Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32594 del 17/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 17/12/2018, (ud. 02/10/2018, dep. 17/12/2018), n.32594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19756-2014 proposto da:

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA, 259,

presso lo studio dell’avvocato MARCO PASSALACQUA, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati MARCELLO GIUSTINIANI, ANTONELLA

NEGRI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL SUDARIO

18, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PELAGGI, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO BARBARISI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 594/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/07/2013 r.g.n. 2796/2010.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che in accoglimento del ricorso proposto da G.A. aveva accertato l’illegittimità dei contratti di somministrazione intercorsi con Autostrade per l’Italia s.p.a. per lo svolgimento delle funzioni di esattore ed aveva dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed ordinato la riammissione in servizio del ricorrente condannando la società a corrispondergli le retribuzioni maturate dall’offerta della prestazione avvenuta il 26 giugno 2008 fino all’effettivo ripristino del rapporto con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.

2. La Corte di merito, nel rilevare che il primo dei contratti conclusi dal ricorrente con la società di somministrazione era giustificato dalla necessità di provvedere alla sostituzione di lavoratore assente mentre il contratto intercorso tra la società di somministrazione e la società utilizzatrice era giustificato dalla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie, ha ritenuto che la diversità delle causali fosse rilevante sul piano probatorio e che nessuna prova era stata offerta dalla società che la prestazione fosse stata resa proprio per sostituire un lavoratore assente. Ha poi escluso che fosse stata offerta la prova che il rapporto si era risolto per mutuo consenso e con riguardo alle conseguenze economiche dell’accertata nullità ha rilevato che la società non aveva formulato domanda di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre la Autostrade per l’Italia s.p.a. ed articola tre motivi ai quali resiste con controricorso G.A.. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 21, 22 e 27 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale ha erroneamente interpretato il contratto intercorso tra il lavoratore e la società fornitrice e quello commerciale tra la società fornitrice e la ricorrente utilizzatrice. Sottolinea che si tratta di contratti autonomi ma tra loro intrinsecamente collegati rispetto ai quali era doverosa una lettura unitaria e secondo buona fede che avrebbe consentito di individuare un chiaro collegamento tra la “sostituzione di lavoratore assente” contenuta nel contratto stipulato dal G. con la M. e la concomitanza di assenze per ferie nei periodi da giugno a settembre e da dicembre a gennaio posta a base del contratto commerciale intercorso tra la M. e la Società Autostrade utilizzatrice della prestazione lavorativa.

5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 21, 22 e 27 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 non essendo necessario indicare, nel contratto di lavoro tra società somministratrice ed il lavoratore, il nominativo del dipendente da sostituire. La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. essendo chiaramente evincibile dall’ambito territoriale di riferimento, dal luogo della prestazione lavorativa e dalle mansioni svolte l’effettività dell’esigenza sostitutiva.

