Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32553 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – est. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24508/2013 R.G. proposto da:

Pamet s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e

difesa, dall’avv.to Domenico D’Arrigo, giusta procura in calce al

ricorso, elettivamente domiciliato in Roma, Via Prestinari n. 13,

presso lo studio dell’avv.to Paola Ramadori;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia (di seguito, per brevità CTR) n. 107/65/12, depositata il

20/09/2012 non notificata;

udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del

10/10/2019, dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Fabrizio Urbani Neri;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott.ssa Rita Sanlorenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e di quello incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di verifica della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle entrate, emetteva, per l’anno 2003, avviso di accertamento nei confronti della società Pamet s.r.l., con il quale veniva contestata la contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, relative a cessione di rottami, emesse da varie società cartiere (tra cui, Cometal s.r.l., Ketal s.r.l., Ornet s.r.l., Palladio di D.M., etc.).

In particolare, con il predetto avviso di accertamento n. (OMISSIS) veniva accertato, a carico della società, un reddito di impresa di Euro 2.484.159,00 al posto di quello dichiarato pari ad Euro 77.187,00, con maggiore IRES per Euro 818.370,00, una maggiore IRAP per Euro 102.615,00, ed una maggiore IVA per Euro 229.530,00, oltre sanzioni per Euro 1.227.555,00.

La società contribuente impugnava l’accertamento innanzi alla Commissione Provinciale di Brescia, che rigettava il ricorso della società.

Avverso la sentenza di primo grado la società proponeva appello che veniva parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Regionale adita, limitatamente al recupero ai fini delle imposte dirette, ma non dell’Iva.

Avverso tale sentenza, ricorre in cassazione la società contribuente affidandosi a cinque motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che chiede la riunione con il ricorso da essa stessa proposto avverso la sentenza della CTR Lombardia di cui in epigrafe, n. 107/65/12

In tale ricorso l’Amministrazione erariale si è affidata ad un unico motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso – rubricato: violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia, per mancato esame del motivo dedotto in appello di illegittimità dell’avviso per mancanza di prova sulla inesistenza soggettiva delle fatture ricevute.

1.2. Con il secondo motivo, – rubricato: motivazione omessa ex art. 360 c.p.c., n. 5, – la società ricorrente deduce che la CTR avrebbe, sulla base di un percorso argomentativo deficiente, ritenuto la sussistenza di operazioni soggettivamente inesistenti senza esaminare la documentazione prodotta da essa contribuente e senza esplicitare il percorso logico giuridico seguito in sentenza. (pagg. 24-44 e ss. ricorso).

1.3. Col terzo motivo, lamenta la violazione di legge del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 21, e art. 74, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver la CTR applicato il principio, desumibile da tali disposizioni, secondo il quale in caso di fattura soggettivamente inesistente, relativa ad operazioni per le quali opera il regime del reverse charge, il pagamento dell’imposta dovuta in base alla fattura spetta esclusivamente all’emittente.

1.4. Con il quarto motivo, denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per mancato esame del motivo dedotto in appello di illegittimità degli avvisi per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione ai principi previsti dalla Direttiva CEE, tempestivamente dedotto in primo grado ed in appello. Riporta, all’uopo, le censure dedotte in appello (v. pag. 63 del ricorso), con richiamo alla giurisprudenza di questa Corte (n. 22195 del 1998 e 6620 del 2009), sull’irrilevanza, nel caso di operazioni inesistenti, dello stato soggettivo della buona fede del contribuente.

1.5. Con il quinto motivo, la società ricorrente lamenta nuovamente l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, riguardante l’accertamento delle sanzioni, l’applicabilità del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, senza alcuna motivazione dell’iter logico-giuridico seguito.

2. L’Agenzia delle entrate, ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe, affidandosi ad un unico motivo con il quale deduce la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, e art. 2967 c.c., nonchè la falsa applicazione del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per avere la CTR escluso il recupero delle imposte dirette senza verificare l’assorbimento da parte della contribuente dell’onere della prova, su di essa incombente, dei requisiti di cui alla richiamata normativa.

3. Preliminarmente va dato atto che, stante il principio di dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, il ricorso successivamente proposto dall’Agenzia delle Entrate, con atto a sè stante, successivamente alla notificazione della prima impugnazione della società contribuente, assume la veste di ricorso incidentale ed, in tali termini, esso è ammissibile (cfr. Sez. L, Sentenza n. 5695 del 20/03/2015, Rv. 634799-01, che richiamando il principio dell’unitarietà del processo di impugnazione ha affermato che “l’impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi”).

4. Passando al merito della controversia, i fatti di causa originano da una verifica fiscale della Guardia di Finanza, avviatasi nell’ambito d’indagini penali, che aveva ipotizzato una serie di operazioni fittizie sottostanti a fatture emesse a favore della società Pamet da varie società fornitrici, fraudolentemente compiute al fine di coprire acquisti di materiali ferrosi di provenienza illecita.

