Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32609 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 12/12/2019), n.32609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3022-2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO

2/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PICONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ORLANDO MARIO CANDIANO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1947/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 4 – 28 luglio 2017 numero 1947 la Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da M.M. nei confronti dell’INPS per il conseguimento dell’assegno di invalidità civile;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che, rinnovata la c.t.u. medico-legale, il consulente del secondo grado aveva confermato le conclusioni del c.t.u. nominato in prime cure quanto al quadro patologico.

Tali conclusioni erano adeguatamente fondate sull’esame obiettivo e sul riscontro anamnestico e strumentale; il c.t.u. aveva dato ampio conto anche delle ragioni che ostavano all’accoglimento dei rilievi critici dell’appellante.

Inoltre, con ordinanza resa all’udienza del 5 aprile 2016, la parte appellante era stata invitata ad aggiornare la documentazione dei redditi senza ottemperare all’invito. A fronte della richiesta amministrativa presentata nel 2008, dagli atti risultavano redditi per gli anni 2007 e 2008 superiori alla soglia legale;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso M.M., articolato in sei motivi, cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione della adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 112 c.p.c., impugnando la statuizione relativa al difetto di prova del requisito reddituale.

La ricorrente ha esposto di essere disoccupata dall’anno 2010, come attestato dal certificato di incollocazione e come affermato nel terzo motivo di appello; tale deduzione non era stata contestata dalle controparti, rimaste contumaci, per cui doveva ritenersi pacifica ai sensi degli artt. 416 e 167 c.p.c..

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e del D.M. 5 febbraio 1992, art. 2, nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – motivazione illogica ed apparente.

Ha esposto che con i rilievi mossi alla bozza di consulenza (pagine 3 e 4 delle osservazioni) si esponeva che il c.t.u. aveva inquadrato la depressione nel codice tabellare 2206 mentre essa doveva essere ascritta al codice 2209 (sindrome depressiva endogena di tipo medio), che prevedeva una percentuale di invalidità variabile dal 41 al 50%. Il CTU del secondo grado nei chiarimenti non contestava l’inquadramento al codice 2209 e si limitava ad affermare di avere attribuito il 40% – in luogo del 41% – per la compensazione in atto. Tale affermazione era in contrasto con le tabelle del D.M. 5 febbraio 1992, che prevedevano la percentuale minima del 41%;

– con il terzo motivo (rubricato erroneamente come secondo) – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e del D.M. 5 febbraio 1992, art. 2, nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – motivazione illogica ed apparente.

La ricorrente ha esposto di avere dedotto con il secondo motivo di appello la omessa valutazione da parte del CTU del primo grado del certificato dell’Ospedale di Putignano prodotto nel corso del giudizio, che attestava l’insorgenza di asma bronchiale e bronchite cronica recidivante. Con l’appello era stato prodotto un ulteriore certificato, chiedendo che l’asma bronchiale fosse valutata con il codice (OMISSIS) (che prevedeva una riduzione della capacità lavorativa fino al 45%).

Il C.T.U. del secondo grado aveva affermato che la diagnosi di asma bronchiale allergica del 19 ottobre 2009 non era stata confermata dal successivo certificato in data 28 maggio 2014, che poneva la diagnosi di bronchiti recidivanti, evidentemente per l’efficacia sull’asma della prescritta terapia vaccinale mentre, considerata la mancanza di qualsiasi prova di funzionalità respiratoria, le bronchiti recidivanti non avevano rilievo sulla capacità lavorativa.

La ricorrente ha affermato che il certificato prodotto nel secondo grado diagnosticava l’asma bronchiale oltre alle bronchiti recidivanti.

– con il quarto motivo (erroneamente rubricato come terzo) – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.M. 5 febbraio 1992, allegato 1, comma 1, nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – motivazione assente o apparente.

Si impugna la sentenza per non aver riconosciuto l’aumento fino a cinque punti di invalidità previsto nei casi di incidenza della invalidità sulle occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto.

