Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32589 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13947/2014 R.G. proposto da

Tergi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Azzarito e dall’Avv.

Monica Schipani, con domicilio eletto presso lo studio, in Roma,

Piazza Melozzo da Forlì 9, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 87/52/2013, depositata l’8 aprile 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla Tergi s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente, che aveva impugnato l’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2003, ai fini Iva, determinando minori componenti negativi, a seguito della partecipazione della società ad una “frode carosello”, costituita dalla Deter Cash di C.S. s.a.s., la quale aveva svolto la funzione di cartiera, con vendita dei prodotti alla Tergi s.r.l. e con emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Pertanto, non era stata riconosciuta la detraibilità della somma di Euro 35.468,11 ai fini Iva.

Per il giudice di appello era evidente che la merce era stata fornita dalla Gambardella Cash, mentre le società intestatarie delle fatture si erano solo interposte per far ottenere il rimborso Iva. I legali rappresentanti delle società avevano, infatti, riferito di non avere avuto alcun contatto con la contribuente. Il soggetto cedente, quindi, aveva agito solo quale prestanome, risultando dedito in via esclusiva alla produzione di fatture di comodo, occultando i veri soggetti economici operanti. Era pacifico in atti che il processo penale si era definito con “un verdetto…sfavorevole nei confronti del legale rappresentante”. Inoltre, le società che avevano emesso le fatture non avevano presentato dichiarazione Iva, nè effettuato versamenti, e non erano dotate di proprie strutture aziendali.

2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società. 3.Resta intimata l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione la Tergi s.r.l. deduce “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19,21,23 e 28 in combinato disposto con gli artt. 167, 168, lett. a), e art. 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto, in tema di Iva, in caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, spetta all’amministrazione dimostrare che il contribuente, nel momento in cui ha acquistato il bene, sapesse o potesse sapere, con l’uso della ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode. Nel caso in esame la buona fede della contribuente risulta dalla circostanza che per l’anno 2004 ha dichiarato un volume di affari di Euro 15.341.457,00 entrando in contatto con centinaia di soggetti economici, ma solo la Detersud ha agito fuori dalle regole. Questa società, poi, vendeve beni a prezzi solo leggermente vantaggiosi rispetto a quelli di mercato (5 % in meno del mercato). Nè i giudici di primo e secondo grado hanno indicato gli elementi da cui desumere che la contribuente non aveva agito in buona fede. La società ha iniziato con piccoli ordini e solo dopo avere accertato la affidabilità della cedente, ha effettuato ordini maggiori. L’Amministrazione non ha fornito la prova, neppure presuntiva, di elementi di fatto che caratterizzavano la frode e la partecipazione ad essa della contribuente o la sua consapevolezza.

1.1.Il motivo è fondato.

1.2.Quanto alla possibilità di detrarre ai fini Iva gli importi delle fatture passive emesse per operazioni soggettivamente inesistente, deve valutarsi l’applicazione, ai fini Iva, della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis come modificato dal D.L. n. 16 del 2012.

1.3.In relazione, alla deducibilità dei costi da attività illecita, la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 2, comma 8 ha inserito L. n. 537 del 1993, comma 4 bis dopo il comma 4, in base al quale “nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi,…. non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti”. Pertanto, con la L. n. 289 del 2002 si è prevista la non deducibilità di costi o spese riconducibili a “reati”.

1.4. Il D.L. 16 del 2012, art. 8, sostituendo la L. n. 537 del 1993, comma 4 bis, ha, invece reso possibile, a determinate condizioni, la deducibilità di costi collegati a reati, con esclusione però dei costi e delle spese “direttamente utilizzati” per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. In particolare, il nuovo L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, dopo il D.L. n. 16 del 2012, prevede che “nella determinazione dei redditi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, art. 6, comma 1,…. non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p.. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p. ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 c.p.p., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”.

Al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, si prevede che “ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese e/o altri componenti negativi”.

Sul punto, per questa Corte, in tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, ove direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass., 20 novembre 2013, n. 25967).

Il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 3, poi, detta la disciplina transitoria, con effetto retroattivo delle norme se più favorevoli al contribuente (” le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che provvedimenti emessi in base al citato comma 4 bis previgente non si siano resi definitivi”), con rilievo anche d’ufficio da parte del giudice (Cass., 661/2014; Cass., 26461/2014; Cass., 19617/2018).