4.1. I giudici della CTR, con la sentenza impugnata, dopo aver qualificato le operazioni poste in essere dalla società ricorrente come operazioni soggettivamente inesistenti (v. sentenza pag. 2), hanno ritenuto che poichè l’inerenza del costo non era contestata, in applicazione del più favorevole regime intervenuto con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, commi 1 e 2, l’Amministrazione non era legittimata a recuperare le imposte dirette. Viceversa, quanto all’iva e all’ulteriore questione oggetto dell’appello della società contribuente, della non imponibilità per effetto del cd. “reverse charge”, la CTR ha evidenziato l’inapplicabilità di tale meccanismo, ritenendo che trattasi di operazioni imponibili, per le quali l’amministrazione finanziaria aveva legittimamente operato il recupero e irrogato le relative sanzioni.

5. Il primo motivo di ricorso, con il quale la società ricorrente denuncia l’error in procedendo, per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (112 c.p.c.), per mancato esame del motivo dedotto in appello di illegittimità degli avvisi per mancanza di prova sull’inesistenza soggettiva delle operazioni, è infondato. E’ principio consolidato di questa Corte che non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello allorquando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo d’impugnazione, tuttavia, la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo (cfr. Sez. L, Sentenza n. 16788 del 21/07/2006, Rv. 59209701; Sez. I, Sentenza n. 13425 del 2016, Rv. 640949-01; Sez. I, Sentenza n. 17956 del 2015, Rv. 636771-01; Sez. 2, Ordinanza, n. 20718 del 2018, Rv. 650016-01; Sez. 6. Ordinanza, n. 15255 del 04/06/2019, Rv. 654304-01). Nella specie, l’accertamento di merito dei secondi giudici, insindacabile in questa sede, ruota tutto intorno alla verifica della sussistenza della fittizietà delle operazioni poste in essere dalla società ricorrente, così come chiaramente evincibile non solo dal procedimento logico-giuridico seguito in motivazione, ma anche dall’esposizione dei fatti che hanno originato la controversia oggetto del giudizio di appello.

6. Del tutto inconferenti appaiono le censure di cui al secondo motivo di ricorso principale, afferente al vizio di omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, quali la mancata valutazione delle allegazioni della parte contribuente. E’ principio consolidato di questa Corte che non sussiste il vizio di omesso esame di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, allorquando il fatto storico, rilevante e decisivo, rispetto al quale è denunciato l’omesso esame, è stato preso in debita considerazione dal giudice di merito – cui è riservata la (libera) valutazione degli elementi probatori rilevanti ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie o, comunque, non abbia proceduto ad un esame specifico delle allegazioni dell’una e dell’altra parte. La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere interpretata, cioè, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” della legittimità sulla motivazione, con esclusione di qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831-01).

6.1. Contrariamente a quanto assume la ricorrente, nella specie, dalla motivazione della sentenza, è evidente che la costruzione della fattispecie inerente alla fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti è scaturita proprio dall’esame del fatto storico di cui agli atti di causa e delle rispettive contestazioni. 6.2. Tra l’altro, non può mancarsi di rilevare che le censure della società appaiono volte più che altro a dolersi della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito perchè non rispondente alla prospettazione di essa ricorrente, segnatamente con riguardo alla valutazione delle risultanze documentali, sottendendo, quindi, un’inammissibile richiesta di revisione delle valutazioni raggiunte dal giudice di merito, insindacabili in questa sede.

7. Infondata è anche la questione oggetto del terzo motivo di ricorso principale. La ricorrente lamenta, in sostanza, che, trovando applicazione nei suoi confronti, per le operazioni di cui trattasi (cessione di rottami), il regime del reverse charge in forza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 8, come sostituito dal D.L. n. 269 del 2003, art. 35, l’Iva, per gli anni in contestazione, non è stata nè incassata, nè detratta, nè, quindi, poteva essere recuperata dall’Amministrazione erariale.

7.1. Caso analogo, riguardante operazioni soggettivamente inesistenti di cessione di rottami, soggette agli effetti dell’Iva ed al regime di reverse charge, ha già interessato questa Corte (cfr. sentenza n. 16679 del 09/08/2016; Sez. 5, Ordinanza n. 2862 del 31/01/2019 Rv. 652333-01) che ha enunciato il seguente principio di diritto: “in tema d’IVA, le operazioni di cessione compiute in regime d’inversione contabile (cd. “reverse charge”), ancorchè effettuate sotto l’apparente osservanza dei requisiti formali, sono indetraibili in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, anche soggettiva, dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata, con conseguente inesistenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta indicata in fattura.”.

