Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32524 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 12/12/2019), n.32524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13187-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso PAVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

P.I.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 382/1/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PERUGIA, depositata il 30/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE

CAPOZZI.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR dell’Umbria, di parziale accoglimento dell’appello proposto dal contribuente P.I.A. avverso una decisione della CTP di Terni, che aveva respinto il ricorso del contribuente avverso una cartella di pagamento, riferita a redditi 2011, d’importo di Euro 33.248,97 per disconoscimento del credito per il recupero dell’accisa sul gasolio per autotrazione (c.d. caro petrolio) e credito IVA anno 2010; che invero la CTR aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente, riconoscendogli un credito IVA anno 2010 di Euro 24.706,02, pur confermando la legittimità delle sanzioni irrogate per omesso o tardivo versamento.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che con il primo motivo la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nel ritenere che spettasse al contribuente il rimborso IVA di cui sopra, pur non avendo il medesimo nè trasmesso nei termini di legge la dichiarazione integrativa, nè confermato, come richiesto dall’Agenzia delle entrate con la comunicazione di irregolarità, neppure nel corso del processo, il maggior credito emerso dai controlli automatizzati effettuati dall’amministrazione finanziaria; inoltre il contribuente non aveva presentato istanza di rimborso entro il termine biennale, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta nullità della sentenza per violazione art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto erroneamente la CTR aveva ritenuto che l’esistenza del credito IVA non fosse stato contestato dall’ufficio; al contrario quest’ultimo aveva precisato nel corso del giudizio d’appello che l’accertamento dell’effettività del credito del contribuente era onere gravante su quest’ultimo e che era il medesimo tenuto a confermare il credito IVA nei confronti dell’amministrazione finanziaria nei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 21, comma 2 (due anni dall’intervenuto pagamento);

che l’intimato non si è costituito;

che il primo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è fondato; invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 13378 del 2016), il contribuente, indipendentemente dai termini e dalle modalità della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, e dall’istanza di rimborso, di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, può sempre opporsi in sede contenziosa alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, purchè produca, in tale ultima sede, la documentazione contabile attestante il maggior credito emerso dai controlli automatizzati; e sul punto la sentenza impugnata nulla ha dedotto, affermando in via apodittica che non era contestata l’esistenza del credito IVA nella misura indicata dal contribuente e limitandosi a rilevare la legittimità delle sanzioni irrogate per versamento omesso o tardivo;

che anche il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia delle entrate è fondato, avendo la sentenza impugnata erroneamente rilevato che lo stesso ufficio aveva riconosciuto il credito IVA del contribuente per il 2010 pari ad Euro 24.706,02 in sede di liquidazione automatica D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 bis; al contrario risulta che l’Agenzia delle entrate ha sempre sostenuto, anche in sede di appello, che gravava sul contribuente l’onere di accertare l’effettività del credito IVA e che il contribuente neppure in sede di contenzioso aveva depositato la documentazione comprovante le proprie affermazioni, dopo aver lasciato inutilmente trascorrere il termine biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, per presentare istanza di rimborso del credito anzidetto;

che il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va pertanto accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR dell’Umbria in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR dell’Umbria in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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