Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32584 del 17/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 17/12/2018), n.32584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19520/2015 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso la Signora ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso

dagli avvocati ANTONINO CATANZARO LOMBARDO, VINCENZO FARINA;

– ricorrente –

contro

B.B. SOCIETA’ SEMPLICE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI

DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato BARBARA RIZZA,

rappresentata e difesa dall’avvocato CESARE AMATO;

– controricorrente –

contro

M.A., M.S., M.M., G.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NIZZA 45, presso lo studio

dell’avvocato CARLO BORROMEO, rappresentati e difesi dagli avvocati

FEDERICO ITALIA, M.A.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 734/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/05/2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

A.A. ricorre a questa Corte, con atto articolato su due motivi e notificato il 29/06/2015, per la cassazione della sentenza n. 734 del 13/05/2014 della Corte di appello di Catania, con la quale è stato rigettato il suo appello contro la reiezione, ad opera del Tribunale di Siracusa, della sua domanda di declaratoria del diritto al riscatto legge L. n. 590 del 1965, ex art. 8,del fondo rustico, da lui coltivato, alienato da M.A. (anche in nome e per conto degli altri comproprietari S. e M.M., nonchè G.C.) alla società semplice B.B. di A.E. con rogito del 15/04/2003 e per il prezzo, addotto come simulato in quanto quadruplicato rispetto a quello di mercato, di Euro 200.000;

resistono con separati controricorsi gli alienanti M.- G. e l’acquirente A., quale legale rappresentante della s.s. B.B.;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

in prossimità dell’adunanza camerale del 13/09/2018 il ricorrente deposita atto di rinuncia notificato ai controricorrenti, ma sia la B.B. che i M.- G. depositano memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p., dichiarando di non accettare la rinuncia ed anzi chiedendo nei confronti dell’ A., oltre alla condanna alle spese, anche quella ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la rinuncia è rituale, poichè formulata in atto univoco in tal senso e sottoscritto dal ricorrente e comunque dal loro difensore in questa sede, da qualificarsi munito dei relativi poteri: sicchè deve trovare applicazione l’art. 391 c.p.c.;

anche in considerazione della mancata accettazione delle controparti, è peraltro indispensabile provvedere sulle spese del giudizio di legittimità: al riguardo dovendo farsi applicazione dei criteri della soccombenza virtuale;

il ricorrente (che si era doluto: col primo motivo, di “violazione e falsa applicazione degli artt. 1414,1415,1417 e 2727 c.c.e art. 2729 c.c. e della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4”; col secondo motivo, di “violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”) ha in sostanza censurato la ricostruzione in fatto operata dalla corte territoriale sull’esclusione del dedotto carattere simulato della clausola della compravendita relativa al prezzo e sollecitato a questa Corte una rivalutazione del materiale istruttorio, onde pervenire ad una conclusione collimante con le sue aspettative;

tanto è però sempre precluso in questa sede, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione; sul punto, basti un richiamo a Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, che in modo espresso si soffermano pure sui limiti assai ristretti entro i quali può ancora contestarsi il ricorso o il mancato ricorso a presunzioni: limiti che con tutta evidenza non sono superati nella specie, involgendo il riesame sollecitato un approfondito confronto tra diversi elementi;

in sostanza, gli apprezzamenti di fatto – se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – rimangono comunque istituzionalmente riservati al giudice del merito per consolidato insegnamento (su cui, per tutte, v. Cass. Sez. U., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti);

e sul punto – in disparte il rilievo che, quanto alla doglianza imperniata sulla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorso non è in linea con le chiare indicazioni di Cass. 11892/16 e, in motivazione, di Cass. Sez. U. n. 16598/16 – neppure è rispettato il canone, fissato da Cass. Sez. U. n. 1785/18, per la deduzione della violazione in iure dei paradigmi normativi sulle presunzioni semplici: nella specie, il ricorrente deduce l’erroneità del mancato ricorso a presunzioni in riferimento a due fatti, ma non deduce in ricorso alcunchè sulla sussistenza dei caratteri di cui all’art. 2729 c.c., semplicemente prospettando una diversa ricostruzione in fatto quale esito dei pretesi ragionamenti presuntivi prospettati;

