Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3260 del 10/02/2011

Cassazione civile sez. I, 10/02/2011, (ud. 11/11/2010, dep. 10/02/2011), n.3260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.F., con domicilio eletto in Roma, via Andrea Doria n.

48, presso l’Avv. Abbate Ferdinando Emilio che lo rappresenta e

difende come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il 28 febbraio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 11 novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.F. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 3.500 per anni cinque di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al Tar del Lazio dal gennaio 1995 al novembre 1998 e avanti al Consiglio di stato dal gennaio 1999 al marzo 2006.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata aita camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura l’impugnata decisione per avere ritenuto ragionevole per il giudizio di primo grado una durata di quattro anni. Il motivo è manifestamente fondato in quanto è principio acquisito quello secondo cui “La Corte Europea dei diritti dell’uomo, ai cui principi il giudice nazionale deve tendenzialmente uniformarsi nella determinazione della durata ragionevole del procedimento, ha in linea di massima stimato tale durata in anni tre per quanto riguarda il giudizio di primo grado ed in anni due per quello di secondo grado; da questi parametri il giudice può discostarsi riconoscendo una durata ragionevole maggiore o minore in considerazione della maggiore o minore complessità del procedimento” (Cassazione civile, sez. 1^, 3 aprite 2008, n. 8521) mentre il giudice a quo ha ritenuto immotivatamente di fissare in quattro anni la durata ragionevole del processo avanti al TAR pur avendo dato atto che non era di particolare complessità.

Il secondo motivo, con il quale sì deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonchè difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha determinato in Euro 700 per ogni anno eccedente il periodo ritenuto ragionevole è manifestamente fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice Europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000 ed Euro 1.500 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).

Da tali principi consegue che non è giuridicamente rilevante, ai fini dell’attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il solo riferimento alla modestia della posta in gioco.

Il terzo motivo con il quale si censura la liquidazione delle spese è assorbito, dovendosi procedere a nuova statuizione sul punto.

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte Europea (che è pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere condannata al pagamento di Euro 5.250 a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni sei di irragionevole ritardo quale risulta aumentando di un anno quello stabilito dal giudice del merito.

Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza nei rapporti tra ricorrente e Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre debbono essere compensate quelle di questa fase nei rapporti tra ricorrente e Ministero, non avendo il primo assunto specifiche difese sul punto.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 5.250, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 1190, di cui Euro 600 per diritti, Euro 490 per onorari e Euro 100 per spese, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore dei difensori antistatari; condanna altresì la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 900 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2011

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