Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3256 del 18/02/2015

Civile Sent. Sez. L Num. 3256 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 451-2014 proposto da:

A.A.
– ricorrente –

2014

contro

3930

XX S.P.A.

Data pubblicazione: 18/02/2015

– intimata –

avverso la sentenza n. 948/2013 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 23/08/2013 R.G.N. 1184/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/12/2014 dal Consigliere Dott. NICOLA DE

udito l’Avvocato LORENZO LO CICERO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto.

MARINIS;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23 agosto 2013, la Corte d’Appello di Bologna respingeva il gravame
proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che, mentre
dichiarava l’illegittimità di un primo licenziamento alla stessa intimato il 18.9.2003 dalla
datrice di lavoro YY S.p.A già Start società di fornitura di lavoro temporaneo a r.l. e

riconoscimento delle quote di retribuzione non erogate in conseguenza delle stesse,
disattendeva la prospettazione in termini di mobbing delle condotte, assunte come
vessatorie, poste in essere dal datore, ivi comprese quelle che avevano dato causa agli
annullati provvedimenti disciplinari, negando altresì il risarcimento del danno non
patrimoniale conseguente alla dedotta violazione dell’art. 2087 c.c., e, pertanto, dichiarava
illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto che successivamente,
in data 29.1.2004, la Società datrice aveva intimato alla stessa dipendente nell’eventualità
di una decisione di invalidità del licenziamento in precedenza comunicato.
La decisione discende dall’aver la Corte territoriale ritenuto, pur in presenza del
riconoscimento da parte dell’INAIL della natura professionale della lamentata malattia, non
provata sia la violazione dell’art. 2087 c.c. – e ciò con riguardo tanto al profilo oggettivo
delle condotte denunciate, che tra l’altro avevano visto coinvolti tutti gli altri dipendenti,
quanto a quello soggettivo, attinente all’intento persecutorio ritenuto elemento
caratterizzante il mobbing, da qui derivando la declaratoria di illegittimità del
licenziamento intimato per superamento del comporto – sia il danno non patrimoniale
conseguente all’accertata illiceità dei precedenti provvedimenti sanzionatori.
Per la cassazione di tale decisione ricorre A.A., affidando ad un unico motivo
l’impugnazione, rispetto alla quale la XX S.p.A. è rmasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo, così rubricato “Omesso esame e valutazione di fatti decisivi per il
giudizio — violazione e falsa applicazione di norme di diritto in punto di comportamento del
datore di lavoro e delle regole “della civiltà del lavoro”; violazione e falsa applicazione dei
norme: art. 1175,2043, 2059, 2087, 2103 c.c., art. 185 c.p., artt. 2, 32, 41 Cost. artt. 115 e
116 c.p.c.”, la ricorrente lamenta come il convincimento espresso dal giudice in ordine
all’inconfigurabilità nella specie di una ipotesi di mobbing risulti inficiato da una
considerazione solo parziale – per di più incentrata sul comportamento illecito dell’Area
Manager incaricato della gestione della filiale di Reggio Emilia, da ritenersi, viceversa un

ora XX S.p.A nonché delle precedenti sanzioni conservative, con

mero tramite per l’attuazione di un disegno persecutorio direttamente riferibile alla Società
datrice – delle condotte pregiudizievoli denunciate dall’odierna ricorrente ed abbia
condizionato la pronunzia in ordine alla spettanza del danno non patrimoniale, con riguardo
alla quale sarebbe stato omesso di considerare come lo stesso fosse oggetto di una domanda
autonoma, in quanto connesso all’illegittimità dei provvedimenti sanzionatori di cui la
stessa Corte aveva confermato l’annullamento, con estensione della doglianza ai riflessi di

