Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32569 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 12/12/2019), n.32569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26417/2014 R.G. proposto da:

A.V.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Ivan Pera,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via G.

Battista Vico n. 22 (studio Avv. Gianluigi Oranges), giusta procura

speciale a margine del ricorso);

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 1619/2014 depositata il 27-3-2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre

2019 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti di A.V.E., per l’anno 2006, con il metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, determinando il reddito in Euro 494.451,96 (poi ridotto ad Euro 368.185,29 a seguito di provvedimento in autotutela), soprattutto in relazione all’acquisto della nuda proprietà di azioni della Azienda Agricola PIME in data 8-5-2007 (Euro 290.940,00) e della Azienda Agricola S.Andrea ed in data 24-7-2008 (Euro 1.209.855,18), per un totale di incrementi patrimoniali nel quinquennio 2006-2010 per Euro 2.182.795,00. Nell’avviso di accertamento si teneva conto anche dell’assegno ricevuto per il mantenimento dei figli pari ad Euro 22.593,00, riconosciuto in diminuzione del reddito accertato.

2.La contribuente proponeva ricorso evidenziando che, contrariamente a quanto riportato nei contratti di cessione della nuda proprietà delle azioni, non vi era stato il pagamento di alcun corrispettivo, trattandosi di due donazioni, come risultava dalle dichiarazioni sostitutive di atto notorio della madre e del padre, anche perchè non risultavano pagamenti negli estratti conto bancari.

3.La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva in parte il ricorso, ritenendo che vi erano state due donazioni in favore della contribuente, anche perchè le parcelle del notaio erano state pagate dal genitore cedente.

4.La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello principale proposto dalla Agenzia delle entrate e rigettava l’appello incidentale del contribuente. In particolare, quanto all’appello incidentale del contribuente, il giudice di appello riteneva insussistente l’obbligo del contraddittorio preventivo, introdotto solo con il D.L. n. 78 del 2010, quindi per i redditi dal 2009 in poi. Quanto all’appello principale della Agenzia delle entrate, si affermava che la contribuente non aveva fornito la prova idonea a superare la presunzione di onerosità delle cessioni della nuda proprietà delle azioni, non essendo sufficienti a tal fine nè gli estratti conto bancari, nè le dichiarazioni sostitutive di atto notorio dei genitori della ricorrente. Inoltre, sempre quanto all’appello incidentale della contribuente, era nuova l’allegazione in ordine alla mancata considerazione del reddito dell’intero nucleo familiare, comprensivo del convivente.

5.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente.

6.L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione della Carte dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, n. 2 lett. a) – artt. 47 e 48 in relazione agli artt. 53 e 97 Cost., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto insussistente l’obbligo per l’Agenzia delle entrate di espletare il contraddittorio preventivo con la contribuente.

1.1. Tale motivo è infondato.

Invero, per questa Corte, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale (Cass., 31 maggio 2016, n. 11283; Cass., sez.un., 24823/2015).

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “nullità del procedimento sub R.G. 4186/13 avanti la CTR Lombardia e della sentenza n. 1619/2014 impugnata con il presente atto per error in procedendo ex art. 22, comma 1 e art. 53, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto il ricorso in appello depositato dall’Agenzia delle entrate nel fascicolo d’ufficio del procedimento sub R.G. 4186/13 era privo dei “tagliandini” di spedizione oltre che dell’attestazione di deposito nel termine perentorio di 30 giorni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1 e art. 53, comma 2.

2.1.Tale motivo è infondato.

Invero, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente (o dell’appellante), che si avvalga per la notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (Cass., Sez.Un., 29 maggio 2017, n. 13452).

L’art. 22, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992, richiamato per l’appello dal medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 comma 2, prevede che “il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità, deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita…l’originale del ricorso notificato…ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale”.

Pertanto, per questa Corte, a sezioni unite (Cass., 2017/13452), nel processo tributario, non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso (o dell’appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l’appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purchè nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l’avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione; invece, in loro mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull’avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell’appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto (o della sentenza).

Nella specie, dagli atti del fascicolo emerge, da un lato che l’appello è stato notificato alla contribuente in data 19-7-2013 (cfr. documento N del fascicolo delle allegazioni di parte, costituzione in giudizio ed appello incidentale di A.V. “alle richieste avanzate dall’appellante Ufficio con l’appello prot. 214224/2013 notificato in data 19 luglio 2013, RGA n. 4180/2013 del 31-72013”) e, dall’altro, che l’appello, dopo la notifica, è stato depositato il 31-72013.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. – 2700 c.c. – 2729 c.c. in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto che il rogito notarile fa fede, fino a querela di falso, dell’onerosità delle operazioni di cessione. In realtà, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità l’accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 si fonda su presunzioni semplici, sicchè dalla dichiarazione contenuta nelle due cessioni emerge che le somme erano state già erogate in favore dei cedenti dalla contribuente. La contribuente, però, ha ottemperato all’onere di fornire la prova contraria rispetto all’intervenuto pagamento asserito dal padre e dalla madre negli atti notarili, pur avendo, il fatto contrario da provare (assenza di pagamento), carattere negativo. Tale prova contraria è anch’essa presunzione semplice. Il giudice di appello, invece, ha trascurato di esaminare i documenti bancari.

3.1.Tale motivo è infondato.

Invero, la motivazione del giudice di appello è sorretta da due diverse argomentazioni giuridiche. Infatti, da un lato, la Commissione regionale ha affermato che l’atto notarile fa prova fino a querela di falso che i genitori della contribuente, dinanzi al notaio, al momento della stipulazione delle cessioni della nuda proprietà delle azioni, hanno dichiarato di avere ricevuto il pagamento, e dall’altro, il giudice del gravame ha affermato che la presunzione di onerosità proveniente da tali dichiarazioni genitoriali, non era stata superata nè dagli estratti conto bancari, nè dalle dichiarazioni sostitutiva di atto notorio dei due genitori, alle quali poteva essere riconosciuto mero valore indiziario.

Pertanto, il giudice di appello ha ritenuto la maggiore credibilità di quanto dichiarato solennemente davanti al notaio, rispetto a quanto i genitori dichiarano successivamente in favore della figlia raggiunta da accertamento tributario.

Inoltre, poichè l’Ufficio, con l’accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, può avvalersi della presunzione legale relativa, in base alle quale la spesa per incrementi patrimoniali si considera sostenuta con redditi conseguiti in quote costanti nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti (Cass., 16 maggio 2017, n. 12207), la contribuente, come affermato dal giudice di appello, non ha fornito la prova contraria, non essendo idonei in tal senso nè gli estratti conto bancari, nè le dichiarazioni sostitutive di atto notorio da parte dei genitori.

Invero, l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, giacchè finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (Cass., 19 marzo 2010, n. 6755).

Non v’è stata, quindi, alcuna violazione del principio di distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c..

4.Non si deve provvedere sulle spese del giudizio in assenza di attività difensiva della Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 dicembre 2019

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