Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32593 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 11/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5154/13 R.G. proposto da:

C.M., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del

ricorso, dall’avv. Franco Cicchiello, con domicilio eletto presso il

suo studio in Roma, via Alessandria, n. 119;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria della Lombardia n.

98/43/12 depositata in data 12 luglio 2012;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 11 ottobre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Fatto

RILEVATO

che:

C.M. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2003, 2004 e 2005, notificatigli quale amministratore di fatto delle società Western Trade s.r.l. e Global Trading s.r.l., esercenti l’attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti audio-video e informatici.

L’accertamento scaturiva da un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza nei confronti delle predette società nell’ambito di indagini di polizia giudiziaria in merito ad un’organizzazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di truffa.

Il contribuente deduceva che, essendo ragioniere, si era limitato a svolgere mansioni di mera gestione contabile della società Weber s.r.l. – la cui contabilità era risultata regolare – e che lo studio di cui era titolare aveva emesso fatture di vendita su indicazione delle società, ricevendo modesti compensi; l’Agenzia, invece, nel chiedere la conferma dell’accertamento perchè il contribuente era stato qualificato nel processo verbale di constatazione amministratore di fatto, sottolineava che tale ruolo risultava dimostrato nell’ambito del procedimento penale, nel quale il C. aveva definito la propria posizione con una sentenza di patteggiamento.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso, rilevando che il contribuente non aveva mai avuto la rappresentanza della società, non aveva partecipato alla ripartizione di utili o di perdite e non aveva firmato bilanci, ordini di acquisto o vendite.

Proponeva gravame l’Ufficio, che sottolineava che il C. era l’autore materiale della emissione di fatture della società cartiera Global Trading s.r.l. ed elaborava la contabilità della Weber s.r.l., che svolgeva il ruolo di “società filtro” e di intermediaria rispetto alla cessionaria finale Vargo s.r.l., e che tutte le società risultavano coinvolte nelle operazioni riscontrate come soggettivamente inesistenti.

I giudici regionali, riformando la sentenza impugnata, accoglievano l’appello, rilevando che dalle indagini espletate era risultato che lo studio contabile C. Service s.a.s. di C.M. costituiva il “fulcro” dell’organizzazione che aveva posto in essere l’attività commerciale intercorsa tra le varie società coinvolte.

Precisavano, al riguardo, che la linea telefonica dello studio veniva sistematicamente utilizzata per la trasmissione dei fax intestati alla Global Trading s.r.l. e che sui modelli Intra presentati dalla società Western Trade s.r.l. presso la Dogana di Milano risultava riportato quale numero telefonico della medesima società quello intestato allo studio contabile C.; tali elementi lasciavano ritenere che il contribuente fosse amministratore di fatto delle società, conclusione questa avvalorata dal controllo incrociato della documentazione relativa alle varie società e dalle dichiarazioni rese in sede di indagini dalla dipendente D.P.V..

Aggiungeva che la sentenza di patteggiamento emessa in sede penale a carico del contribuente per gli stessi fatti oggetto della pretesa tributaria costituiva ulteriore elemento di prova per il giudice di merito, il quale, se intendeva disconoscere tale efficacia probatoria, aveva il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione C.M., con due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di censura, il ricorrente deduce omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.

Lamenta che la decisione impugnata poggia sulle indagini svolte dalla Guardia di Finanza e aderisce acriticamente ai rilievi della polizia tributaria, richiamando gli elementi indiziari sulla base dei quali i verificatori hanno ritenuto che egli rivestisse il ruolo di amministratore di fatto; sostiene che, a fronte di tali elementi, la Commissione regionale ha del tutto ignorato che egli aveva dedotto di svolgere il ruolo di mero gestore contabile della società Weber s.r.l. e non ha chiarito i motivi per cui dovrebbe essere considerato amministratore di fatto, in difetto dell’esercizio di un’attività gestoria continuativa e direttamente incidente sull’attività della società.

2. Il motivo è inammissibile.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, richiamato anche da Cass. n. 29883 del 13 dicembre 2017, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis) deve essere dedotto mediante esposizione chiara del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero della ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, potendo rilevare solo come fatto in senso storico, e quindi come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche come fatto secondario, ossia dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale.

2.1. Peraltro, occorre ribadire che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando in tal modo prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547 del 4 agosto 2017).

2.2. Ciò comporta che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia chiaramente rinvenibile un mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando vi sia insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire di identificare l’iter logico giuridico posto a base della decisione.

2.3. Nella specie, con il mezzo in esame non si individuano in modo specifico fatti storici il cui esame da parte della Commissione regionale sia stato pretermesso o sia stato insufficiente, ma si tende piuttosto, riproponendo le medesime circostanze di fatto già esaminate dal giudice di merito, ad ottenere una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella operata dalla Commissione regionale.

2.4. Non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità neppure la dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., pure contestata con il motivo in esame, in quanto è pacifico in giurisprudenza che la denuncia di violazione della predetta disposizione normativa solo apparentemente si traduce in un vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, costituendo piuttosto denuncia di un errore di fatto da far valere attraverso il vizio motivazionale, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 19064 del 5/9/2006; Cass. n. 15107 del 17/6/2013; Cass. n. 23940 del 12/10/2017).

Deve, quindi, escludersi che possa essere sindacato dinanzi a questa Corte, sotto le apparenti spoglie del vizio di violazione di norma di diritto, il vizio di insufficiente motivazione, poichè non sono denunciabili, attraverso la presunta violazione dell’art. 116 c.p.c., asseriti errori di convincimento attinenti alla rilevanza attribuita dal giudice di merito a talune questioni o argomentazioni attraverso le quali si articola l’apprezzamento delle prove complessivamente acquisite (Cass. n. 21152 del 8/10/2014), rimanendo in ogni caso precluso in questa sede l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori.

3. Con il secondo motivo, il contribuente censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 444 c.p.p. e per omessa motivazione circa un fatto controverso del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui i giudici di appello hanno attribuito rilevanza alla sentenza di patteggiamento pronunciata a suo carico, che non spiega effetti nel giudizio civile.

3.1. La censura è infondata.

La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cosiddetto “patteggiamento”) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento (Cass. Sez. 5, sentenza n. 24587 del 03/12/2010).

I giudici regionali non si sono discostati dal principio sopra richiamato e pertanto, anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata va esente dalle censure ad essa rivolte.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in assenza di attività difensiva dell’Agenzia delle Entrate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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