Il motivo, nelle sue diverse articolazioni, risulta comunque infondato.
In effetti la parziale considerazione degli elementi di fatto che nell’originaria
prospettazione dell’odierna ricorrente, qui ampiamente ribadita, dovevano valere a
riflettere, nella reiterazione delle denunciate condotte illecite riferibili alla stessa Società
datrice, la componibilità di un unitario disegno persecutorio da quella ideato ed attuato in
danno di Ella ricorrente, riconducibile alla fattispecie del mobbing, quale delineata
nell’interpretazione che di essa emerge dalla giurisprudenza di questa Corte, non risulta
affatto dimostrata, avendo in questa sede la ricorrente, diffusasi nella riproposizione dei
singoli episodi, del resto dalla stessa dichiarati secondari, a suo dire pretermessi dalla Corte
territoriale, del tutto omesso di evidenziare, con riguardo alla valutazione necessariamente
sintetica delle allegazioni in fatto operata dalla Corte medesima, quelle carenze dell’iter
logico giuridico dalla stessa Corte seguito nella formazione del proprio convincimento, che
sarebbero state idonee a riflettere la denunciata omessa considerazione.
In sostanza, la ricorrente si limita qui a ribadire la propria tesi secondo cui l’assunzione da
parte della Società datrice nel breve volgere di un paio di mesi di iniziative sanzionatorie
poi risultate tutte illegittime, non rifletta soltanto l’esercizio, per quanto scorretto ed
abnorme (ma si tenga conto delle considerazioni della Corte di merito, non censurate dalla
ricorrente, in ordine alla abnormità della situazione di disordine amministrativo e
organizzativo in cui versava la filiale di Reggio Emilia cui la ricorrente stessa era addetta,
al punto da indurre la Società alla decisione del commissariamento della filiale medesima,
poi interpretato con eccessivo e riprovevole rigore da chi era stato incaricato di gestirlo), di
un potere legittimamente facente capo al datore di lavoro ma valga di per sé a configurare n
termini di mobbing la condotta datoriale medesima, tesi censurabile alla stregua
dell’orientamento interpretativo di questa Corte, pur dalla ricorrente stessa richiamato, in
base al quale si ha mobbing allorché sia ravvisabile da parte del datore o di un superiore
gerarchico un atteggiamento sistematico e protratto nel tempo di ostilità verso il dipendente
che si concreti in una molteplicità di comportamenti così da tradursi in forme di

tali erronei pronunciamenti alla statuizione in ordine alle spese di lite.

prevaricazione o di persecuzione psicologica tali da indurre la mortificazione morale e
l’emarginazione del dipendente (vedi, da ultimo, in questi termini Cass. n. 22535/2014,
Cass. n. 898/2014, Cass. n. 3785/2009)
Parimenti infondata si rivela la censura relativa al mancato riconoscimento del danno non
patrimoniale che certo non deriva, come vorrebbe la ricorrente, dalla mancata
considerazione dell’essere questa oggetto di una domanda autonoma in quanto connessa

Società bensì, dal rilievo, rimasto esente da censura, in ordine alla mancata allegazione e
prova di un danno ulteriore ed afferente alla sfera morale della dipendente che le sarebbe
derivato dall’illegittimo esercizio del potere disciplinare da parte del datore, rilievo che,
stante la coerenza con la ritenuta inconfigurabilità in termini di mobbing di quell’esercizio,
si rivela legittimo, non potendo qui valere quegli elementi di fatto, anche di natura
presuntiva, cui fa generico riferimento la ricorrente, che, qualora ricorra una ipotesi di
mobbing, sarebbero idonei a sostenere la rilevabilità e la quantificazione anche in via
equitativa di quel danno ulteriore.
Di qui la congruità anche della statuizione della Corte territoriale in ordine alla condanna
alle spese di lite.
Il ricorso va dunque rigettato, senza attribuzione di spese a favore della XX
S.p.A, rimasta intimata
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 dicembre 2014
Il Consigliere est.

Il P.s.rinte

all’accertamento dell’illegittimità dei provvedimenti sanzionati irrogati alla ricorrente dalla

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