Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3258 del 10/02/2011

Cassazione civile sez. I, 10/02/2011, (ud. 19/10/2010, dep. 10/02/2011), n.3258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.G.M., V.M., D.R., G.G.

M., GU.Gu., M.A., con domicilio eletto in

Roma, via Giuseppe Ferrari n. 4, presso gli Avv.ti CORONAS Salvatore

e Coronas Umberto, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI e MINISTERO DELLA ECONOMIA E

DELLE FINANZE;

– intimati –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il giorno 11 giugno 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 19 ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.G.M. e altri indicati in epigrafe ricorrono per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello che ha rigettato il loro ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti alla Corte dei Conti, Sezione del Lazio, dal 28 gennaio 2000 al 21 luglio 2005.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere preliminarmente rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che non è stato parte nel giudizio di merito e che non può essere considerato successore ex art. 111 c.p.c. della Presidenza del Consiglio dei Ministri, avendo acquistato legittimazione passiva esclusiva solo per i procedimenti ex lege n. 89 del 2001 proposti successivamente all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006.

Con i tre motivi del ricorso nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che possono essere trattati congiuntamente in quanto attengono alla stessa questione valutata sotto di diversi profili, si censura l’impugnato decreto per avere escluso che il processo presupposto abbia avuto una durata irragionevole essendosi protratto “per circa quattro anni”.

I motivi sono manifestamente fondati.

Premesso che la sentenza che ha definito il giudizio avanti la Corte dei Conti è stata pubblicata il 21 luglio 2005 (come risulta dalla stessa motivazione del decreto) la pronuncia è censurabile sia per avere preso in considerazione, quale termine finale, quello della deliberazione (oltretutto erroneamente indicato nel 27 aprile 2004 in luogo del 27 aprile 2005) invece di quello della pubblicazione della sentenza che definisce il giudizio, sia per avere comunque valutato come termine ragionevole quello di quattro anni, discostandosi immotivatamente dagli standards indicati dalla Corte europea.

Il ricorso deve dunque essere accolto e quindi cassato il decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere condannata al pagamento di Euro 1.875 in favore di ciascuno dei ricorrenti, oltre interessi dalla domanda, a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni due e sei mesi di irragionevole ritardo (dal febbraio 2003 al luglio 2005, come richiesto).

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie quello nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrente della somma di Euro 1.875, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 806, di cui Euro 311 per diritti, Euro 445 per onorari e Euro 50,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge, e di quelle della fase di legittimità che liquida in complessivi Euro 600, di cui Euro 500 per onorari, oltre spese generali accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2011

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