che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo dopo aver riqualificato la domanda proposta da D.V.G. e V.A., segretari comunali transitati tra il 2001 ed il 2002 presso l’AGES, ente successivamente soppresso, non già come giudizio di ottemperanza alla sentenza del TAR per il Lazio del 30/12/2014, di cui le ricorrenti lamentavano la mancata esecuzione, bensì come ordinaria azione relativa a profili gestori di un rapporto di lavoro privatistico.

Ha esposto che la sentenza del TAR per il Lazio del 30/12/2014, passata in giudicato,aveva annullato gli atti impugnati in quel giudizio “nei limiti dell’interesse delle ricorrenti” ed aveva ritenuto che tra le ricorrenti e l’AGES sussistesse, all’atto della soppressione dell’Agenzia, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e che, pertanto, era illegittima la decisione del Ministero dell’Interno, cui il personale era transitato, di non considerare le ricorrenti nella tabella di equiparazione e di escluderle dall’inquadramento nei ruoli ministeriali, collocandole in disponibilità.

Secondo il Consiglio di Stato la sentenza passata in giudicato e l’annullamento degli atti impugnati in quel giudizio,comportava solo l’obbligo dell’amministrazione di includere le ricorrenti nella tabella di equiparazione da cui erano state escluse sull’erroneo presupposto che esse non fossero mai state dipendenti dell’ormai estinta AGES e del SSPAL (ente strumentale dell’AGES) sicchè, nel rispetto di quanto statuito nella citata sentenza, il Ministero dell’interno vi aveva provveduto inserendole nei ruoli ministeriali; la sentenza passata in giudicato nulla aveva, invece, disposto circa le specifiche modalità dell’inquadramento e della esatta qualifica da attribuirsi alle ricorrenti, non essendo tali modalità oggetto del giudizio, con la conseguenza che eventuali vizi dei nuovi provvedimenti e la pretesa di essere inquadrate con qualifica dirigenziale avrebbero dovuto essere sollevati non in sede di ottemperanza, ma in un giudizio ordinario davanti al giudice del lavoro, quali pubblici dipendenti privatizzati.

Il Consiglio di stato sottolinea, inoltre, che la sentenza del TAR passata in giudicato non aveva affrontato profili organizzatori generali, ma solo la posizione delle ricorrenti escluse dalla tabella di equiparazione e che, non venendo in rilievo alcun esercizio o mancato esercizio di un potere amministrativo di tipo organizzatorio ma semplicemente un atto gestorio del rapporto di natura privatistica, non era ravvisabile la giurisdizione del giudice amministrativo.

2. Avverso la sentenza ricorrono d.V.G. e V.A. con due motivi. Il Ministero dell’Interno e quello dell’Economia e Finanze sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. La ricorrente D.V. ha depositato un atto di rinuncia al ricorso e, dunque, con riferimento ad essa, il giudizio può essere dichiarato estinto.

4. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per aver affermato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in riferimento all’art. 7 c.p.a. e al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 sebbene la domanda fosse volta a censurare un atto di macro organizzazione, cioè la tabella di equiparazione adottata ai fini del transito dei dipendenti presso il Ministero dell’Interno a seguito della soppressione dell’AGES, con richiesta di includervi anche i segretari provinciali e comunali secondo il criterio di corrispondenza indicato dalla legge.

5. Con il secondo motivo si censura la decisione impugnata per aver rifiutato la giurisdizione in relazione alla domanda proposta dalle ricorrenti volta ad avere la modifica/integrazione della tabella di equiparazione da parte degli organi competenti indicati dalla legge (Ministeri dell’Interno e dell’Economia) ai fini del transito nei ruoli ministeriali, pur non disponendo il giudice ordinario del potere di modificare un atto amministrativo.

6. Il ricorso è infondato.

7. In base a quanto disposto dall’art. 362 c.p.c. e dall’art. 110cod. proc. amm. nonchè dall’art. 111 Cost., comma 8, avverso le decisioni del Consiglio di Stato il ricorso per cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

In particolare,quanto alla speciale giurisdizione affidata in sede di ottemperanza al giudice amministrativo (il quale è chiamato ad esercitare, ai sensi dell’art. 7 cod. proc. amm., comma 6, e art. 134 cod. proc. amm., giurisdizione con cognizione estesa al merito, potendo procedere alla determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo, alla sua emanazione in luogo della pubblica amministrazione, nonchè alla sostituzione della amministrazione stessa), al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato di queste Sezioni Unite è consentito da quelle nelle quali è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione), oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza(limiti esterni della giurisdizione); ne consegue che, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l’interpretazione del giudicato, l’accertamento del comportamento tenuto dall’Amministrazione e la valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può eventualmente incorrere, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di cassazione (Cass. S.U. n. 8047/2018; n. 16016/2018; n. 10060/2013; n, 736/2012).

