Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3261 del 09/02/2018


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Cassazione civile, sez. I, 09/02/2018, (ud. 29/09/2017, dep.09/02/2018),  n. 3261

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 21 giugno 2013, in riforma della sentenza impugnata, ha accolto la domanda subordinata di T.A., D.C.M. e T.B. nei confronti di Cassa di Risparmio Cesena ed ha dichiarato risolto per inadempimento dell’istituto bancario il contratto di negoziazione di obbligazioni Parmalat, relativo all’ordine di acquisto del 28 marzo 1999, disponendo la restituzione della somma investita, di Euro 140000,00, oltre interessi legali.

2.- La Corte ha ritenuto dimostrata l’inadeguatezza dell’investimento e la mancanza di una corretta informazione, particolarmente necessaria avuto riguardo alle condizioni personali e finanziarie dei clienti, e indubbio che l’intermediario avesse l’obbligo di astenersi dall’effettuare l’operazione: si trattava di persone anziane che in precedenza avevano investito prevalentemente in titoli di Stato; la somma investita corrispondeva al loro intero patrimonio; l’emittente era di diritto straniero, elemento che, se non poteva far accogliere la domanda di annullamento per errore, era comunque rilevante ai fini della valutazione di pregnanza dell’onere informativo.

3.- Avverso questa sentenza la Cassa di Risparmio Cesena ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, cui si sono opposti T.A., D.C.M. e T.B..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c. e nullità della sentenza impugnata, per avere accolto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento degli obblighi informativi benchè formulata dagli appellanti per la prima volta nel giudizio di appello, anzichè dichiararne l’inammissibilità perchè domanda nuova.

1.1.- Il motivo è infondato. Gli attori nelle conclusioni dell’originario atto di citazione avevano chiesto, in subordine, l’accertamento del grave inadempimento della banca agli obblighi informativi e la condanna alla restituzione della somma investita, il che presupponeva l’azione di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., comunque chiaramente enunciata nella parte motiva della citazione, come effetto del denunciato inadempimento.

2.- Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza impugnata, per avere dichiarato la risoluzione del contratto di negoziazione, da intendere come contratto-quadro, in assenza di domanda, avendo gli attori formulato le proprie istanze esclusivamente in relazione all’ordine di acquisto.

2.1.- Il motivo è infondato, essendo insussistente la denunciata extrapetizione. Infatti, ad essere stato dichiarato risolto non è il contratto-quadro, ma il singolo contratto di investimento, cioè il contratto di acquisto dei titoli contestati, come chiarito nella sentenza impugnata (a pag. 11).

3.- Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, 26, 28 e 29 del reg. Consob n. 11522 del 1998, per avere la Corte d’appello dichiarato la risoluzione dell’ordine d’acquisto dei titoli, mentre la risoluzione sarebbe giuridicamente ammissibile, in ipotesi, solo in relazione al contratto-quadro.

3.1.- Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale l’investitore, a causa dell’inadempimento di non scarsa importanza dell’intermediario agli obblighi informativi previsti dalla legge e dai regolamenti Consob, può chiedere la risoluzione non solo del contratto-quadro, ma anche dei singoli contratti di acquisto, cioè degli ordini di investimento, aventi natura negoziale nonchè distinti e autonomi dal contratto-quadro, indipendentemente dalla risoluzione di quest’ultimo, atteso che il momento negoziale delle singole operazioni di investimento non può rinvenirsi nel contratto-quadro (Cass. nn. 12937 e 16861 del 2017, 8394 e 16820 del 2016, 23717 del 2014). Si è anche precisato che gli obblighi di informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e quelli correlati alle situazioni di conflitto di interessi – finalizzati al rispetto della clausola generale che impone all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente – assumono rilevanza per effetto dei singoli ordini di investimento, che non sono mere istruzioni date dal cliente all’intermediario ma costituiscono negozi autonomi rispetto al contratto quadro stipulato dall’investitore (Cass. nn. 20617 del 2017, 3950 del 2016).

E’ infatti rispondente alle prescrizioni della normativa primaria e regolamentare l’idea che nella fase attuativa del contratto-quadro si configurino negozi di contenuto complesso, in cui l’intermediario debba prima rappresentare all’investitore le caratteristiche e le implicazioni della singola operazione e poi, se del caso, porla in essere. Ed è conforme anche alle finalità che ispirano la suddetta normativa ritenere che, nell’economia della singola operazione, l’obbligo informativo assuma rilievo determinante, essendo diretto ad assicurare scelte di investimento realmente consapevoli: per modo che, in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio di investimento non possa trovare piena attuazione, giustificandosi la risoluzione per inadempimento del medesimo.

Si potrebbe obiettare che, essendo il contratto-quadro stato stipulato (nel settembre 2002) successivamente all’ordine di investimento, quest’ultimo, non solo, non potrebbe ritenersi esecutivo del primo ma sarebbe invalido per ragioni cronologiche, a causa della inversione della successione ex-legem degli atti costituenti l’intermediazione finanziaria. Tuttavia, sarebbe facile replicare che il nesso tra il contratto-quadro e gli ordini di investimento è di tipo funzionale, non meramente cronologico, sicchè nulla impedisce che il primo possa essere formalizzato (per iscritto) successivamente all’esecuzione degli ordini di acquisto, i quali ben possono dirsi pur sempre esecutivi del primo, quando come nella specie – non sia contestato che l’investimento sia in linea con il programma negoziale contenuto nel contratto-quadro, costituendone attuazione o sviluppo.

Inoltre, pur ipotizzando l’invalidità dell’ordine eseguito sulla base di un contratto-quadro formalizzato successivamente, il risultato – pur sempre favorevole ai clienti, i quali hanno diritto alla restituzione della somma investita – sarebbe analogo a quello ottenuto con il rimedio della risoluzione, correttamente disposta dai giudici di merito per inadempimento dell’intermediario, per avere dato esecuzione ad un ordine di investimento inadeguato, in violazione degli obblighi informativi derivanti direttamente dalla legge (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e reg. Consob del 1998 cit.).

4.- Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del reg. Consob n. 11522 del 1998, per avere statuito che l’omessa osservanza della forma scritta per la conferma da parte del cliente dell’investimento, in ipotesi, inadeguato, è elemento sufficiente per far configurare l’inadempimento della banca.

4.1.- Il motivo è inammissibile, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la sentenza impugnata fatta applicazione del principio secondo cui, in caso di operazione non adeguata, l’intermediario può darvi corso solo a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore, ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico, o su altro supporto equivalente, con esplicito riferimento alle avvertenze ricevute, ai sensi dell’art. 29, comma 3, del reg. Consob n. 11522 del 1998, dovendosi intendere detta disposizione come impositiva di un onere di forma al fine di esonerare l’intermediario da responsabilità per l’esito dell’operazione (Cass. nn. 5089 del 2016, 22147 del 2010).

5.- In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e contributo per spese generale nella misura del 15%. Doppio contributo a carico del ricorrente come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2018

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