5.1. Le due censure possono essere esaminate congiuntamente e devono essere rigettate.

5.2. Nella costruzione legale dell’istituto, così come disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 2, comma 1, lett. a), e art. 20, comma 1, e successive modifiche e integrazioni, la somministrazione di lavoro vede coinvolti tre soggetti, legati da distinti rapporti giuridici (lavoratore e somministratore, somministratore ed utilizzatore, lavoratore e utilizzatore) in virtù di due specifici contratti (il contratto di somministrazione ed il contratto di lavoro). I due contratti, pur avendo ciascuno causa ed oggetto propri, sono funzionalmente legati per la reciproca integrazione degli interessi economici sottesi e danno luogo ad una separazione fra gestione normativa e gestione tecnico-produttiva del lavoratore. La legge consente, infatti, attraverso la regolamentazione della fattispecie della somministrazione la scissione tra la titolarità giuridica e la gestione del rapporto di lavoro che fanno capo a due distinti soggetti. Sul piano interpretativo, non può essere trascurato il riferimento al D.Lgs. n. 24 del 2012, di recepimento della Direttiva n. 2008/104/CE relativa al lavoro tramite agenzia interinale e L. n. 92 del 2012, che segnano una discontinuità nel percorso di progressiva equiparazione funzionale dei due istituti. Questo nuovo corso legislativo è ispirato dalle fonti Europee di riferimento e, segnatamente, dalla Direttiva n. 2008/104/CE che, a differenza della Direttiva n. 1999/70 CE, non pone l’obiettivo della prevenzione dell’abuso del ricorso alla somministrazione. L’impiego tramite l’agenzia interinale non è considerato pericoloso ed è apprezzato come forma di impiego flessibile, in quanto può concorrere “efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili” (art. 4). La Direttiva quindi impegna gli Stati membri ad un “riesame delle restrizioni e divieti” che limitano il ricorso alla somministrazione (art. 4) presenti negli ordinamenti nazionali e che possono essere giustificati “soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi”. In linea con i tratti identificativi del contratto di somministrazione come innanzi definiti, si collocano, quindi, le pronunce di questa Corte con le quali è stato attribuito alle ragioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il significato loro proprio, di presupposti giustificativi oggettivi ed effettivamente sussistenti, distinguendo significato e ratio delle norme relative al contratto a termine ed a quello della somministrazione, non richiedendo che l’enunciazione delle ragioni risponda a quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto. A tale orientamento condivisibile questa Corte ha dato continuità con più pronunce evidenziando che in tal modo non si oblitera affatto la natura per così dire causale della somministrazione a termine, cioè la rilevanza giuridica della ragione giustificativa del termine e neppure si sottrae l’utilizzo della somministrazione a termine al controllo giudiziale che riguarda la sua oggettività, la sua effettiva esistenza, con conseguente esclusione della possibilità di fondare la somministrazione su ragioni meramente pretestuose, simulate o evanescenti (cfr. in termini Cass. 06/10/2014 n. 2101 ed ivi ampi richiami di giurisprudenza). Conseguentemente è stata ritenuta sufficiente l’indicazione contrattuale che dia conto della ragione in concreto da fronteggiare in modo intellegibile, ferma comunque la possibilità per l’utilizzatore di fornire la prova dell’effettiva esistenza delle ragioni giustificative indicate anche a posteriori in caso di contestazione (cfr. Cass. 21/02/2012 n. 2521 e 15/07/2011n. 2521). A tale conclusione si è pervenuti in esito ad una interpretazione sistematica dell’art. 20, comma 4, alla cui stregua “la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell’utilizzatore”; 21 in base al quale il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere, fra gli elementi necessari, “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all’art. 20, commi 3 e 4”; art. 27, comma 3 il quale, pur precisando che il giudice non può sindacare nel merito le scelte tecniche, organizzative o produttive in ragioni delle quali l’impresa ricorre al contratto di somministrazione, sancisce che il controllo giudiziale è limitato “all’accertamento della esistenza delle ragioni che (la) giustificano”. L’opzione ermeneutica, adottata in conformità ai dettami ed ai criteri sanciti dall’art. 12 preleggi, è volta a valorizzare una indicazione delle ragioni sottese al ricorso alla somministrazione che sia assistita da un grado di specificazione tale da consentire di verificare se esse rientrino nella tipologia cui è legata la legittimità del contratto e da rendere pertanto possibile il riscontro della loro effettività ed in tal senso è stato precisato che l’indicazione non può essere “tautologica, nè può essere generica, dovendo esplicitare, onde consentirne lo scrutinio in sede giudiziaria, il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta” (cfr. in termini Cass. 2101/2014 cit ed ivi le richiamate Cass. 03/04/2013 n. 8021, 15/07/2011 n. 15610).

5.3. Alla luce di tali premesse di carattere sistematico ritiene il Collegio che la Corte territoriale non sia incorsa nelle denunciate violazioni di legge e senza spingersi a sindacare le valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore si è limitata ad accertare, con valutazione di merito a lei riservata, senza incorrere in violazione delle norme in tema di interpretazione del contratto, che il contratto commerciale tra M. ed Autostrade s.p.a. era stato concluso per consentire il ricorso al lavoro temporaneo nel casso di “espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” come previsto dall’art. 2 del c.c.n.l. laddove invece il contratto intercorso tra la M. ed il lavoratore prevedeva il caso di “sostituzione di lavoratori assenti”. La Corte, pur evidenziando una genericità della causale contenuta nel contratto stipulato con il G., ha poi verificato che le prove articolate dalla società, che ne era onerata, non erano idonee a dimostrare l’effettività dell’esigenza sostitutiva. Ha posto in rilievo che ciò che doveva essere dimostrato non era tanto l’esistenza di assenze per ferie ma, piuttosto, la effettiva necessità di sostituzione.

5.4. In definitiva la sentenza della Corte di merito ha tenuto conto del collegamento tra i contratti; ne ha posto in rilievo la non coincidenza delle causali in essi contenute; ha spostato la sua indagine sul piano probatorio ed ha verificato, in concreto, la inidoneità delle prove articolate a dimostrare l’effettività dell’esigenza sostitutiva indicata nel contratto di lavoro.

5.5. Si tratta di ricostruzione basata su principi corretti e le censure non colgono nel segno in quanto, nella sostanza pretendono una diversa valutazione della prova articolata e dell’idoneità della stessa a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale in concreto è collegata l’assunzione del lavoratore attraverso l’esplicitazione del collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta (Cass. ord. 09/10/2017 n. 23513).

6. Con il terzo motivo si duole dell’omesso esame da parte della Corte di merito del secondo dei contratti intercorsi con il G.. Sostiene la società che la Corte ne avrebbe dovuto esaminare il contenuto e verificarne la legittimità anche al fine di accertarne l’effetto novativo rispetto al primo contratto.

6.1. La censura è inammissibile. Osserva al riguardo il Collegio che l’effetto novativo del secondo contratto, in regime di part-time, avrebbe dovuto essere dedotto sin dal primo grado mentre la stessa ricorrente deduce di aver sollevato la questione con l’appello nè d’altro canto emerge dalla sentenza o dagli atti che tale tema d’indagine fosse stato allegato e sviluppato sin dal primo grado di giudizio.

7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2018

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