Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32554 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 30117/2014 R.G. proposto da:

Pamet s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e

difesa, dall’avv.to Domenico D’Arrigo, giusta procura in calce al

ricorso, elettivamente domiciliato in Roma, Via Prestinari n. 13,

presso lo studio dell’avv.to Paola Ramadori;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia (di seguito, per brevità CTR) n. 2367/64/11, depositata

il 06/05/2014 non notificata;

udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del

10/10/2019, dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Fabrizio Urbani Neri;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott.ssa Rita Sanlorenzo, che ha concluso per l’accoglimento dei

motivi di ricorso nn. 2 e 3.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di verifica della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle entrate, emetteva, per l’anno 2006, avviso di accertamento nei confronti della società Pamet s.r.l., con il quale veniva contestata la contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, relative a cessione di rottami, emesse da varie società cartiere (tra cui, Cometal s.r.l., Ketal s.r.l., Ornet s.r.l., Palladio di D.M., etc.).

In particolare, con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), anno 2006, veniva richiesta una maggiore IRES per Euro 1.158.272,00, una maggiore IRAP per Euro 149.171,00, ed una maggiore IVA per Euro 701.983,00, oltre sanzioni per Euro 1.158.272,00.

La società contribuente impugnava l’accertamento innanzi alla Commissione Provinciale di Brescia, che rigettava il ricorso. Eguale esito aveva l’appello proposto dalla società avverso la sentenza di primo grado, in quanto la Commissione Tributaria Regionale adita, con la sentenza di cui in epigrafe, confermava integralmente la decisione di primo grado, rigettando integralmente l’appello.

Avverso tale sentenza ricorre la società contribuente affidandosi a sei motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso di esplicitare i motivi per i quali i secondi giudici hanno ritenuto concrete le ragioni di fatto e di diritto in merito alla asserita fittizietà delle operazioni contestate.

1.2. Con il secondo motivo – rubricato: “violazione e falsa applicazione del TUIR, artt. 56 e 109, ex art. 360 c.p.c., n. 3,” – deduce l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto che gli acquisti da soggetto diverso dal fornitore indicato in fattura (falsità soggettiva delle operazioni), non sono deducibili a prescindere dall’effettiva sussistenza ed inerenza del costo. A sostegno del motivo, riporta le deduzioni difensive dei giudizi di merito e i documenti allegati nella memoria del 29 novembre 2010.

1.3. Con il terzo motivo, deduce la violazione di legge ed in particolare della L. 24 dicembre 1993, n. 597, art. 14, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, disciplina che, se rettamente applicata dai secondi giudici, avrebbe escluso dal proprio campo di applicazione, la fattispecie dell’utilizzazione di fatture per operazione cd. soggettivamente inesistenti.

1.4. Con il quarto motivo, denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per mancato esame del motivo dedotto in appello di illegittimità degli avvisi per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74, comma 7.

1.5. Con il quinto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74, comma 7, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per non aver la CTR applicato il principio, desumibile da tali disposizioni, secondo il quale in caso di fattura soggettivamente inesistente, relativa ad operazioni per le quali opera il regime del reverse charge, il pagamento dell’imposta dovuta in base alla fattura spetta esclusivamente all’emittente.

1.6. Con il sesto motivo denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, riguardante il mancato esame del motivo di appello di illegittimità degli avvisi per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, e, quindi, in buona sostanza, dell’illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni.

2. I fatti di causa originano da una verifica fiscale della Guardia di Finanza, avviatasi nell’ambito d’indagini penali, che aveva ipotizzato una serie di operazioni fittizie sottostanti a fatture emesse a favore della Pamet s.r.l. da varie società fornitrici, fraudolentemente compiute al fine di coprire acquisti di materiali ferrosi di provenienza illecita.