7.2. Ciò posto, fermo restando che la disciplina nazionale per il commercio dei rottami, prevede, che la fattura sia emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle Disp. di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 e seg., e con l’indicazione di cui all’art. 74, comma 8, che si tratta di operazione con Iva non addebitata in via di rivalsa (la fattura è quindi integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo d’imposta), nella vicenda in esame, sebbene non è contestato che la società contribuente abbia regolarmente effettuato l’inversione contabile a suo carico e reso neutrali le operazioni, ciò che rileva, in senso contrario a tale regolare formalità, è che dette operazioni siano state ritenute soggettivamente inesistenti dalla CTR.

7.3. Ed invero, proprio su tale accertamento in fatto, e, quindi, sulla mancanza dei presupposti sostanziali dell’operazione, la CTR ha negato l’operatività del reverse charge così adeguandosi ai principi su richiamati. Nè vale invocare il principio di neutralità dell’Iva atteso che questo esige che la detrazione dell’Iva a monte sia accordata “se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti” (Corte di Giustizia, sentenza 8 maggio 2008, nei procedimenti riuniti C- 95/07 e C-96/07, Ecotrade, punto 63; v. anche sentenza 17 luglio 2014, in C-272/13, Equoland).

8. Tali ultime considerazioni valgono anche a evidenziare l’infondatezza del quarto motivo di ricorso principale, che peraltro risente dell’inammissibilità per le ragioni evidenziate per il primo motivo che qui si richiamano integralmente (v. par.5).

9. L’ultimo motivo di ricorso principale è fondato nei limiti di cui appresso. La questione che si pone, riguardante essenzialmente l’applicabilità delle sanzioni irrogate con l’avviso, va risolta alla luce dei più favorevoli trattamenti fiscali sanzionatori introdotti dallo ius superveniens in materia d’inversione contabile nelle operazioni inesistenti e, cioè, dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, norma applicabile retroattivamente anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (v. infra par. n. 9.5).

9.1. Tale decreto legislativo, al fine di armonizzare le sanzioni con il concreto disvalore dell’illecito commesso dal contribuente, modulando la sanzione in base alla maggiore o minore gravità della condotta, ha introdotto rilevanti modifiche ad alcune disposizioni contenute nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che disciplina le sanzioni amministrative in materia d’imposte dirette, iva, e riscossione dei tributi.

9.2. In particolare, il decreto in parola, art. 15, comma 1, lett. f), ha modificato le sanzioni amministrative in materia di documentazione e registrazione delle operazioni iva, previste nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, intervenendo, soprattutto, nella disciplina sanzionatoria dell’inversione contabile per la quale ha previsto un trattamento sanzionatorio più lieve (è stato riscritto l’art. 6 cit., comma 9-bis, e sono stati introdotti tre nuovi commi 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3).

9.3. Venendo alle operazioni soggettivamente inesistenti che qui interessano, la disciplina del D.Lgs. cit., comma 9-bis.3, le include espressamente nel più favorevole trattamento sanzionatorio. Ed infatti, tale norma, nella prima parte, dispone in linea generale, che in sede di accertamento venga espunto sia il debito che il credito computato nelle liquidazioni dell’imposta (eliminando così gli effetti dell’operazione contabilizzata), come già previsto per le operazioni esenti, non imponibili e non soggette cui è stato erroneamente applicato il sistema dell’inversione contabile (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis. 3: “se il cessionario committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggetti a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta, che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il di ritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2”. La medesima norma, nel secondo periodo, stabilisce, con carattere eccezionale, le sanzioni applicabili nel caso di operazioni inesistenti, di misura compresa tra il 5 e il 10 per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 Euro (v. D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis.3: “la disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione compresa tra il cinque ed il 10 per cento dell’imponibile con un minimo di 1.000 Euro”).

9.4. Per opinione unanime di dottrina e giurisprudenza, le disposizioni introdotte nel 2015 sono coerenti con i principii sanciti dalla giurisprudenza comunitaria in materia di reverse charge, secondo cui le violazioni degli obblighi formali non possono escludere di per sè il diritto alla detrazione del contribuente, pena la violazione del principio di neutralità dell’imposta (Ecotrade, cause riunite C-95/07 e 96/07, Idexx, causa C-590/13; Equoland, causa C-272/2013), principi cui si è uniformata da tempo questa Corte (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 5072 del 2015; Sez. 5, Sentenza n. 7576 del 2015; Sez. 5, Sentenza n. 4612 del 09/03/2016, Rv. 639034-01).