8. Nel caso in esame la ricorrente, seppure formalmente lamenti che il Consiglio di Stato sia incorso in un diniego di giustizia, prospetta in realtà censure che attengono alle modalità di esercizio dei poteri spettanti al giudice amministrativo, e, quindi, ai limiti interni.

9. Il Consiglio di Stato ha affermato, infatti, che, nel giudizio conclusosi con la sentenza passata in giudicato, di cui le ricorrenti lamentavano la mancata esecuzione da parte del Ministero dell’Interno (sentenza n. 13244/2014), l’annullamento degli atti impugnati in quel giudizio comportava esclusivamente l’obbligo dell’amministrazione di includere le ricorrenti nella tabella di equiparazione e che,quanto alle specifiche modalità dell’inquadramento e della esatta qualifica che avrebbe dovuto essere attribuita alle ricorrenti,la sentenza passata in giudicato non conteneva alcuna specifica statuizione, non essendo state tali modalità oggetto del giudizio,sicchè l’amministrazione aveva esercitato il proprio potere senza essere vincolata, sul punto, dal giudicato ed in particolare senza alcun obbligo di inquadrare le ricorrenti quali dirigenti.

Quanto alla censura secondo cui la doglianza relativa all’inquadramento avrebbe investito in modo diretto il contenuto di atti a carattere generale, e cioè la tabella che doveva regolare il transito dei dipendenti del soppresso AGES al Ministero dell’Interno con la conseguenza della sussistenza della giurisdizione amministrativa, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il ricorso in ottemperanza (sia il primo motivo relativo all’incompetenza, sia il secondo motivo relativo alle tabelle di equiparazione) non avesse investito in alcun modo profili organizzatori generali, e cioè il legittimo esercizio di un generale potere organizzativo da parte dell’amministrazione, ma solo la posizione individuale delle lavoratrici escluse dalla tabella con riferimento alle statuizioni adottate dalla sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che,non venendo in rilievo alcun esercizio o mancato esercizio di un potere amministrativo, anche di tipo organizzatorio, ma semplicemente un atto gestorio del rapporto di natura privatistica, non sussisteva la giurisdizione amministrativa.

Risulta, pertanto, evidente che il Consiglio di stato, nel confermare la statuizione del TAR, non ha violato i limiti esterni della giurisdizione dovendosi sottolineare che, con la deduzione di eventuali errori di interpretazione del giudicato, si prospettano errori in iudicando non denunciabili in questa sede ancor più in difetto della precisa indicazione, anche mediante trascrizione della sentenza, del contenuto del giudicato di cui è chiesta l’esecuzione.

10. Ad analoghe considerazioni deve pervenirsi con riferimento ai rilievi con cui si lamenta che l’inquadramento sarebbe avvenuto ad personam, mentre la richiesta era volta ad avere la modifica/ integrazione della tabella di equiparazione da parte degli organi competenti indicati dalla legge Al Consiglio di stato ha rilevato, a riguardo, che la censura ” sul piano del petitum sostanziale e della causa petendi è finalizzata, in realtà ad evidenziare un vizio di incompetenza degli atti qui censurati in rapporto alla specifica posizione delle stesse ricorrenti (la loro necessaria inclusione nelle tabelle ministeriali)quale riconosciuta ormai, con efficacia di giudicato, dalla sentenza n 12244 del 2014 del TAR per il Lazio” e che, pertanto, non veniva in rilievo ” nemmeno in forma mediata, alcun esercizio o mancato esercizio di un potere amministrativo, anche di tipo organizzatorio, ma semplicemente un atto gestorio del rapporto (il lamentato, specifico, erroneo inquadramento delle interessate nei ruoli del Ministero con una qualifica ritenuta non consona alle loro mansioni)”.

Anche sotto tale secondo profilo, eventuali errori, nei quali il Consiglio di stato sia incorso nell’esercizio della funzione giurisdizionale ad esso attribuita, si collocherebbero,comunque; nel distinto ambito dei limiti interni della giurisdizione,estraneo alla verifica attribuita a queste Sezioni unite.

11. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Non si deve provvedere sulle spese processuali atteso che il Ministero dell’Interno e quello dell’Economia sono rimasti intimati.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara estinto il giudizio della D.V.; rigetta il ricorso della V.; nulla spese per le parti rimaste intimate Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente V. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2018

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