2.1. I giudici della CTR, con la sentenza impugnata, hanno confermato la sussistenza delle fatturazioni fittizie, di cui agli accertamenti fiscali e alle indagini penali, ritenendo che il meccanismo fraudolento risultava basato su elementi certi, posti a base dell’accertamento e non contrastati dalla prova contraria della società contribuente, quali le risultanze documentali e le prove acquisite nel processo penale (intercettazioni telefoniche); da tali elementi, la commissione regionale ha desunto che le operazioni poste in essere “erano finalizzate all’esecuzione formale di pagamenti mediante bonifici bancari o assegni tali da rendere verosimili le operazioni sottostanti per successive trasformazioni di comodo in contanti a scopo evasivo”.

2.3. A tali conclusioni, la CTR è pervenuta non solo attraverso il richiamo di alcuni fatti risultanti dalla relazione della guardia di finanza (intercettazioni telefoniche sulle attività elusive), ma anche attraverso il richiamo alle motivazioni dei primi giudici e dell’Ufficio, che ha confermato in toto, rinviando, nella parte narrativa, all’impianto logico-giuridico da codesti seguito per escludere la deducibilità dei costi (v. pag. 2 della sentenza: “in base alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, inserito dalla L. n. 289 del 2002, art. 2, comma 8, (…) nella determinazione dei redditi (…) non sono ammessi in deduzione spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabile come reato(…)”), e per delimitare le operazioni imponibili in base al meccanismo del reverse charge (v. sentenza pag. 3: “l’ufficio recuperava relativamente alle operazioni imponibili del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74, commi 7 e 8, in applicazione del reverse charge, turno che in applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1921 e 25, l’Iva… indebitamente detratta sull’imponibile”).

3. A fronte di tale motivazione, la censura di cui al primo motivo di ricorso (nullità della sentenza per carenza di motivi, in fatto ed in diritto, in merito alla asserita fittizzietà delle operazioni contestate) risulta inconferente considerato che la motivazione della sentenza impugnata indica chiaramente gli elementi circostanziali sui quali ha ritenuto provato il meccanismo fraudolento posto in essere, a scopo evasivo, dalla società contribuente. La sentenza della commissione meneghina soddisfa l’esigenza della motivazione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, consentendo l’individuazione del procedimento logico – argomentativo attraverso il quale è giunta alla decisione di rigetto dell’appello, e ciò anche se non sono state confutate tutte – le argomentazioni poste a sostegno delle tesi respinte (riportate da pagg. 8 a 20 del ricorso). Anche il rinvio alla sentenza del primo giudice e all’accertamento dell’Ufficio, si rivela legittimo, in quanto, i giudici di secondo grado, non si sono limitati ad una mera indicazione della fonte di riferimento, ma hanno compiuto un’autonoma valutazione di tali fonti per decidere la controversia nel senso dell’infondatezza dell’appello.

4. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che si esaminano congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono infondati.

4.1. Dalla complessiva lettura della sentenza, è evidente che l’indeducibilità dei costi è stata affermata per mancanza di prova atta a dimostrare l’effettiva esistenza dei maggiori costi fatturati in relazione ad attività qualificate come reato.

4.2. Secondo i principi affermati da questa Corte (da Sez. 5, Sentenza n. 1709 del 26/01/2007, Rv. 595661-01; Sez. 5, Sentenza n. 5926 del 12/03/2009, Rv. 607667-01; Sez. 6-5, Ordinanza n. 27458 del 09/12/2013, Rv. 629460-01 a Sez. 5, Sentenza n. 21184 del 08/10/2014, Rv. 632824- 01, seguita recentemente da Sez. 6-5, Ordinanza n. 14858 del 07/06/2018,Rv. 649021-01), in tema di deducibilità dei costi, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, (ora art. 109), comma 5, e di detraibilità della relativa IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili e che a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.