Ha esposto che dall’estratto conto previdenziale risultava lo svolgimento di attività di barista o di applicata in aziende turistiche ed alberghiere.

La ricorrente ha assunto che la affermazione del ctu, secondo cui le infermità diagnosticate non avevano incidenza sulle occupazioni confacenti alle sue attitudini, era contraddetta dalla diagnosi di depressione maggiore nonchè dal certificato del 10 gennaio 2017 del Centro di Salute Mentale di Putignano, in cui si dichiaravano notevolmente compromessi l’inserimento lavorativo e le relazioni sociali;

– con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.M. 5 febbraio 1992, art. 2, nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – motivazione illogica ed apparente.

La ricorrente ha esposto di avere censurato la sentenza perchè il c.t.u. del primo grado non aveva tenuto conto, quanto alle patologie osteoarticolari, del certificato radiologico dell’Ospedale di Putignano che aveva evidenziato, oltre alle ernie discali, la spondilosi, V osteofitosi, l’osteocondrosi e l’artrosi a carico dei metameri e delle articolazioni interapofisarie.

Il c.t.u. aveva valutato al 31% l’insieme delle patologie sostenendo che, sebbene fosse evidenziato radiologicamente un quadro patologico grave, la funzionalità articolare non era gravemente compromessa.

Tuttavia il DM 5 febbraio 1992 prevedeva per i processi degenerativi osteoarticolari una percentuale fissa del 7%, con il codice 7007, diverso ed autonomo dal codice 2003, relativo alla scoliosi ed alle ernie discali;

– con il sesto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e del D.M. 5 febbraio 1992 nonchè- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – motivazione assente e apparente.

Si espone che il ctu quanto alla patologia cardiaca aveva riconosciuto per analogia il codice 6441 relativo alle miocardiopatie, che prevedeva una percentuale minima del 21%, anche in assenza di insufficienza cardiaca; illegittimamente, dunque, aveva ridotto tale percentuale dal 21% al 15%;

che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;

che, invero, con il primo motivo – evocando impropriamente il vizio di omessa pronuncia per censurare l’accertamento compiuto dalla Corte di merito quanto alla assenza del requisito reddituale della prestazione richiesta- la parte ricorrente assume che la contumacia delle controparti avrebbe reso non contestate le proprie allegazioni circa la condizione di disoccupazione, pur in assenza di documenti e nonostante l’inottemperanza all’ordine di esibizione. Il motivo è manifestamente infondato giacchè per pacifica giurisprudenza di questa Corte la contumacia integra un comportamento neutro cui non può essere attribuita valenza confessoria e comunque noni contestativa dei fatti allegati dalla controparte (tra le tante: Cass. sez. VI. 20.12.2017 n. 30545; sez. U 16.02.2016 n. 2951; sez. IV 21.11.2014 n. 24885).

Soltanto con la memoria la parte ricorrente ha dedotto che in ogni caso il certificato prodotto nel primo grado (allegato 9) documentava il proprio stato di disoccupazione nell’anno 2010; trattasi, comunque, di documento non decisivo, dovendo essere provata la complessiva situazione reddituale in aggiunta allo stato di disoccupazione.

Dal rigetto del primo motivo deriva il difetto di interesse di parte ricorrente all’esame delle ulteriori censure, dal cui eventuale accoglimento non potrebbe derivare la cassazione della sentenza, per la definitività della ratio decidendi fondata sulla carenza del requisito socio economico, ex se idonea a sorreggere il rigetto della domanda.

Peraltro ulteriore e concorrente ragione di inammissibilità deriva dal rilievo che le censure, per deducendo anche il vizio di violazione di norme, nella sostanza contestano la valutazione delle patologie compiuta dalla sentenza, in conformità all’elaborato del ctu, in punto di gravità e di incidenza sulle attitudini lavorative e, dunque, valutazioni di merito, non sindacabili in questa sede neppure sotto il profilo del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, per il giudizio conforme circa la assenza del requisito sanitario reso nei due precedenti gradi;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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