1.5.Pertanto, l’indeducibilità sostanziale dei costi opera solo per i costi inerenti l’acquisto di beni e servizi direttamente utilizzati per la commissione di delitti non colposi; sicchè non è sufficiente per escludere la deducibilità dei costi che gli stessi afferiscano genericamente alla commissione del reato doloso, ma è necessario che siano stati sopportati per acquisire beni direttamente utilizzati

per la commissione di reati dolosi.

Il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, non concerne i costi relativi ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, mentre trova applicazione per i costi relativi a fatture soggettivamente inesistenti, in quanto in tale seconda ipotesi il costo riportato in fattura è effettivo e, di regola, non è utilizzato per la commissione di alcun reato.

1.6.La disciplina dell’art. 8, però, non riguarda la disciplina Iva, sicchè con riferimento alle fatture passive soggettivamente inesistenti, permane la indetraibilità di tale imposta ove il contribuente non dimostri la sua buona fede e quindi l’estraneità alla frode nel cui ambito tali fatture siano state emesse.

1.7.Pertanto, per questa Corte, a norma della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1 (conv. in L. n. 44 del 2012), poichè nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, bensì per essere commercializzati, non è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni anche ove ricorrano i presupposti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., 24426/2013; Cass. 13803/2014; Cass. 10167/2012; Cass. 12503/2013; Cass. 25249/2016; Cass. 16528/2018).

Ne consegue, dunque, che ai soggetti coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, in relazione alla novella, a fini della imposte dirette, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti (Cass., 27566/2018).

1.8.Per questa Corte, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere (in tal senso anche Corte di Giustizia UE 22 ottobre 2015, causa C-277/14 PPUK; anche 15 luglio 2015, causa C-159/14 Koela -N; 15 luglio 2015, causa C-123/14 Itales; 13 febbraio 2014″ in causa C-18/13 Maks Pen Eood; 21 giugno 2012, in causa C-80/11 e C-142/11, Mahageben et David;), con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873).

Pertanto, in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., 14 marzo 2018, n. 6291; Cass., 28 marzo 2018, n. 7613).

L’Amministrazione finanziaria non può limitarsi a dimostrare l’inidoneità operativa del cedente, ma deve dimostrare altresì che il cessionario quantomeno fosse in grado di percepire (“avrebbe dovuto”) tale inidoneità in base alla sua diligenza specifica quale operatore medio del settore (Cass., 6864/2016). Più in generale l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare (in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi; Cass., n. 155044 e n. 20059 del 2014) che il cessionario o committente si trovasse di fronte a circostanze indizianti dell’esistenza di irregolarità nell’operazione.

1.9.Per questa Corte, poi, in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontra bili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426; in tema di frodi carosello vedi Cass., 26464/2018, che richiama Cass., 9721/2018 e Cass., 9851/2018).

1.10AI motivo di ricorso, che si profila al limite della autosufficienza, con una scarna esposizione dei fatti di causa, incentra le sue critiche proprio sulla mancata dimostrazione da parte della Agenzia delle entrate della consapevolezza della frode carosello da parte della Tergi s.r.l., in quanto il giudice di appello si è solo soffermato sulla circostanza che, trattandosi di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, non era possibile la detrazione dell’Iva, senza esprimere alcuna valutazione sulla circostanza, di per sè dirimente, relativa alla possibilità per la Tergi s.r.l. di rendersi conto dell’irregolarità della operazione e delta sussistenza della frode carosello.

2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la contribuente già in primo grado aveva dimostrato la sussistenza della sua buona fede con una “esposizione logica ed esauriente che consentiva una chiara e compiuta cognizione dei fatti”.

2.1.Tale motivo è assorbito, in ragione dell’accoglimento del primo motivo.

3.La sentenza impugnata, che attiene all’Iva 2003, deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che si dovrà attenere al seguente principio di diritto: “In tema d’IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l’inesistenza del fornitore, ma anche, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il cessionario sapeva (o avrebbe potuto sapere), con l’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di detta consapevolezza e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”, e che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 dicembre 2019

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