Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32526 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. I, 14/12/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 14/12/2018), n.32526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26832/2017 proposto da:

G.H., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Bozzoli Caterina, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazione di Padova;

– intimato –

avverso la sentenza n. 745/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

pubblicata il 04/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/10/2018 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 4 aprile 2017, ha rigettato l’appello proposto da G.H. avverso la decisione di primo grado che aveva respinto la richiesta di protezione internazionale, confermando il diniego reso dalla Commissione Territoriale di Verona.

Nel presentare la domanda l’odierno ricorrente aveva riferito di essere cittadino del Bangladesh e di avere richiesto la protezione internazionale perchè incarcerato e minacciato di pena di morte nel suo Paese, in seguito a litigi con i parenti per la spartizione di beni familiari e per effetto di una falsa accusa di omicidio nei confronti di un parente.

La Corte ha ritenuto che le dichiarazioni del richiedente non fossero credibili intrinsecamente, collocate in un quadro non chiaro nè certo e prive di supporti documentali. Ha altresì ricordato che il Bangladesh non è Stato a condizione di diffusa ed incontrollata violenza.

Avverso questa sentenza G.H. ricorre per cassazione, affidandosi ad un mezzo; il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2, art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

A parere del ricorrente la Corte di appello non avrebbe valutato la sussistenza in capo al ricorrente dei requisiti per accedere alle forme di protezione internazionale, segnatamente e subordinatamente quale rifugiato, a titolo di protezione sussidiaria ovvero per protezione umanitaria.

A sostegno espone di essersi trovato in stato di pericolo per la sua militanza nel BNP, osteggiato dagli esponenti dell’Awami League, da alcuni anni al potere e deduce che la situazione del Bangladesh è caratterizzata da disordini politici ed atti di terrorismo.

3. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e prospetta, come ragioni fondanti l’allontanamento del richiedente dal suo Paese, fatti in precedenza non riferiti.

4. Va osservato che nello svolgimento del motivo il ricorrente non si sofferma affatto sulla valutazione di non credibilità rispetto ai fatti da lui narrati compiuta dalla Corte territoriale, che costituisce il perno motivazionale del rigetto dell’appello.

La mancata prospettazione di una doglianza sul punto, in ordine al quale ricorre un giudicato interno, rende prive di decisività le questioni introdotte in merito alla situazione personale connessa alla condizione politica del Bangladesh – peraltro inammissibilmente connotate da novità – sulla considerazione che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018).

Invero, posto che la Corte territoriale ha escluso la credibilità del ricorrente, compiendo l’apprezzamento di fatto che le è riservato, circa la incoerenza e implausibilità del suo racconto, non trova applicazione il principio di cooperazione istruttoria previsto per l’accertamento delle condizioni sociali e di sicurezza del paese di provenienza che presuppone che la domanda del richiedente la protezione sia ritenuta credibile dall’autorità amministrativa e, in seconda battuta, dall’autorità giudiziaria. Infatti, le dichiarazioni del richiedente la protezione sono considerate veritiere “se l’autorità competente il decidere sulla domanda ritiene che (…): c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili”, come risulta chiaramente dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e il D.Lgs. n. 95 del 2008, art. 8.

5. Ne consegue che il motivo, riguardante la valutazione dei presupposti della protezione richiesta, non è scrutinabile in questa sede per carenza di interesse perchè non potrebbe comunque portare alla cassazione della sentenza impugnata, la quale rimarrebbe fondata sulla rilevata inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione.

6. Miglior sorte, infine, nemmeno toccherebbe, eventualmente, al motivo in esame alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, tuttora in fase di conversione in legge, non recando la prospettazione dell’odierno motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

7. In conclusione il ricorso va rigettato. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata Amministrazione.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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