Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32500 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. III, 12/12/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15864/2018 proposto da:

B.P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE N. 9, presso lo studio dell’avvocato ROSSANA MARIA

AGNESE RINELLA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.B., F.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

PRINCIPE, rappresentati e difesi dagli avvocati MARCO MICHELA, MARIO

FEZIA;

– controricorrenti –

e contro

F.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 529/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 21 maggio 2018 B.P.D. ricorre per la cassazione della sentenza da numero 529/2018, pubblicata il 23 marzo 2018, pronunciata in una causa in cui egli era stato convenuto per il risarcimento del danno conseguente alla rottura delle trattative instaurate con gli attori, F.B. e C., detentori delle quote della società CBF (qui intimati), in relazione alla compravendita di quote di una società a responsabilità limitata, il cui patrimonio fondamentale era costituito da un capannone industriale, in tesi non andate a buon fine per ingiustificato recesso del convenuto qui ricorrente. Il ricorso è affidato a 3 motivi cui resistono gli intimati per dedurre in via principale l’inammissibilità del ricorso sotto più profili.

2. La Corte d’appello di Torino, riformando totalmente la sentenza di primo grado che aveva ritenuto non sussistere la responsabilità in capo al ricorrente, quanto all’eccezione preliminare processuale ex art. 342 c.p.c., fondata sulla mancanza di specificità dell’atto d’appello, riteneva che dal tenore dell’atto fossero chiaramente desumibili le censure mosse alle valutazioni svolte dal giudice di primo grado; quanto al merito, rilevava che le parti, da giugno a dicembre 2010, avevano intrattenuto via via vari rapporti dai quali si poteva desumere che la trattativa si fosse concentrata sulla cessione delle quote relative all’intero capitale della società e che il commercialista, il 18 dicembre 2010, dopo la indicazione del prezzo finale, non aveva invece risposto alla proposta finale del 22 dicembre 2010 e aveva fatto successivamente intendere che non era più interessato all’affare, ledendo l’affidamento che si era ingenerato nelle parti venditrici sulla sua conclusione. Il ricorrente produceva memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia la violazione degli artt. 342 e 348 c.p.c., per avere la Corte erroneamente dichiarato ammissibile un appello nel quale non era esposta una critica alla sentenza appellata, in ciò respingendo l’eccezione dell’appellato qui ricorrente.

1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto, in esso, non si indica in quale parte dell’atto di appello si evinca tale carenza argomentativa, mentre nella sentenza impugnata si dà ampio conto di come le censure fossero indirizzate a colpire la ratio decidendi del giudice di primo grado, che aveva ritenuto che la trattativa non potesse avere creato un affidamento nella conclusione del futuro contratto, e ciò in relazione alle puntuazioni intercorse tra le parti valutate dal giudice di primo grado. Pertanto la censura in esame omette di riferire, anche solo sinteticamente, il contenuto dell’atto di appello per poter permettere a questa Corte di scrutinare la correttezza di quanto statuito sul punto dalla Corte di merito.

2. Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 e 338 c.c. (recte artt. 1337 e 1338 c.c.) nel considerare lo stato cui erano pervenute le trattative, al fine di valutare l’elemento di affidamento ingenerato nelle controparti ex art. 1337 c.c. e il carattere più o meno ingiustificato del recesso dalle trattative da parte del ricorrente. La parte resistente deduce l’inammissibilità di una deduzione posta in termini di rivalutazione dei fatti di causa, senza alcun riferimento alla vicenda esaminata dal giudice di merito.

2.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto, in luogo di confrontarsi con la ratio decidendi racchiusa nella decisione impugnata, si limita a riportare la versione dei fatti, per come ricostruita dal giudice di primo grado, solo perchè ritenuta corretta. Pertanto il motivo è generico e aspecifico in quanto sollecita addirittura questa Corte (v. p. 25 del ricorso) a rivisitare valutazioni di merito, mentre omette ogni argomento idoneo a evidenziare in quali termini la valutazione operata dalla Corte, con riferimento alla fattispecie considerata, si riveli errata e frutto di una fallace interpretazione o applicazione della norma in esame.

3. Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo riguardante l’oggetto della trattativa finale, intervenuta a fine anno del 2010, sull’assunto che la Corte non abbia considerato che le trattative intercorse, dall’ottobre in avanti, hanno avuto ad oggetto anche la vendita del capannone, da intestare alla società neo costituita ad hoc dal commercialista per conto di clienti cinesi, e non solo la cessione delle quote, come rilevabile dalla testimonianza resa dalla collaboratrice dello studio del ricorrente, che figurava quale amministratore della società neocostituita, la quale in particolare avrebbe riferito che il capannone era stato l’oggetto di reale interesse per l’acquirente. Parte resistente rileva che la censura riguarda una valutazione di merito, relativa all’impianto probatorio e documentale, compiutamente svolta dalla Corte di merito e insindacabile in tale sede di giudizio di legittimità.

3.1. Il motivo è inammissibile. La regola processuale da applicare in tale caso è nel senso che l’elemento discusso e omesso, ma non considerato dai giudici, deve avere carattere decisivo, in quanto l’omessa menzione di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, posto che al giudice è richiesta una valutazione complessiva della pregnanza degli elementi fondanti la sua decisione, e non una confutazione particolareggiata di ogni singola argomentazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Che l’oggetto finale della trattativa sia stato individuato nella cessione delle quote e non nell’acquisto del capannone traspare in ogni passaggio dell’impianto motivazionale della decisione impugnata, da cui si evince, con linearità logico-temporale, che da un certo momento in poi la trattativa, soprattutto nella fase finale, si è concentrata sull’acquisto delle quote sociali, e non del capannone. Difatti, nell’analisi fattuale svolta dalla Corte di merito si dà conto del fatto che la trattativa si è mossa sempre nel solco della cessione delle quote offerta dai venditori, essendo una circostanza confermata dai dati richiesti dall’acquirente per effettuare una valutazione degli oneri fiscali per il passaggio delle quote e del valore del bene sociale, dalle garanzie richieste dall’acquirente che avrebbero dovuto accompagnare tale passaggio, e dal relativo corrispettivo trattato. Il dato contrastante con tale ricostruzione, non espressamente indicato in motivazione, è invece costituito da una sola testimonianza resa da una teste, per giunta vicina agli interessi del commercialista: esso non ha dunque rilievo decisivo, alla luce della motivazione resa, da cui traspare che sia stato valutato anche tale elemento, unitamente ad altri tutti in senso contrario.

4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese di questo giudizio, da porsi a carico del ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie al 15% e oneri di legge.

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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