nè avrebbe giovato al ricorrente l’invocazione dei principi del giusto processo, visto che il giusto processo non è certo quello che si conclude con esito favorevole al ricorrente, ma solo quello in cui sono rispettate le regole processuali a tutela delle contrapposte posizioni: cosa che, con la discrezionalità necessariamente riconosciuta al giudice del merito e di cui questo non si è certo avvalso in modo censurabile in questa sede (secondo i limiti intrinseci della progressione dei gradi di giudizio) nè palesemente arbitrario o contrario a canoni argomentativi elementari, è appunto accaduta nella fattispecie, benchè con esito contrario a quello auspicato dalla parte;

il ricorso non avrebbe potuto sottrarsi così ad una pronuncia di inammissibilità: sicchè il ricorrente rinunciante va ora condannato alle spese del giudizio di legittimità in dipendenza della sua soccombenza virtuale e secondo i parametri specifici per quello previsti, in favore dei controricorrenti (e, per gli alienanti, tra loro in solido, attesa l’identità della posizione processuale, ma tenendo conto della pluralità di parti difese dall’unico professionista);

va poi esaminata la domanda di condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., avanzata dai controricorrenti: ma essa non può accogliersi;

infatti, la peculiare disciplina della rinuncia nel giudizio di legittimità, statuendo l’art. 391 c.p.c., che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione “può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese”, va correttamente interpretata – ai fini della maggiore agevolazione possibile della definizione di quel giudizio, già ad impulso ufficioso, senza ulteriore impegno della Corte e quindi per superiori esigenze di economia processuale – nel senso della limitazione del potere di applicare, della regolamentazione complessiva delle spese di cui all’art. 91 e ss. codice di rito, anche la peculiare norma dell’art. 96 c.p.c.;

quest’ultima, invero, in ciascuna delle tre ipotesi regolate, presuppone comunque una peculiare e non certo sommaria o superficiale complessiva valutazione della condotta della parte a cui carico quella condanna è richiesta: valutazione di profondità e struttura tali da dirsi preclusa, se non altro appunto in questo frangente e per le peculiarità del giudizio di legittimità, a questa Corte, chiamata a verificare solo la ritualità della rinuncia stessa, la quale ultima prevale su qualunque altra valutazione, quand’anche di inammissibilità od improcedibilità (in tale ultimo senso, superando l’opposto e più risalente orientamento, Cass. Sez. U. ord. 16/07/2008, n. 19514, seguita poi, tra molte altre, da: Cass. Sez. U. 20/11/2008, n. 27538; Cass. ord. 26/03/2010, n. 7242; Cass. ord. 25/01/2012, n. 1083);

in tal caso l’equilibrio tra ius litigatoris e ius constitutionis, tra l’altro per condivisibili fini deflettivi, resta sbilanciato a favore del primo quanto ad effetti nella concreta fattispecie processuale, ma il secondo rimane del tutto adeguatamente tutelato con la possibilità, ove ne sia il caso, di una pronuncia del principio di diritto nell’interesse della legge (in tale ultimo senso v. già Cass. Sez. U. ord. 06/09/2010, n. 19051);

pertanto, le dette domande non possono accogliersi, in applicazione del seguente principio di diritto: “nel giudizio di legittimità, al deposito di rituale atto di rinuncia da parte del ricorrente non può conseguire, nel provvedimento che dichiara l’estinzione, la pronuncia di un provvedimento ai sensi dell’art. 96 c.p.c., in quanto le fattispecie da questo regolate involgono una peculiare e non superficiale complessiva valutazione della parte a cui carico quella condanna è richiesta: ciò che, riscontrata la ritualità della rinuncia, è precluso alla Corte per la peculiarità del giudizio dinanzi ad essa, prevalendovi l’immediatezza del rilievo estintivo della rinuncia anche sulle altre valutazioni pregiudiziali e preliminari in rito, quali l’inammissibilità o l’improcedibilità”;

peraltro, l’esito del giudizio, diverso dall’integrale reiezione in rito o nel merito, esclude l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione (Cass. ord. 30/09/2015, n. 19560; Cass. Sez. U. 11/06/2018, n. 15102).

P.Q.M.

dichiara estinto il giudizio. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida: in favore di A., S. e M.M., nonchè G.C., tra loro in solido, in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; in favore di A.E. nella qualità di cui in atti, in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2018

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