9.5. Orbene, non v’è dubbio che il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis. 3, – norma, si ripete, di carattere eccezionale che definisce gli aspetti procedimentali della violazione e stabilisce le sanzioni ad essa applicabili – si applica, nel rispetto del principio del favor rei, anche alle violazioni commesse prima del 1 gennaio 2016, sempre che gli atti di recupero non siano ancora definitivi (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 8243 del 31/03/2008, Rv. 602524-01, secondo cui ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, che ha esteso il principio del “favor rei” anche al settore tributario, sancendone l’applicazione retroattiva, le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute debbono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo; nello stesso senso cfr. Sez. 5, Sentenza n. 23564 del 20/12/2012, Rv. 624738-01).

9.6. In particolare, per le operazioni inerenti al commercio di rottami, la disciplina nazionale prevede che la fattura sìa emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 e seg., e con l’indicazione, di cui al cit. D.P.R., art. 74, comma 8, che si tratta di operazione con iva non addebitata in via di rivalsa (la fattura è quindi integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo d’imposta).

9.7. Ora, poichè è pacifico tra le parti che la società contribuente abbia regolarmente effettuato l’inversione contabile a suo carico e reso neutrali le operazioni ritenute soggettivamente inesistenti dalla CTR e poichè rimane ancora in contestazione l'”an” della violazione tributaria e sussiste ancora controversia sulla debenza delle sanzioni, non v’è dubbio che nella specie s’impone l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto, applicabile retroattivamente, anche d’ufficio, trattandosi di norme sanzionatorie sopravvenute più favorevoli. In tal senso, si è orientata anche l’Agenzia delle entrate con Circolare n. 16/E/2017.

10. Il ricorso incidentale è fondato e va accolto.

10.1. Occorre in primo luogo evidenziare che la questione dell’inerenza dei costi, è circostanza che la CTR ritiene non contestata in sede di accertamento (v. sentenza pag. 3), ricavandone, così, la fondatezza delle ragioni del contribuente e l’illegittimità del recupero ai fini delle imposte dirette.

10.2. La CTR non ha fatto buon governo dei principi che questa Corte ha enunciato in materia, secondo cui, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, (ora art. 109), comma 5, e di detraibilità della relativa iva, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 633, ex art. 19, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili, ed a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (da Sez. 5, Sentenza n. 1709 del 26/01/2007, Rv. 595661-01, Sez. 5, Sentenza n. 5926 del 12/03/2009, Rv. 607667-01, Sez. 6-5, Ordinanza n. 27458 del 09/12/2013, Rv. 629460-01, a Sez. 5, Sentenza n. 21184 del 08/10/2014, Rv. 632824-01, Sez. 6-5, Ordinanza n. 14858 del 07/06/2018, Rv. 649021-01).

10.3. Detto obbligo è ancor più stringente quando detti costi derivino da operazioni soggettivamente inesistenti, avendo all’uopo la giurisprudenza di questa Corte precisato che “In tema d’imposte dei redditi, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012), che opera in ragione della cit. Disp., comma 3, quale “ius superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1, (v. relazione ministeriale di accompagnamento al citato D.L.), ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.” (cfr. Cass., Sez. 65, Ordinanza n. 17788 del 06/07/2018, Rv. 649801-01; Cass. n. 26461 del 2014, Rv. 633708-01).

10.4. Se, dunque, il contribuente è tenuto a dimostrare, nell’ipotesi di contestazione da parte dall’Amministrazione finanziaria, anche la coerenza economica dei costi rispetto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, è erronea la decisione della CTR meneghina che, travalicando la regola di riparto dell’onere probatorio, non ha verificato se la società contribuente avesse provato la sussistenza dei costi, la loro inerenza, e la loro coerenza economica e non ha calibrato la portata dello ius superveniens più favorevole al contribuente, verificando i presupposti per la sua applicazione e, quindi, che il bene acquistato sia stato reimpiegato nell’esercizio dell’attività d’impresa e che non sia stato utilizzato in concreto per il compimento di un delitto non colposo (Sez. 5, Sentenza n. 13800 del 18/06/2014, Rv. 631533-01; Sez. 5, Sentenza n. 16719 del 09/08/2016, Rv. 640632-01) o comunque non vi sia stato il diretto utilizzo dei costi ai fini del compimento dell’attività delittuosa (cfr.Sez. 6-5, Ordinanza n. 5342 del 04/03/2013, Rv. 625406-01; Sez. 5, Sentenza n. 26461 del 17/12/2014).

11. In conclusione, devono essere rigettati i primi quattro motivi di ricorso principale, mentre vanno accolti, per quanto esposto in parte motiva, il quinto motivo di ricorso principale e il ricorso incidentale dell’amministrazione finanziaria. La sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce di quanto esposto in motivazione ed in particolare del nuovo assetto sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, confacente alla fattispecie concretamente accertata. La CTR, in sede di rinvio, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo di ricorso principale nei termini di cui in motivazione; Accoglie il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate; rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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