4.3. Detto obbligo a carico del contribuente è ancor più stringente quando detti costi derivino da operazioni soggettivamente inesistenti (v. motivazione della Commissione provinciale a pag. 7 del controricorso), avendo all’uopo la giurisprudenza di questa Corte precisato che “in tema d’imposte dei redditi, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012), che opera in ragione della cit. Disp., comma 3, quale “ius superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1, (v. relazione ministeriale di accompagnamento al D.L. cit.), ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.” (cfr. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 17788 del 06/07/2018, Rv. 649801-01; Cass. n. 26461 del 2014, Rv. 633708- 1).

4.4. Alla luce di tali principi, non può censurarsi l’operato della CTR meneghina che ha escluso la deducibilità dei costi in quanto non provati dalla società contribuente (“la quale non ha prodotto prove atte a contrastare validamente la tesi dell’Ufficio”, v. sentenza), rispettando, seppur implicitamente, lo ius superveniens più favorevole al contribuente, in quanto costi riferiti ad attività che hanno dato luogo all’accertamento di delitto non colposo sfociato – come è pacifico tra le parti – in una sentenza di patteggiamento, ex art. 444 c.p.p., relativa a reati fiscali (così come dichiarato dall’avvocatura erariale in udienza e non smentito dagli atti allegati al ricorso), laddove era onere del contribuente provare che i servizi acquistati erano stati reimpiegati nell’esercizio dell’attività d’impresa e che non erano stati utilizzati per il compimento di un delitto non colposo di natura extrafiscale (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 13800 del 18/06/2014, Rv. 63153301: “Non è dunque più sufficiente il coinvolgimento od anche la consapevolezza dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo fornitore perchè non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relative alle predette operazioni, in quanto la precedente condizione normativa di indeducibilità fondata sul mero “collegamento” tra i costi portati in deduzione e la condotta lecita, è stato sostituita dalla necessità della prova che i costi si riferiscano all’acquisto di beni o servizi che vengono direttamente utilizzati come “mezzo” o “strumento” per commettere un “delitto doloso””; in senso conf. v. Sez. 6-5, Ordinanza n. 5342 del 04/03/2013, Rv. 625406-01; Sez. 5, Sentenza n. 26461 del 17/12/2014, Rv. 633708-01; Sez. 5, Sentenza n. 16719 del 09/08/2016, Rv. 640632 -01; Sez. 6-5, Ordinanza n. 17788 del 06/07/2018, Rv. 64980101).

5. I motivi dal quarto al sesto, si esaminano congiuntamente, in quanto costituenti frammentazioni di una stessa censura, riguardante l’applicabilità del d.P.r. n. 633 del 1972, art. 21, in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74, comma 7, (norme che, nel quarto motivo, vengono invocate in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, e nel quinto, in relazione al cit. art., n. 3), nonchè l’omessa pronuncia in relazione alla legittimità delle sanzioni irrogate dall’Ufficio.

6. Il quinto motivo è fondato, esso va accolto previo assorbimento del quarto.

6.1. La ricorrente lamenta, in sostanza, che, trovando applicazione nei suoi confronti, per le operazioni di cui trattasi (cessione di rottami), il regime del reverse charge in forza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 8, come sostituito dal D.L. n. 269 del 2003, art. 35, ha errato la CTR a ritenere che al pagamento dell’imposta prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, sia tenuto il cessionario nonostante l’iva, per gli anni in contestazione, non sia stata incassata e quindi non detratta, e a ritenere, quindi, che l’Ufficio potesse recuperarla.

6.2. La questione dell’operatività del reverse charge interno, riguardante operazioni soggettivamente inesistenti relative a cessione di rottami, ha interessato questa Corte (cfr. sentenza n. 16679 del 09/08/2016, seguita, in parte, da Sez. 5, Ordinanza n. 2862 del 31/01/2019, Rv. 652333-01) che ha enunciato il principio di diritto secondo cui in tema d’iva, le operazioni di cessione compiute in regime d’inversione contabile (cd. “reverse charge”), ancorchè effettuate sotto l’apparente osservanza dei requisiti formali, sono indetraibili in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, anche soggettiva, dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata, con conseguente inesistenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta indicata in fattura.

