Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3259 del 10/02/2011

Cassazione civile sez. I, 10/02/2011, (ud. 11/11/2010, dep. 10/02/2011), n.3259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

COMPAGNIA MERIDIONALE CAFFE’ S.p.a e T.G., con

domicilio eletto in Roma, via Alessandro Malladra n. 31, presso

l’Avv. Iaria Giovanni, rappresentati e difesi dall’Avv. Catabretta

Paolo, come da procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Messina

depositato il 6 marzo 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 11 novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La COMPAGNIA MERIDIONALE CAFFE’ S.p.a e T.G. ricorrono per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha accolto parzialmente il loro ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata di due processo svoltisi il primo in sede civile e il secondo in sede penale avanti al Tribunale e alla Corte d’appello di Catania.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dai Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo e il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, con i quali si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione deducendosi che la Corte d’appello non avrebbe correttamente determinato la durata del processo sulla quale parametrare il danno in quanto ha ritenuto di dover considerare solo il tempo eccedente la ragionevole durata mentre, una volta constato che quest’ultima era stata superata, avrebbe dovuto rapportare l’indennizzo all’intera durata del processo in ossequio alla giurisprudenza della Corte Europea sono manifestamente infondati alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte Europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione Europea dei diritti dell’uomo (Sez. 1, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

Il terzo motivo con il quale si deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo per avere il giudice del merito liquidato in poco più di 1.000 Euro in ragione d’anno l’indennizzo per il danno morale subito dalla società ricorrente è manifestamente infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte Europea (che è pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, cui consegue che, essendo la liquidazione in concreto operata superiore allo standard minimo, deve ritenersi congrua anche alla luce della rilevanza degli interessi in gioco.

Le stesse considerazioni portano a ritenere manifestamente infondato anche il quarto motivo con cui si censura l’insufficiente liquidazione del danno morale patito dal T., posto che il giudice del merito ha quantificato il danno in misura ampiamente superiore allo standard minimo.

Manifestamente fondato è invece il quinto motivo con cui si censura il riconoscimento degli interessi solo a far tempo dalla data della pronuncia del decreto, posto che è principio già affermato dalla Corte quello secondo cui “Ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il diritto ad un’equa riparazione in caso di mancato rispetto del termine ragionevole del processo, avente carattere indennitario e non risarcitorio, non richiede l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 cod. civ., nè presuppone la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente;

esso è invece ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cioè di un evento “ex se” lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole, l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione configurandosi, non già come obbligazione “ex delicto”, ma come obbligazione “ex lege”, riconducile, in base all’ari. 1173 cod. civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico. Dal carattere indennitario di tale obbligazione discende che gli interessi legali possono decorrere, semprechè richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del predetto carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere invece accordata” (Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 8712 del 13/04/2006).

L’accoglimento del quinto motivo comporta la cassazione in parte qua del decreto impugnato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto condannato il Ministero della Giustizia al pagamento anche degli interessi, in misura legale, dalla data della domanda al saldo.

Le spese della fase di merito seguono la soccombenza. Tenuto conto dell’accoglimento solo parziale del ricorso e solo in punto interessi le spese di questa fase possono essere compensate in ragione della metà e posta per il residuo a carico dell’Amministrazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa in parte qua il decreto impugnato e condanna il Ministero della Giustizia al pagamento anche degli interessi in misura legale dalla data della domanda al saldo, oltre al pagamento delle spese processuali del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 1.720,60, di cui Euro 14,60 per spese, Euro 516 per diritti e Euro 1.190 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge;

compensa per un mezzo le spese del giudizio di legittimità, che per l’intero liquida in complessivi Euro 600, di cui Euro 500 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e condanna l’Amministrazione alla rifusione del residuo.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2011

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