6.3. Fermo restando il principio enunciato, che qui si condivide e sì fa proprio, la questione posta all’esame va risolta alla luce dei più favorevoli trattamenti fiscali sanzionatori introdotti dallo ius superveniens in materia d’inversione contabile nelle operazioni inesistenti e, cioè, dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, norma applicabile retroattivamente anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (v. infra par. n. 13 e seguenti).

6.4. Tale decreto legislativo, al fine di armonizzare le sanzioni con il concreto disvalore dell’illecito commesso dal contribuente, modulando la sanzione in base alla maggiore o minore gravità della condotta, ha introdotto rilevanti modifiche ad alcune disposizioni contenute nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che disciplina le sanzioni amministrative in materia d’imposte dirette, iva, e riscossione dei tributi.

6.5. In particolare, il decreto in parola, art. 15, comma 1, lett. f), ha modificato le sanzioni amministrative in materia di documentazione e registrazione delle operazioni iva, previste nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, intervenendo, soprattutto, nella disciplina sanzionatoria dell’inversione contabile per la quale ha previsto un trattamento sanzionatorio più lieve (è stato riscritto l’art. 6 cit., comma 9-bis, e sono stati introdotti tre nuovi commi 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3).

6.6. Venendo alle operazioni soggettivamente inesistenti che qui interessano, la disciplina del D.Lgs. cit., comma 9-bis.3, le include espressamente nel più favorevole trattamento sanzionatorio. Ed infatti, tale norma, nella prima parte, dispone in linea generale, che in sede di accertamento venga espunto sia il debito che il credito computato nelle liquidazioni dell’imposta (eliminando così gli effetti dell’operazione contabilizzata), come già previsto per le operazioni esenti, non imponibili e non soggette cui è stato erroneamente applicato il sistema dell’inversione contabile (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis. 3: “se il cessionario committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggetti a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta, che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il di ritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2”. La medesima norma, nel secondo periodo, stabilisce, con carattere eccezionale, le sanzioni applicabili nel caso di operazioni inesistenti, di misura compresa tra il 5 e il 10 per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 Euro (v. D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis.3: “la disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione compresa tra il cinque ed il 10 per cento dell’imponibile con un minimo di 1.000 Euro”).

6.7. Per opinione unanime di dottrina e giurisprudenza, le disposizioni introdotte nel 2015 sono coerenti con i principii sanciti dalla giurisprudenza comunitaria in materia di reverse charge, secondo cui le violazioni degli obblighi formali non possono escludere di per sè il diritto alla detrazione del contribuente, pena la violazione del principio di neutralità dell’imposta (Ecotrade, cause riunite C-95/07 e 96/07, Idexx, causa C-590/13; Equoland, causa C-272/2013), principi cui si è uniformata da tempo questa Corte (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 5072 del 2015; Sez. 5, Sentenza n. 7576 del 2015; Sez. 5, Sentenza n. 4612 del 09/03/2016, Rv. 639034-01).

6.8. Orbene, non v’è dubbio che il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis. 3, – norma, si ripete, di carattere eccezionale che definisce gli aspetti procedimentali della violazione e stabilisce le sanzioni ad essa applicabili – si applica, nel rispetto del principio del favor rei, anche alle violazioni commesse prima del 1 gennaio 2016, sempre che gli atti di recupero non siano ancora definitivi (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 8243 del 31/03/2008, Rv. 602524-01, secondo cui ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, che ha esteso il principio del “favor rei” anche al settore tributario, sancendone l’applicazione retroattiva, le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute debbono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo; nello stesso senso cfr. Sez. 5, Sentenza n. 23564 del 20/12/2012, Rv. 624738-01).

6.9. Per le operazioni inerenti al commercio di rottami – che riguarda il caso di specie – la disciplina nazionale prevede che la fattura sia emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle Disp. di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 e seg., e con l’indicazione, di cui all’ottavo concretamente accertata, nonchè perchè provveda alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbito il quarto e rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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